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L’EXPORT ITALIANO BIO VOLA FINO IN MESSICO

L’EXPORT ITALIANO BIO VOLA FINO IN MESSICO

Sui vini l’Italia al primo posto davanti a Francia e Cile: l’analisi di Nomisma per la piattaforma Ita.Bio

«Biologico rimane una parola magica per crescere nell’export». È il commento della rivista Terra e Vita per la crescita delle esportazioni delle derrate agroalimentari bio anche verso mercati inusuali come il Messico. Dopo i focus di approfondimento su: Usa, Cina, Canada, Emirati Arabi, Scandinavia e Giappone lo scorso 7 giugno la piattaforma Ita.Bio ha dedicato infatti il suo approfondimento in streaming al Paese latino americano.

Con un valore di 59 milioni di euro, il Messico si posiziona solo al 35esimo posto nella classifica globale del bio in termini di quota di mercato. Il trend è però molto positivo, con una crescita del +12% solo nell’ultimo anno e una previsione di un +7% medio annuo fino al 2026, guidato da una consumer base giovane e sempre più attenta a benessere e salute.

È quanto emerge dalla indagine di Nomisma presentata nel sesto forum ITA.BIO, la piattaforma online di dati e informazioni per l’internazionalizzazione del biologico Made in Italy promossa da ICE Agenzia e FederBio.

I numeri chiave

Il settore bio in Messico è in crescita: +14% il numero di aziende bio e +10% le superfici solo nell’ultimo anno, nonostante rappresentino ancora solo lo 0,2% sul totale della superficie agricola complessiva.

Con una spesa pro-capite inferiore a 1 euro a persona, il biologico in Messico rappresenta ancora una piccola nicchia di mercato che interessa soprattutto specifici target di popolazione (giovani e famiglie con figli al di sotto dei 12 anni), tanto che la quota di consumatori bio non raggiunge il 30% nelle upper class delle grandi città.

Dimensioni però che sottintendono enormi potenzialità di crescita, supportate anche dal graduale ma costante cambiamento negli stili di vita e nei consumi alimentari delle famiglie messicane. Un percorso verso abitudini più sane, fortemente trainato dal Governo messicano, che negli ultimi anni sta lottando duramente, attraverso divieti e tassazione, per combattere contro uno dei più alti tassi di obesità al mondo.

Il trend salutistico

Dunque trend salutistici e maggiore attenzione alla qualità dei prodotti che i messicani portano a tavola, lo dimostrano i dati della consumer survey originale di Nomisma, realizzata nel mese di maggio su un campione di popolazione residente nelle principali città e con redditi medio-alti: negli ultimi 2-3 anni il 46% degli intervistati ha aumentato in generale il budget dedicato alla spesa alimentare, il 36% ha speso di più per acquistare prodotti gourmet di importazione e il 28% dichiara di aver incrementato gli acquisti di prodotti di origine vegetale.

In tale contesto si inserisce il consumo di prodotti biologici, che risulta infatti legato principalmente a una scelta salutistica: il 72% dei consumatori che acquista prodotti biologici lo fa perché sono più sicuri per la salute, perché possiedono proprietà nutritive migliori (secondo il 54%) e, in generale, perché hanno qualità superiore (37%).

 I canali distributivi

Se è vero che il biologico in Messico passa soprattutto da iper e supermercati generalisti (Walmart, La Comer, Chedraui,…) tanto che quasi 2/3 acquista bio principalmente presso questo canale, i ristoranti e i wine bar evidenziano comunque grosse potenzialità: ad oggi solo l’8% ha consumato pasti bio fuori casa, ma dalla fine del 2021 ad oggi, i consumi away from home in Messico presentano un trend di crescita costante, con una quota crescente di consumatori che ritiene importante la presenza di ingredienti o piatti bio nel menù di un ristorante. Altri canali di interesse per il biologico sono gli specializzati bio (punti vendita come Hanseakit o Ingredienta) che vengono scelti come punto di riferimento dalla consumer base.

 

Per accrescere diffusione, consapevolezza e interesse verso il biologico, è però indispensabile che il consumatore messicano venga informato di più e meglio riguardo le caratteristiche e le garanzie che il bio offre: l’80% degli user bio dichiara infatti di non aver informazioni sufficienti e dettagliate sulle caratteristiche e i valori degli alimenti biologici (quota che supera il 90% per i non user di bio). Nello specifico, solo due su dieci conoscono la differenza tra biologico e convenzionale e più di 1 consumatore su 2 vuole avere informazioni più dettagliate sulla tracciabilità dei prodotti bio e sul legame dieta salutare e sostenibilità ambientale.

