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Tossicodipendenza da pesticidi chimici: il quadro preoccupante dell’Europa

L’agricoltura industriale, con le sue colture intensive e l’uso massiccio di sostanze chimiche, non è più accettabile. L’ultimo rapporto pubblicato da Greenpeace parla chiaro: i metodi di coltura tradizionale usati e abusati dall’uomo stanno causando la perdita di habitat e biodiversità.

E in Europa si parla di vera e propria tossicodipendenza da pesticidi chimici. Le colture sono regolarmente irrorate con diverse sostanze chimiche, di solito applicate più volte su ogni coltura durante l’intera stagione di crescita. Questo avviene nonostante gli agricoltori dispongano già di alternative naturali per contrastare le specie nocive. Quello che dovrebbe essere un’eccezione, lamenta Greenpeace, è ormai diventata una routine.

Il rapporto di Greenpeace “Tossicodipendenza da pesticidi” esamina la letteratura scientifica disponibile sull’uso dei pesticidi chimici di sintesi in agricoltura, evidenziando come queste sostanze siano una grave minaccia per la biodiversità, sia perché mettono in pericolo le specie, avvelenandole e uccidendole, sia perché alterano gli ecosistemi, ad esempio provocando il collasso della catena alimentare.

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Secondo i dati forniti, quasi un quarto (24,5%) delle specie vulnerabili o in via d’estinzione nell’Ue è minacciata dagli effluenti agricoli.

Ma non è tutto. Dai rapporti della Task force sui pesticidi sistemici dell’Iucn (Unione Internazionale per la Conservazione della natura), emerge un allarmante diminuzione degli insetti in Europa. Una condizione che potrebbe avere un impatto catastrofico sull’ecosistema. Dall’impollinazione, infatti, dipende il 70% delle 124 principali derrate alimentari coltivate per il consumo umano.

Un quarto dei 471 principi attivi approvati in Europa supera le soglie critiche per la persistenza nel suolo o nelle acque, e 79 di questi oltrepassano i valori critici di tossicità per gli organismi acquatici.

Anche se spesso l’ambiente è contaminato da “cocktail” di pesticidi, gli effetti di questo mix di prodotti chimici non sono valutati nei processi di autorizzazione effettuati dall’Ue, che, peraltro, non riescono a stabilire correttamente quali possono essere gli effetti a lungo termine dell’esposizione a basse dosi dei pesticidi, perché si concentrano principalmente sulla loro tossicità acuta.

In un contesto del genere è necessario un radicale cambiamento di rotta, che segni il passaggio da un’agricoltura intensiva dipendente da sostanze chimiche dannose, a pratiche agricole ecologiche. Un cambiamento che non può essere operato senza un forte sostegno politico e finanziario, necessario per contenere i danni e per ristabilire un equilibrio ambientale.

Fonti:

http://www.repubblica.it/ambiente/2015/10/13/news/greenpeace_pesticidi_minacciano_l_ambiente-124975050/

http://www.greenpeace.org/italy/it/News1/Pesticidi-una-tossicodipendenza-che-costa-cara-allambiente/

http://www.greenpeace.org/italy/tossicodipendenza-da-pesticidi/

Agricoltura biologica: la Commissione europea si pronuncia su controlli e limiti pesticidi

Appuntamento importante per il biologico: questa settimana, il Parlamento europeo si è riunito per votare la proposta della Commissione volta a rendere più rigide le norme in materia di agricoltura biologica.

La legge UE sul settore risale al 1991 ed è stata rivista nel 2009. Essa stabilisce gli standard minimi per la produzione biologica che consentono o meno di imprimere su un prodotto il logo biologico UE. Nel marzo dello scorso anno, la Commissione ha presentato un progetto di revisione del regolamento relativo alla produzione biologica e all’etichettatura dei prodotti, discusso appunto a Bruxelles nei giorni scorsi. Durante l’incontro, si è dibattuto anche sulla possibilità di accettare o meno controlli più severi sulle importazioni di alimenti biologici provenienti da paesi terzi extra-UE.

