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IL PIANO D’AZIONE NAZIONALE SUL BIO E IL CONFRONTO SULL’INTERPROFESSIONE

IL PIANO D’AZIONE NAZIONALE SUL BIO E IL CONFRONTO SULL’INTERPROFESSIONE

Secondo il sottosegretario Luigi D’Eramo il nuovo Pan rappresenterà lo strumento più efficace per raggiungere l’obiettivo del 25% di Sau entro il 2027. La prossima edizione del Sana potrebbe rappresentare la cornice ideale per la presentazione di un provvedimento chiamato a definire l’operatività dell’annunciato brand del biologico 100% made in Italy, spingendo su ricerca, mense bio e assistenza tecnica alle aziende. L’unica incognita che potrebbe rallentare la tabella di marcia riguarda la definizione dell’interprofessione…

Ciak, azione! L’Italia ha anticipato di tre anni l’obiettivo del Green deal europeo e della strategia Farm to Fork del 25% di superficie bio e, se vuole rimanere ai vertici del biologico nell’Ue, non può permettersi di dormire sugli allori. Il Piano d’azione nazionale (Pan) è, secondo quanto ha affermato il sottosegretario di Stato con delega per il biologico Luigi D’Eramo, lo strumento deputato a realizzare questo obiettivo.

Un aggiornamento atteso

L’ultima edizione di questo documento strategico risale infatti al 2015. Il suo aggiornamento è espressamente previsto dalla legge nazionale sul bio (L.23 del 2022). La bozza del nuovo Pan è stata affinata nel corso degli incontri del Tavolo di confronto istituzionale sul biologico istituito presso il Ministero dell’Agricoltura e della Sovranità alimentare (Masaf). Il provvedimento disciplinerà il nuovo brand del bio 100% made in Italy, una partita che sta molto a cuore al Sottosegretario, spingerà su ricerca, mense bio e assistenza tecnica alle aziende e la sua presentazione istituzionale sarà con ogni probabilità la ciliegina della torta della prossima edizione del Sana, la fiera di settore in programma alla Fiera di Bologna dal 7 al 10 settembre prossimi.

L’impegno sottoscritto da D’Eramo

A L’Aquila, nel corso del recente evento organizzato da Ismea per la presentazione dei dati sulle dimensioni raggiunte dal bio nel 2022 (19% di Sau, clicca per leggere) D’Eramo ha affermato che quella del marchio del biologico nazionale è una partita delicata, che il Masaf intende comunque portare a termine con determinazione. «Riteniamo che il nuovo marchio nazionale possa rivelarsi efficace sia per il rilancio del mercato interno che delll’export». «Stiamo mettendo a punto tutti i dettagli – ha riferito – in particolare riguardo alle procedure di certificazione e alla banca dati delle transazioni».

Il ruolo centrale della certificazione

«È la conferma– commenta Alessandro D’Elia, direttore generale di Suolo e Salute – che la certificazione è uno dei punti chiave del bio, un elemento prezioso da tutelare e valorizzare». «Il Piano d’azione sul bio contiene misure fondamentali per lo sviluppo futuro del biologico nazionale – aggiunge – e sul fronte dei controlli, sono ormai cinque anni che attendiamo l’istituzione della banca dati per il controllo delle transazioni».

Quell’interprofessione che fa gola

C’è però un tema dibattuto che potrebbe rallentare la tabella di marcia del Pan. Uno dei suoi capitoli più attesi è infatti quello relativo all’obiettivo di potenziare l’organizzazione delle imprese attraverso le reti, le associazioni di produttori e l’interprofessione, un elemento centrale per lo sviluppo del settore. La recente legge italiana sul biologico ha infatti attribuito all’organizzazione interprofessionale che rappresenti almeno un terzo del settore una serie di poteri straordinari, vincolanti anche per i non iscritti.

Un superpotere che, come è facile intuire, attira le mire di molte entità del bio e non solo.