L’accoppiata Made In Italy-Bio fa bene al vino

Italia top quality nel food&wine: nel percepito dei consumatori messicani, l’Italia si posiziona al secondo posto, alle spalle dei vicini Stati Uniti, tra i Paesi che producono i prodotti alimentari di maggiore qualità. Per il vino l’Italia è sul gradino più alto del podio, davanti a Cile e Francia.

Senza dubbio il Made in Italy bio ha ottime prospettive di sviluppo su questo mercato: 2  consumatori su 3 si dicono certamente interessati ad acquistare un prodotto biologico italiano se lo trovassero presso il punto vendita che frequentano abitualmente. Per gli incerti, il prezzo elevato è l’ostacolo rilevante che potrebbe però essere superato grazie a una buona comunicazione e informazione sul prodotto, in particolare in merito al buon impatto sulla sua salute.

 

LA VERA AGRICOLTURA RIGENERATIVA È BIOLOGICA

LA VERA AGRICOLTURA RIGENERATIVA È BIOLOGICA

Crescono i marchi e le partnership che fanno riferimento a un modello di produzione che consenta di rispettare la fertilità organica del suolo, riassorbire CO2 atmosferica e contrastare i cambiamenti climatici. Ma il primo a coniare il termine “rigenerativo” è stato lo statunitense Rodale Institute e oggi l’unico modello di agricoltura rigenerativa certificata è quello che fa riferimento a questo standard che fa leva sul bio

La necessità di centrare l’obiettivo della neutralità climatica dà un forte slancio alle buone pratiche colturali dell’agricoltura rigenerativa. Ogni giorno spuntano nuovi protocolli, partnership, organizzazioni, marchi che mettono al centro lo sforzo degli agricoltori di ripristinare la fertilità organica del suolo riassorbendo la CO2 atmosferica e contrastando così i cambiamenti climatici.

Un termine di moda

Barilla ha lanciato all’inizio dell’anno il suo progetto “bello e buono” con l’obiettivo di sviluppare sistemi e pratiche agricole che favoriscano la “rigenerazione” dei suoli. Ferrero ha annunciato un protocollo di gestione rigenerativa per la coltivazione del nocciolo alla recente prima edizione di AgriWorld a Potenza. Anche Syngenta cavalca il suo modello di agricoltura rigenerativa come «opportunità concreta per un approccio agricolo più sostenibile e resiliente».

C’è però un problema: tutti questi modelli, con diverse sfumature, fanno comunque riferimento all’agricoltura integrata e utilizzano agrofarmaci e fertilizzanti chimici il cui ciclo produttivo determina una pesante impronta di carbonio che vanifica, almeno in parte, i risultati sul fronte del riassorbimento netto di CO2.

Lo standard certificato Roc

Occorre invece ricordare che l’unica esperienza al mondo di agricoltura rigenerativa certificata è quella che fa riferimento alle pratiche rigenerative biologiche messe a punto negli Usa dal Rodale institute, la prima entità che ha parlato di agricoltura rigenerativa sin dagli anni ’80 del secolo scorso. Il marchio Roc (Regenerative Organic Certified™, ovvero Biologico rigenerativo certificato) è stato introdotto nel 2018 facendo riferimento a uno standard olistico di produzione che fa leve sui dettami dell’agricoltura biologica. Lo standard è supervisionato dalla Regenerative Organic Alliance, un’organizzazione senza scopo di lucro composta da esperti in agricoltura, allevamento, salute del suolo, benessere degli animali ed equità tra agricoltori e lavoratori.

Suolo e Salute è al momento l’organismo di controllo e certificazione in Italia autorizzato a condurre l’attività di controllo dello standard Roc (Regenerative Organic Certified™).

Per informazioni: estero@suoloesalute.it

VIA AL PIANO NAZIONALE SEMENTI BIOLOGICHE

VIA AL PIANO NAZIONALE SEMENTI BIOLOGICHE

D’Eramo (sottosegretario Masaf con delega per il bio): «L’obiettivo è aumentare la disponibilità di semente bio e migliorarne l’aspetto qualitativo»

L’ultima riunione della Conferenza Stato-Regioni ha dato il via libera al Decreto del Ministero dell’Agricoltura, Sovranità alimentare e foreste, con il quale si adotta il Piano nazionale delle sementi biologiche, così come previsto dall’articolo 8 della legge 9 marzo 2022, n. 23.