Nei giorni scorsi, in vista della votazione alla Commissione agricoltura del Parlamento Europeo, Agrinsieme ha inviato una lettera ai parlamentari italiani in Europa, per difendere le esigenze degli agricoltori italiani e di tutto il settore biologico. Ciò che ha spinto il coordinamento a rivolgersi ai parlamentari è stato il timore che alcuni degli emendamenti proposti dal relatore tedesco Häusling potessero avere un impatto negativo in termini di sicurezza e qualità delle produzioni biologiche.

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In particolare, si legge sul sito di Confagricoltura: “La proposta del relatore non ci trova pienamente soddisfatti perché lascia irrisolta la questione della presenza di sostanze e prodotti non autorizzati nei prodotti biologici, materia sulla quale manca di fatto un’armonizzazione a livello comunitario, dal momento che solo l’Italia e pochi altri Paesi hanno deciso di fissare per legge una soglia massima di contaminazione“.

Ma non è tutto: i dubbi riguardavano anche la definizione di “gruppo di operatori” ai fini della certificazione, ai controlli e, non ultimo, alla deroga concessa a quei Paesi che per particolari condizioni climatiche potranno esportare prodotti biologici non conformi ai rigidi standard europei (come nel caso del riso dei Paesi dell’Indocina).

Cosa ha deciso Bruxelles?

La Commissione Agricoltura del parlamento Europeo ha votato a favore di controlli annuali mirati lungo l’intera filiera per evitare frodi, ma ha bocciato i valori limite per la presenza di pesticidi. Un punto quest’ultimo rilevante per l’Italia, leader in Europa nel settore e che prevede già una soglia limite.

Martin Hausling ha così spiegato la decisione: “Non vogliamo che alcuni Paesi fissino dei limiti per le sostanze autorizzate e altri no”. In base alla logica adottata dal Parlamento Ue, un prodotto può essere venduto come biologico se la contaminazione da sostanze non autorizzate è avvenuta (ad esempio tramite il vento) nonostante l’agricoltore abbia seguito tutte le regole.

In caso di negligenza ripetuta, il produttore perde la certificazione bio. Sarà la Commissione Ue, se necessario, a formulare una proposta su eventuali soglie limite dopo il 2020.

Per quanto riguarda il settore dell’import, il principio attuale dell’equivalenza delle regole con i Paesi terzi dovrà essere sostituito da quello della conformità. Gli accordi attuali che ancora non prevedono gli stessi standard, come quello con gli Usa, dovranno essere rivisti nel giro di cinque anni.

IFOAM EU(Federazione internazionale dei movimenti per l’agricoltura biologica) ha accolto con favore solo alcuni dei risultati ottenuti dalla Commissione UE. Sebbene, infatti, abbia giudicato opportuno il rifiuto del Comitato di introdurre una soglia di perdita di certificazione per le sostanze non autorizzate e il suo suggerimento di armonizzare meglio le procedure di indagine in caso di contaminazione, rimangono comunque perplessità sulla clausola di rivedere nuovamente la questione nel 2020. “Un nuovo periodo di 5 anni di incertezza nella normativa è assolutamente inaccettabile per il settore biologico“, ha affermato Marco Schlüter, direttore di IFOAM EU “Inoltre, il principio chi inquina paga non può essere capovolto: gli agricoltori biologici non devono essere ritenuti responsabili per la contaminazione derivante dall’agricoltura convenzionale. Oggi come anche nel 2020“.