SEMENTI BIO, L’ITALIA HA UNA NUOVA STRATEGIA

SEMENTI BIO, L’ITALIA HA UNA NUOVA STRATEGIA

Piano nazionale sementi bio, il decreto attuativo è pronto per la pubblicazione. L’obiettivo di aumentare la disponibilità di sementi bio, evitando il ricorso alle deroghe, e incentivare la produzione di varietà adatte a questo metodo di produzione

A un mese e mezzo dall’accordo raggiunto in Conferenza Stato Regioni, il sottosegretario all’Agricoltura, sovranità alimentare e foreste, Luigi D’Eramo, annuncia in una nota l’avvenuta firma del decreto attuativo per il nuovo Piano nazionale sementi bio.

Gli obiettivi

Il Piano è previsto all’articolo 8 della legge 9 marzo 2022, n.23 per perseguire le seguenti finalità:

  • aumentare la disponibilità delle sementi biologiche per una riduzione progressiva e significativa del numero di deroghe per l’uso di sementi non biologiche in luogo di quelle bio;
  • favorire l’individuazione e la produzione di una più ampia gamma di varietà bio delle specie di piante agricole adatte alla produzione biologica, migliorandone sia l’aspetto qualitativo che quello quantitativo;
  • promuovere il miglioramento genetico partecipativo, con la collaborazione di agricoltori, tecnici e ricercatori, per selezionare piante che rispondano ai bisogni degli agricoltori, adattandosi ai diversi contesti ambientali e climatici e ai diversi sistemi colturali.

Cadenza triennale

Il piano nazionale sarà aggiornato con cadenza triennale con il supporto scientifico del Crea (Consiglio per la Ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria).

«Si tratta di un ulteriore tassello per l’attuazione della legge 9 marzo 2022, n.23 – afferma il sottosegretario – e di un provvedimento che era atteso dal settore».

«Migliorare quantità e qualità delle sementi bio – conclude D’Eramo – è la base perché possa proseguire il trend di crescita del comparto che vede l’Italia leader in Europa per numero di aziende agricole bio certificate e per estensione della Sau biologica, che rappresenta già oggi quasi il 19% del totale».

Cereali vernini: non c’è più la deroga automatica

Ricordiamo che dopo l’erba medica e il trifoglio alessandrino, dal primo gennaio di quest’anno, sono entrati in “lista rossa” anche frumento duro e tenero, orzo, avena e farro (circolare applicativa n. 135555 del 23 marzo 2022, in applicazione del Decreto ministeriale n. 15130 del 24 febbraio 2017).

Per queste specie non è quindi più possibile fare ricorso al sistema di autorizzazioni in deroga e impiegare sementi convenzionali anche nell’agricoltura bio, come previsto dalle norme Ue. Gli operatori biologici devono invece  effettuare la manifestazione di interesse per le sementi biologiche, tramite lo specifico servizio “Ordine” sul Sistema Informativo Biologico (SIB/SIAN) e aspettare la risposta dell’azienda sementiera. L’operazione va quindi compiuta con largo anticipo rispetto alla prossima campagna di semina.

IL PRIMO MOTORE DI RICERCA SULLA NORMATIVA BIO

IL PRIMO MOTORE DI RICERCA SULLA NORMATIVA BIO

“Normativabio.it” è la piattaforma informatica messa a punto di Bioqualità per accedere all’intero quadro normativo italiano ed europeo, su tutto il mondo del biologico. Il lancio è previsto al Sana nel padiglione di Sanatech

“Normativabio.it” è la nuova piattaforma informatica che raccoglie tutte le norme aggiornate sul biologico, italiane ed europee. L’ha messa a punto Bioqualità, una realtà che mette in rete consulenti con una riconosciuta esperienza nel mondo del biologico in collaborazione con Massimo Palumbo, avvocato specializzato in diritto alimentare.

Come funziona

«È un servizio, primo e unico nel suo genere – assicura Massimo Govoni di Bioqualità -, calibrato per le aziende del settore secondario e terziario della filiera agroalimentare che puntano alla conversione in biologico e per gli Organismi di controllo (Odc)».