Cultivar adatte al bio

Lo rende noto il sottosegretario Masaf con delega all’agricoltura biologica Luigi D’Eramo. Principale finalità del Piano è aumentare la disponibilità delle sementi bio per le aziende e migliorarne sia l’aspetto quantitativo che qualitativo, con riferimento alle varietà adatte all’agricoltura biologica e biodinamica, e contribuire progressivamente a ridurre il ricorso a sementi di varietà convenzionali utilizzate in deroga.

Durata triennale

Il Piano nazionale delle sementi biologiche sarà aggiornato con cadenza triennale. Tra gli obiettivi anche quello di promuovere il miglioramento genetico partecipativo, con la collaborazione di agricoltori, tecnici e ricercatori per selezionare piante che rispondano ai bisogni degli agricoltori bio. «Con l’intesa di oggi – evidenzia D’Eramo – proseguiamo nel dare attuazione alle misure contenute nella legge quadro sul biologico». «Disporre di sementi di qualità è un presupposto per poter sviluppare una produzione agricola sostenibile e sicura e permettere a questo settore di continuare a crescere».

SERVE UN TAVOLO DI CRISI PER L’AGRICOLTURA BIO IN EMILIA-ROMAGNA

SERVE UN TAVOLO DI CRISI PER L’AGRICOLTURA BIO IN EMILIA-ROMAGNA

Lo chiede Aiab al ministero dell’agricoltura sottolineando in particolare la presenza di molte aziende ortofrutticole e vitivinicole bio nelle aree colpite dall’alluvione

«Aprire un tavolo tecnico di crisi sull’agricoltura biologica legato alla situazione di emergenza dell’Emilia Romagna». Lo chiede l’Aiab, Associazione italiana agricoltura biologica al ministero dell’Agricoltura, scrivendo una lettera al sottosegretario Luigi D’Eramo.

Gli agricoltori hanno perso tutto

«L’area colpita dalle recenti alluvioni è una delle principali di interesse per la produzione ortofrutticola nazionale su un territorio dove sono presenti numerose aziende biologiche – spiega il presidente Aiab Giuseppe Romano – è quindi necessario capire come poter garantire il sistema, venendo incontro ai contingenti problemi degli agricoltori che hanno perso tutto».

«Questo avendo anche una visione di prospettiva per aiutare il territorio e le aziende agricole bio a riprendersi il prima possibile». La gestione del biologico, rileva ancora Romano, «deve necessariamente coinvolgere anche l’autorità competente regionale, che auspico sia presente al tavolo così da attivare misure e scelte condivise che possano aiutare le aziende a superare questo periodo così difficile».

IL BIO CRESCE NEI CONSUMI FUORI CASA

IL BIO CRESCE NEI CONSUMI FUORI CASA

Secondo le indagini Ismea il 50% dei bar e il 70% dei ristoranti propone prodotti certificati

Bio meglio fuori casa che in casa. Mentre i consumi domestici dei prodotti bio segnano per la prima volta una leggera flessione, si scopre, a sorpresa, che nell’ultimo anno oltre il 50% dei bar italiani e quasi il 70% dei ristoranti hanno proposto o impiegato nelle proprie preparazioni culinarie cibi, bevande e materie prime biologiche.

Questo al fine di garantire ai propri clienti una scelta più ampia, servire cibo più salutare e qualificare la propria offerta.

I dati emergono da un’indagine Ismea realizzata in collaborazione con Fipe e Assobio e presentata lo scorso 26 maggio in occasione del convegno “Il biologico nella ristorazione commerciale”.

L’analisi, condotta nei mesi di settembre e ottobre 2022 su un campione rappresentativo di bar e ristoranti nazionali, ha raccolto oltre 2.000 interviste telefoniche ed è – come spiega Fabio Del Bravo, responsabile della direzione servizi per lo sviluppo rurale di Ismea – «La prima di questo genere, che ci ha dato però l’opportunità di allargare il nostro sguardo anche al fuori casa».

«Si tratta di un filone di indagine estremamente interessante, da approfondire periodicamente, perché’ il monitoraggio dell’horeca, anche su aspetti di natura prettamente qualitativa, può fornire, preziosi elementi per orientare le scelte della politica e della filiera».

I dati emersi

Entrando nel dettaglio dell’indagine – presentata da Antonella Giuliano dell’ismea -, dei circa 111 mila bar attivi sul territorio italiano, uno su due ha in parte orientato la propria offerta verso referenze ottenute con metodo biologico, con un’incidenza più elevata nei punti vendita delle città del Centro e Nord Italia e con un numero di addetti superiore a 6.