Fonti:

http://brussels.cta.int/index.php?option=com_k2&id=10738:eu-tighter-control-of-organic-food-imports&view=item&Itemid=54

http://www.euractiv.com/sections/agriculture-food/commissions-proposal-stricter-thresholds-organic-farming-opposed-318280

http://www.confagricoltura.it/ita/comunicazioni_agrinsieme/2015/appello-di-agrinsieme-ai-parlamentari-europei-per-difendere-l-agricoltura-biologica-italiana.php

http://www.ansa.it/canale_terraegusto/notizie/istituzioni/2015/10/13/agricoltura-bio-pe-ok-controlli-ma-no-a-limiti-pesticidi_85bc82dd-0d8b-4e46-b57f-e5aea71fc413.html

http://www.ifoam-eu.org/en/news/2015/10/13/press-release-moving-right-direction-parliament-vote-organic-obstacles-still-remain

UE: Bloccare l’import dal Sud Africa per evitare il rischio black spot degli agrumi

Non si può ancora aspettare. Il pericolo di ingresso in Europa della malattia del “Black Spot” che colpisce gli agrumi è troppo elevato. Bisogna agire tempestivamente per proteggere la nostra produzione agrumicola, bloccando le importazioni dal Sud Africa. Lo afferma Dino Scanavino, coordinatore nazionale di Agrinsieme, spiegando che finora le misure messe in campo si sono dimostrate deboli e inefficaci e il rischio, se non si prendono provvedimenti, è quello di innescare una “seconda Xylella”.

Non si può sottovalutare il pericolo d’ingresso di questa malattia, che genererebbe conseguenze drammatiche: come l’olio, anche l’agrumicoltura è molto importante per la tenuta dell’agricoltura comunitaria: il comparto -ricorda Scanavino- in Europa conta 500 mila ettari coltivati e 5 milioni di tonnellate di produzione annue. Solo in Italia il settore coinvolge circa 78 mila aziende agrumicole e vale 1,4 miliardi di euro. Incidendo per quasi un terzo sul valore complessivo della frutticoltura.

arancia-Black-spotAd oggi non esistono prodotti fitosanitari in grado di combattere il “Black Spot”. E le notizie che arrivano suscitano molte preoccupazioni -avverte il responsabile nazionale del coordinamento di Cia, Confagricoltura, Alleanza delle cooperative agroalimentari e Copagri-. La normativa europea prevedrebbe, di fatto, il blocco dell’import dopo 5 intercettazioni. A settembre 2015 le intercettazioni sono state 11 per quanto riguarda i prodotti importati dal Sudafrica e 10 su prodotti provenienti dall’Argentina. Ma la Ue non è intervenuta in alcun modo. Nonostante già nel 2013 le intercettazioni dal Sud Africa fossero state 35 e nel 2014 25.

Per questo Agrinsieme, unendosi alle sollecitazioni del Copa-Cogeca che ha chiesto un intervento immediato da parte della Commissione europea, ribadisce la necessità di un blocco dell’import dal Sud Africa e di un attento monitoraggio dell’import dall’Argentina.

Tra l’altro -aggiunge Scanavino- proprio in queste settimane è in corso a livello europeo la discussione sulla revisione della normativa dei controlli alle importazioni. Quanto sta accadendo con il “Black Spot” dimostra la necessità di spingere su una veloce modifica delle norme a tutela delle nostre produzioni europee.

fonte: http://organic-market.info/news-in-brief-and-reports-article/organic-and-near-zero-green-house-gas-emissions-tea-from-sri-lanka.html

Sri Lanka: tè biologico con emissioni di gas serra pari a zero

Il Tea Estates Bogawantalawa dello Sri Lanka sta diversificando la produzione di tè verde e tè biologico per tenersi al passo del cambiamento dei gusti dei consumatori. D.J. Ambani, presidente della società, ha affermato che l’azienda è stata in grado di stabilire il proprio impianto di produzione di tè verde nella Tenuta Norwood nelle colline centrali sotto la sua strategia di diversificazione dei tipi di tè in produzione. “La società ha inoltre ottenuto la certificazione biologica per la sua tenuta Rockwood permettendo ai centri di produzione Norwood per produrre sia tè verde biologico e tè neri per soddisfare la crescente domanda del mercato di tali prodotti del tè di Ceylon premium.”

tè bio sri lanka

L’azienda ha ampliato la propria area di coltivazione di the biologico ed ha “intenzione di convertire più terre di tè per la produzione biologica in altri stabilimenti del tè situate in Bogawantalawa”, ha detto Ambani agli azionisti nella relazione annuale della società.