«Ci rivolgiamo ai responsabili degli uffici qualità delle industrie della trasformazione, agli operatori intermedi o ai retailer ma anche agli ispettori che si occupano di certificazione».

La piattaforma è divisa in tre sezioni:

  • il motore di ricerca vero e proprio,
  • il testo integrato di tutta la normativa;
  • il testo integrato pdf, che può essere scaricato e consultato offline con i riferimenti a tutte le leggi vigenti riportate con collegamenti ipertestuali.

Può essere consultato attraverso la digitazione di parole chiave che daranno accesso alla relativa normativa di riferimento. La novità sarà presentata in anteprima al salone Sanatech di Sana, la rassegna internazionale del biologico e del sostenibile in programma a Bologna Fiere dal 7 al 10 settembre.

CRESCE LA FIDUCIA DEI CONSUMATORI NEI PRODOTTI BIO

CRESCE LA FIDUCIA DEI CONSUMATORI NEI PRODOTTI BIO

Otto italiani su 10 hanno fiducia nell’acquisto di prodotti bio. Giuseppe Romano (presidente Aiab): «Merito dell’efficacia del sistema dei controlli»

L’alta qualità del sistema di controllo e certificazione per i prodotti biologici, l’unico in grado di garantire il 130% di verifiche annuali alle oltre 86mila aziende certificate, come testimoniano i dati dell’Icqrf, si traduce in una grande fiducia da parte dei consumatori rispetto ai prodotti biologici.

Un campione di 15mila consumatori

Secondo un sondaggio di AIAB condotto su un campione di 15.000 persone in Italia, con una varietà di background demografici, infatti, 8 italiani su 10 si dicono sicuri e garantiti nell’acquisto di un prodotto bio, e circa 1 su 2 ha l’abitudine ad acquistare sempre oppure molto spesso questo tipo di prodotti. La valutazione generale che viene data alla certificazione biologica su larga scala è di 8 su 10.

«Dobbiamo ripartire  – afferma Giuseppe Romano, presidente di Aiab (Associazione Italiana Agricoltura Biologica) – da questi dati promettenti e dalla fiducia dei consumatori, per affermare senza esitazione che il sistema biologico in Italia è estremamente sicuro e affidabile».

Gli anticorpi del bio

«È importante tenere a mente questo concetto fondamentale, specialmente quando si verificano notizie di frodi che emergono occasionalmente». «In realtà, tali episodi rappresentano un ulteriore segno di un sistema che dimostra un’efficacia straordinaria nel rilevare coloro che tentano di eludere le norme e le certificazioni vigenti».

Margini di miglioramento

«Margini di miglioramento del sistema – aggiunge Romano – possono essere legati al sostegno per i piccoli agricoltori biologici, a campagne di sensibilizzazione pubblica sui benefici dell’agricoltura biologica e all’assistenza tecnica per gli agricoltori, per passare alla produzione biologica, tra le priorità di AIAB inserite nel Piano d’Azione del bio».

«Siamo contenti – conclude Romano – di constatare come i cittadini avvertano comunque sicurezza e acquistino con fiducia i prodotti biologici, che stanno infatti acquisendo sempre più spazio sugli scaffali dei negozi e sulle tavole dei consumatori».

 

LA CERTIFICAZIONE È UN VALORE, NON UN COSTO

LA CERTIFICAZIONE È UN VALORE, NON UN COSTO

È uno dei caratteri distintivi del biologico, ne sostiene la reputazione, aumenta il grado di fiducia dei consumatori e il suo costo pesa sul sistema solo per l’1%. Lo mette in evidenza Fabrizio Piva sulle pagine di Greenplanet.net. Allora perché accanirsi a utilizzarla come capro espiatorio, proponendo l’iniqua trasformazione delle tariffe in un credito di imposta che peserebbe sulla fiscalità generale?

Il sistema di certificazione è un asset importante per il nostro biologico, una risorsa che vanta numerosi tentativi di imitazione.

Mette al riparo il settore da tentativi di frode e speculazione, sostiene il livello di reputazione e la fiducia dei consumatori, soprattutto nei momenti di crisi di mercato, e crea occupazione qualificata e valore per le imprese.