Mediamente quasi il 20% di alimenti e bevande proposti da questi esercizi è costituito da prodotti bio, con una rappresentatività maggiore per quanto riguarda la frutta, il latte e il vino.

La colazione e l’aperitivo sono stati indicati dagli operatori come le occasioni di consumo più adatte all’inserimento di proposte bio, mentre sul fronte di prezzi, il prodotto biologico viene venduto a quasi il 15% in più rispetto all’omologo convenzionale, a causa dei più alti costi per l’approvvigionamento. dal lato ristorazione.

I dati mostrano un’elevata penetrazione dei prodotti biologici che trovano impiego nei due terzi degli oltre 157 mila ristoranti attivi in Italia.

Percentuali ancora superiori si rilevano al Centro Italia (oltre il 76%) e nel Nord-Ovest (69%), con un progressivo aumento dell’incidenza al crescere del numero degli addetti (dal 60% nei ristoranti con un solo addetto all’81% di quelli con un numero superiore a 49 addetti).

All’interno di questi esercizi, il bio rappresenta oltre il 30% del valore degli acquisti, con punte del 42% nel caso delle verdure e del 34% dell’olio extravergine di oliva.

Differenziale di prezzo al 17%

Anche in questo caso il prodotto bio genera un sovrapprezzo di quasi il 17%, giustificato sempre da un surplus nei costi. contorni e antipasti sono i piatti in cui la presenza di prodotti biologici riesce ad essere più significativa, ma in linea generale, rivelano i ristoratori intervistati, in quasi tutte le portate il biologico riesce ad essere impiegato nel migliore dei modi.

Riguardo alle prospettive dei prossimi due anni, oltre l’80% di ristoranti e quasi la totalità dei bar intervistati dichiara di essere intenzionato a confermare l’attuale politica di acquisto di prodotti bio in termini quantitativi.

Tra i primi il 13,5% potrebbe anche prendere in considerazione, nel lungo periodo, la scelta di diventare un locale esclusivamente biologico, quota che nel caso dei bar si riduce al 6%.

La presentazione dell’indagine è stata l’occasione per dibattere sulle potenzialità e le opportunità offerte dalla ristorazione per lo sviluppo dell’agricoltura biologica, obiettivo fissato dalle politiche europee e nazionali, e della necessaria crescita dei consumi per dare sbocco alle produzioni.

L’agenzia Agrapress ha riportato gli interventi di Pietro Gasparri (masaf), Roberto Zanoni (assobio), Michele Manelli (Salcheto srl), Massimo Lorenzoni (Biotobio srl), Daniela Gazzini (Vivi Bistrot), Luciano Sbraga (Fipe-Confcommercio), Maria Grazia Mammuccini (Federbio).

Un marketing più creativo

È emersa l’esigenza di comunicare al pubblico in modo nuovo il mondo biologico, con idee più creative e veicolate utilizzando molto i social.

Canali di comunicazione devono essere creati anche per informare e formare il mondo della ristorazione, oltre che per ricevere informazioni su gusti e tendenze dei consumatori. inoltre, occorre potenziare la distribuzione per rendere disponibili con continuità i prodotti bio, al fine di migliorare l’offerta della ristorazione, specie per quanto riguarda le carni, ma anche creare alleanze e un’interprofessione che dibatta i temi e presenti le istanze dell’intera filiera ai decisori.

Da parte sua, la ristorazione può svolgere un ruolo attivo nella creazione di tendenze di consumo fuori casa che possono poi trasferirsi nelle abitudini di consumo domestiche.

La presentazione dell’indagine ismea è stato uno dei numerosi appuntamenti del calendario de “La settimana del bio”, prima edizione di un’iniziativa annuale promossa da Assobio che, con finalità di valorizzazione e informazione sul biologico, coinvolge produttori, gdo e le altre associazioni del comparto.

L’ORGANIC FOOD CONFERENCE RIACCENDE IL FARO DEL BIO

L’ORGANIC FOOD CONFERENCE RIACCENDE IL FARO DEL BIO

Suolo e Salute partner dell’evento internazionale organizzato a San Sepolcro da Ifoam Organics Europe e che ha messo al centro le sfide del bio in un mondo che cambia e che è sempre più assediato dalla crescita dilagante del greenwashing

Il faro del bio indica la strada della sostenibilità nel mare tempestoso del greenwashing. L’Organic Food Conference (#OFC2023) ne ha amplificato la luce. “Le sfide di un mondo che cambia” era il tema del summit del Bio europeo organizzato da Ifoam Organics Europe a San Sepolcro (Ar) gli scorsi 22 e 23 maggio. Un evento di successo, con una partecipazione variegata, costituita da aziende del bio, rappresentanti istituzionali, ricercatori e studenti di scienze e tecnologie agroalimentari, media e semplici appassionati. Sotto i riflettori alcuni dei temi caldi del settore biologico, affrontati con relatori di alto livello.