La Bogawantalawa Tea Estates divenne anche la prima impresa in Sri Lanka ad aver ottenuto il certificato Carbon Footprint, con un Carbon Footprint di 0,47 kg di CO2 per 1 Kg di tè fatto. Il certificato che viene assegnato dal Carbon Fund dello Sri Lanka sotto il Ministero dell’Ambiente, indica un esempio di agricoltura biologica con emissioni vicino allo zero per le attività di produzione.

Ogm: Italia sempre più vicina al divieto di coltivazione su tutto il territorio nazionale

Lo scorso 1 ottobre, a soli due giorni dalla scadenza, l’Italia si è aggiunta agli altri Paesi europei che hanno formalmente notificato alla Commissione europea l’intenzione di mettere al bando le coltivazioni Ogm. In totale, sono 19 gli Stati membri che hanno deciso di bandire gli organismi geneticamente modificati dal proprio territorio: Austria, Bulgaria, Cipro, Croazia, Danimarca, Francia, Germania, Grecia, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Olanda, Polonia, Slovenia, e Ungheria, mentre la Gran Bretagna ha presentato domanda per Scozia, Galles e Irlanda del nord ed il Belgio per la Vallonia.

Le richieste sono state inviate in attuazione della nuova Direttiva europea 2015/412 che consente agli Stati membri di decidere autonomamente di negare o meno gli Ogm.

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La nostra scelta – ha commentato il ministro Martina – guarda alle caratteristiche del modello agricolo italiano, che vince e si rafforza puntando sempre di più sulla qualità e sulla distintività. Abbiamo un patrimonio unico di biodiversità che rappresenta un valore non solo da tutelare, ma da promuovere“.

La notizia è stata accolta positivamente da Greenpeace e Coldiretti. Quest’ultima ha commentato che, ad oggi, le superfici seminate a transgenico nell’Unione europea non solo sono del tutto marginali rispetto al totale ma addirittura in calo nel 2014 con una diminuzione del 3%. Dati che confermano la crescente diffidenza nei confronti di questa tecnologia.

Per l’Italia gli organismi geneticamente modificati (Ogm) in agricoltura non pongono solo seri problemi di sicurezza ambientale, ma soprattutto perseguono un modello di sviluppo che è il grande alleato dell’omologazione e il grande nemico del Made in Italy” ha commentato Andrea Moncalvo, presidente Coldiretti.

Queste, invece, le parole di Federica Ferrario, responsabile Campagna Agricoltura Sostenibile di Greenpeace Italia: “Adesso dobbiamo bloccare l’approvazione di nuovi Ogm e rivedere completamente il processo di valutazione dei rischi e di autorizzazione degli Ogm a livello europeo. È un impegno che il Commissario Juncker deve mantenere“.

A luglio 2014, ricorda Adnkronos, il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker evidenziò come la Commissione non avrebbe dovuto andare contro la maggioranza dei Paesi Ue sulle colture Ogm, eppure non si è ancora pervenuti a una proposta di legge per realizzare questo obiettivo.

Già nel 2008, i ministri dell’Ambiente dell’UE avevano chiesto all’unanimità di rivedere la procedura di autorizzazione. Ad oggi, la Commissione non è ancora intervenuta in merito e le attuali valutazioni di rischio dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) continuano a ignorare lo spirito e la lettera di quanto previsto dalla Direttiva 2001/18, che prevede test approfonditi e indipendenti per gli Ogm.