Costi contenuti

Il tutto a costi che, a conti fatti, come vedremo, sono decisamente contenuti. Alcune recenti “proposte di rilancio del settore” hanno voluto invece assimilare la certificazione, fornita da organismi terzi, al peso di una burocrazia che in Italia, spesso, può essere eccessiva ed asfissiante per gli imprenditori (non solo) agricoli. Un’assimilazione che non regge. Lo mette in evidenza Fabrizio Piva in un recente intervento su Greenplanet.net.

«C’è chi ha avanzato la proposta – ricorda Piva – di trasformare in credito di imposta i costi di controllo e certificazione sostenuti dagli operatori del settore biologico».

«Si tratta tuttavia di un errore strategico, oltre che tattico: parte da presupposti sbagliati e giunge a conclusioni che rischiano di nuocere all’intero settore».

L’aritmetica non è un’opinione

Una proposta che parte da alcuni abbagli, anche aritmetici.

Non è infatti l’onere della certificazione a penalizzare la competitività del bio, basta fare due conti. Il fatturato complessivo del biologico nazionale è arrivato infatti nel 2022 (fonte Nomisma) a 8,4 miliardi di euro (sommando mercato interno ed export). Il costo di certificazione, stimandolo sugli ultimi fatturati disponibili e depositati dagli organismi di certificazione, incide su tale fatturato per una quota intorno all’1%. Una quota che negli ultimi 20 anni si è via via ridotta e razionalizzata e che non può essere presentata come l’elemento che penalizza la competitività del settore.

Da onore ad onere

L’errore è anche concettuale: «La certificazione – scrive Piva – non è un “costo necessario” per il quale coloro che ne sono obbligati chiedono che lo Stato intervenga a ripianare/riconoscere tale costo». Questo infatti collide, come evidenzia Piva, con quello che rappresenta la certificazione del biologico dal punto di vista commerciale, ovvero uno dei pilastri su cui si reggono le garanzie per i consumatori accrescendo l’affidabilità e la credibilità dell’intero sistema.

La proposta vuole invece che la certificazione passi da valore a semplice costo, pretendendo che sia la collettività a coprirlo a livello fiscale, spalmandone così l’onere su tutti i cittadini e non solo sui consumatori.

Il rischio di concorrenza sleale

«I prodotti – evidenzia Piva – che nel mercato hanno più successo e spuntano maggiori vantaggi competitivi sono quelli spesso caratterizzati da schemi di certificazione ad essi collegati».

Oltre al biologico questo vale infatti per i prodotti tipici (Dop, Igp, Stg), i vini a denominazione, fra breve verranno sviluppati alcuni schemi collegati all’assorbimento del carbonio (carbon farming) ed altri percorsi nell’ambito della sostenibilità dei processi. «In questo modo l’argomento si complica, e non poco, perché anche per questi settori dovrebbe essere riconosciuto il credito di imposta e magari in tutti i Paesi membri per evitare distorsioni di mercato, considerato che si tratta di organizzazioni comuni di mercato (Ocm) in ambito Ue».

Un credito di imposta che, oltre a tutto, altererebbe la correttezza della competizione fra imprese all’interno dello stesso settore biologico. «La stragrande maggioranza delle aziende agricole non potrebbe infatti vederlo riconosciuto in quanto paga le imposte sui redditi catastali e non su quelli effettivi in base alla redazione di un bilancio.

Un ultimo mito da sfatare

«Da ultimo – conclude Piva – non corrisponde al vero che il costo di certificazione viene applicato più volte sullo stesso prodotto lungo la filiera del valore, in quanto la tariffa viene applicata sull’operatore certificato in base alle operazioni che lo stesso esegue sul prodotto e sulla fase di filiera su cui ha competenza».