Tempi duri che richiedono impegni forti

La prima giornata, organizzata con la sponsorship di Suolo e Salute, ha messo al centro il tema delle sfide di sostenibilità poste dalla strategia Farm to Fork dell’Ue.  I lavori sono stati aperti dal presidente di Ifoam Organics Europe, Jan Plagge, che ha espresso vicinanza alle popolazioni dell’Emilia-Romagna colpite dall’alluvione, sottolineando quali rischi giungono dal trascurare l’ambiente e la sostenibilità. L’appassionato intervento del Cav. Valentino Mercati, fondatore di Aboca, azienda leader nel settore delle officinali bio ha esortato le imprese a lavorare per sostenere – non sabotare – la vita attraverso scelte come quelle della conversione al biologico. All’evento ha partecipato Alessandro D’Elia, direttore generale di Suolo e Salute, in rappresentanza dell’Organismo di controllo e certificazione.

Il dibattito, moderato da Eduardo Cuoco di Ifoam Organics, ha messo in luce come il settore stia affrontando tempi difficili. «L’intero sistema agroalimentare cerca di cavalcare il treno della sostenibilità». «Come pioniere, il biologico dovrà sforzarsi di migliorare alzando l’asticella della produzione biologica e non accontentarsi di standard minimi».

Sul calo dei consumi nel bio è intervenuto il presidente Ismea, Angelo Frascarelli. «L’Italia ha fatto una scelta politica importante – ha detto – ovvero quella di far crescere la superficie bio puntando al 30% entro il 2030».

«Una scelta impegnativa, coraggiosa ma pericolosa perché se aumenta l’offerta, ma cala la domanda. Ora rischia di essere vittima del suo successo».

Migliorare la comunicazione

Tra le contromisure proposte quella di legare maggiormente l’immagine del bio alla sostenibilità, per emergere da quella che ormai è diventata la “giungla verde” del greenwashing . «Il biologico dovrebbe proporsi come strumento chiave per i modelli di business e soddisfare le esigenze di un consumatore sempre più sensibile a questi temi».

La contabilizzazione dei vantaggi in termini di servizi ecosistemici della produzione agricola pende in maniera significativa in favore del bio. Tra le soluzioni proposte quella quindi di esplicitare nei prezzi dei prodotti questo divario per comunicare la sostenibilità ai consumatori e bilanciare quello che oggi appare un divario di prezzo rispetto ai prodotti convenzionali che penalizza il bio.

«In più occorre mettere in evidenza che il settore biologico produce in un mondo inquinato, e non tutti i possibili percorsi di contaminazione sono stati ancora adeguatamente studiati». «Ma con una buona conoscenza dei rischi, orientamenti per i produttori biologici e misure di controllo proporzionate, il settore può combattere le frodi e continuare a produrre prodotti biologici sani».

Investimenti strategici e più coerenza

La seconda giornata, in collaborazione con Assobio, ha condiviso gli obiettivi del programma Being organic che spinge a promuovere nel Vecchio Continente un livello di consumo in armonia con l‘obiettivo di triplicare la superficie bio europea entro il 2030. Nel primo focus, moderato da Roberto Pinton, membro del board di Ifoam Organics Europe, Maria Grazia Mammuccini, presidente di FederBio ha chiesto scelte coerenti da parte degli Stati membri per raggiungere gli obiettivi del Green Deal del 25% di superficie agraria bio e della riduzione del 50% degli agrofarmaci entro il 2030. «Occorrono – ha detto- investimenti strategici su ricerca e innovazione e una comunicazione integrata per diffondere i valori del bio tra i consumatori». «E soprattutto più coerenza per affrontare un tema sfidante come quello degli usi sostenibili dei mezzi tecnici in agricoltura posto dal dibattuto regolamento sui fitofarmaci».

«La comunicazione del bio è sfidante – ha commentato invece Sarah Compson di Ifoam Organics Europe nel secondo panel “Organic for all ages”». «Per comunicare meglio il cibo bio -ha aggiunto- occorre puntare di più sulle emozioni che procura, sulle ragioni del cuore, con una comunicazione che, oltre ad essere chiara, coerente e credibile sia contagiosa».