Fonti:

http://www.repubblica.it/ambiente/2015/10/01/news/ogm_l_italia_notifica_alla_ue_la_richiesta_divieto_coltura-124083624/

http://www.ansa.it/canale_terraegusto/notizie/istituzioni/2015/10/01/ansa-ogm-italia-notifica-a-ue-richiesta-divieto-coltivazione_8c98836e-0726-4d4c-9c6b-a0dd3f50af28.html

http://www.adnkronos.com/sostenibilita/risorse/2015/10/01/italia-ogm-free-greenpeace-verso-messa-bando_PsIuuNlSVRRmGBjovnkTdJ.html?refresh_ce

http://www.ilsole24ore.com/art/impresa-e-territori/2015-10-05/ogm-coldiretti-l-italia-richiesta-vietare-coltivazioni-altri-18-paesi-ue–192117.shtml?uuid=ACoj3WAB

 

Bio sui banchi di scuola: il piano nazionale che punta alla formazione scolastica e professionale

Ripensare in chiave biologica il mondo della formazione scolastica, universitaria e professionale. È questa la sfida proposta durante il convegno “Il contributo della Bioagricoltura all’istruzione e alla formazione professionale”, promosso dall’associazione Agricoltura Biodinamica, che si è tenuto il 29 settembre scorso all’Expo di Milano.

Del resto, i dati sono chiari: l’Italia è seconda al mondo per superfici destinate al biodinamico, le aziende che utilizzano questa specifica modalità di coltivazione sono più di mille e i prodotti sono un’eccellenza a livello mondiale. Non solo: la superficie destinata al bio ha raggiunto ormai l’11% circa della superficie agricola nazionale, e i consumi sono in netto aumento. Le esportazioni fanno da traino al settore, l’unico che esce dalla crisi economica con un saldo in attivo.

Un contesto del genere può e deve diventare uno stimolo per un percorso di rinnovamento, economico, sociale e culturale.

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Ne è convinto Carlo Triarico, presidente dell’associazione Agricoltura Biodinamica: “L’agricoltura biologica e biodinamica italiana è senza dubbio un’eccellenza a livello mondiale e può a pieno titolo, nella sua accezione più complessiva, rappresentare una chiave di rinnovamento sociale. In questa visione, la formazione non è pensata per essere indirizzata solo a professioni strettamente agricole“.

La proposta, dunque, è quella di mettere in piedi un vero e proprio piano nazionale, basato almeno su due corsi universitari specifici sull’agricoltura biologica e biodinamica, educazione alimentare nelle scuole, orti scolastici, mense biologiche in tutti gli istituti italiani.

Il Piano, pensato sul ruolo multifunzionale dell’agricoltura, punta dunque sia alla formazione per i tecnici, che per gli esperti di accoglienza e turismo, alimentazione, valorizzazione del patrimonio rurale e culturale, gestione del territorio, impatto ambientale, interventi sociali in agricoltura.

Le proposte sono tante e contemplano anche la promozione del bio negli ambienti scolastici: da percorsi di educazione alimentare, alla presenza di mense biologiche in tutte le scuole, alla realizzazione di orti e giardini nelle strutture educative. Oltre naturalmente all’istituzione di percorsi di istruzione secondaria di secondo grado per tecnici e professionali agrari, almeno due corsi di laurea in Italia dedicati all’agricoltura biologica e biodinamica.

Per quanto riguarda i corsi di laurea già esistenti in Agraria, durante il convegno, è emersa la necessità di introdurre almeno una cattedra in bioagricoltura, integrando gli insegnamenti con corsi mirati all’innovazione del settore. Almeno due cattedre nel Paese dovrebbero essere dedicate all’agricoltura biodinamica. Infine è stata evidenziata anche la necessità di istituire dottorati di ricerca, borse post dottorato, assegni di ricerca e programmi di ricerca per favorire le attività in bioagricoltura nelle università italiane.

Fonti:

http://www.milanopost.info/2015/09/30/expo-crescono-coltivazioni-e-consumi-bio-un-settore-che-chiede-piu-spazio-a-scuola/

http://www.adnkronos.com/sostenibilita/professioni/2015/09/29/formazione-scolastica-professionale-piano-nazionale-punta-bio_DGiN566BHYOneIRRYYiTXN.html?refresh_ce