UN QUINTO DELL’AGRICOLTURA ITALIANA È BIO

UN QUINTO DELL’AGRICOLTURA ITALIANA È BIO

I dati Sinab presentati da Ismea rivelano che le superfici bio arrivano a sfiorare il 19% della Sau del Belpaese con una crescita nel 2022 del 7,5%. Gli operatori toccano quota 93mila (+8,9%)

Balzo inatteso del biologico italiano nel 2022. A confermarlo sono le anticipazioni del rapporto “Bio in cifre 2023” curato per il Masaf dal Sinab, il Sistema di Informazione Nazionale sull’Agricoltura Biologica e presentate a L’Aquila al convegno Ismea “Appuntamento con il Bio”.

Colpo di coda della vecchia Pac

Risultati per molti versi inattesi, perché si riferiscono a un periodo, l’anno scorso, in cui il bio non ha potuto usufruire del favore concesso dalla Farm to Fork e dalla Pac 2023-2027 a questo metodo di produzione.

Lo conferma Fabio del Bravo di Ismea: «C’è molto più ottimismo – ha detto – sulla possibilità di raggiungere l’obiettivo F2F del 25% delle superfici agricole, che il nostro Paese ha anticipato al 2027». Alcune regioni sono infatti già oltre l’obiettivo, alcune sono vicine, altre tremendamente lontane.

Le superfici coltivate a biologico hanno infatti raggiunto l’anno scorso i 2.349.880 ettari, con un incremento del 7,5% rispetto al 2021, portando l’incidenza della superficie agricola utilizzata (Sau) nazionale al 18,7% (+1,3% sul 2021), che si conferma tra le più elevate nella Ue (nel 2021 eravamo al quinto posto dietro Austria, Estonia, Svezia e Portogallo.

Aumento significativo anche per il numero di operatori biologici che hanno toccato quota 92.799, di cui 82.627 è rappresentato da aziende agricole (+ 8,9% rispetto al 2021).

Sei Regioni già oltre il 25%

A livello regionale, da segnalare l’esplosione del biologico in Toscana, che con 35,8% è diventata la prima regione come incidenza di SAU bio, seguita da Calabria, Sicilia, Marche, Basilicata e Lazio, le prime 6 regioni ad aver superato l’obiettivo del 25% contenuto nelle strategie europee.

Anche la zootecnia bio ha evidenziato valori di crescita importanti: +22,5% per gli alveari, 10,5% per i caprini, 9,7% per gli ovini e 8,2% per i bovini.

La nota critica continua ad essere rappresentata da una domanda interna che, nel 2022, ha registrato un incremento modesto del +0,5% rispetto l’anno precedente. Da segnalare però un calo dei volumi, considerando che l’aumento generalizzato dei prezzi a causa dell’inflazione ha determinato la riduzione della capacità di spesa delle famiglie.

In forte calo (-17,1%) risultano invece le importazioni da Paesi terzi. In particolare cala l’importi di cereali (-22%), colture industriali (-25,9%) e oli e grassi vegetali (-30,7%). Un dato che dimostra l’attualità della necessità di un marchio del bio made in Italy, tra gli obiettivi del Piano d’azione.

Consumi fuori casa sempre più green

Il rallentamento della domanda interna, almeno per i volumi, è però mitigato da due tendenze positive. Da un lato, nei canali on-trade, il guadagno di quote di mercato da parte del discount (+14,2% rispetto al 2021), in grado di dare una risposta all’attenzione di risparmio dei consumatori.

Dall’altro la crescita del bio nel canale off-trade, ovvero bar e ristoranti, con un’incidenza degli esercizi che acquistano almeno un prodotto bio che arriva rispettivamente al 54,5% e 68,4%.

Un colpo di coda del bio che riporta in alto il clima di fiducia delle aziende. Un indice Isma che dopo l’assottigliamento del differenziale rispetto al convenzionale registrato negli ultimi 5 anni, torna a pendere decisamente in favore delle aziende bio.

(box) Bio in cifre

  • 2,35 i milioni di ettari (+ 7,5% sul 2021)
  • 800 gli operatori (+8,9%)
  • 3,7 milioni di € (+0,5%) il giro d’affari
  • 54,5% la quota dei bar con prodotti bio
  • 68,4% quella dei ristoranti
  • -17,1% l’import da Paesi terzi