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IL BIOLOGICO ABBATTE I CONSUMI ENERGETICI DI UN TERZO

IL BIOLOGICO ABBATTE I CONSUMI ENERGETICI DI UN TERZO

Il dato emerge da un’analisi Coldiretti. In occasione del Sana illustrate le pratiche virtuose adottate dalle aziende agricole bio per fare fronte alla crisi energetica

Con la crisi energetica è boom per l’agricoltura biologica. «Un metodo di produzione – commenta Maria Letizia Gardoni , presidente di Coldiretti Bio – che consente di tagliare di un terzo i consumi energetici attraverso l’utilizzo di tecniche meno intensive, le filiere corte e la rinuncia ai concimi chimici di sintesi prodotti attraverso un grande dispendio energetico».

Una marcia in più sul fronte della neutralità climatica ribadita da Coldiretti in occasione della 34° edizione di Sana.

Un notevole vantaggio per un Paese come l’Italia in cui i terreni coltivati a bio hanno raggiunto quasi 2,2 milioni di ettari in Italia, il massimo di sempre.

Tutti questi dati emergono da un’analisi Coldiretti diffusa nel corso della manifestazione bolognese.  In occasione della quale Coldiretti ha messo in mostra valide esempi questi di buone pratiche funzionali al piano di riduzione dei consumi energetici.

«L’Emilia-Romagna  – ricorda Marco Zanni, direttore di Coldiretti Modena  – oggi è la quarta Regione in Italia per superficie coltivata a bio e per numero di operatori biologici. Sono oltre 7mila le aziende agricole biologiche, con un incremento dell’85% dal 2014 e una superficie totale che supera i 200mila ettari rappresentando circa il 18% della Sau regionale».

Le pratiche virtuose dei bioagricoltori

Tra le esperienze che abbattono i consumi illustrate dai giovani imprenditori di ColdirettiBio:

  • l’uso di sostanze naturali e 100% Made in Italy per concimare i terreni e sostituire i fertilizzanti provenienti dall’estero, rincarati anche del 170% con un effetto valanga sulla spesa delle famiglie,
  • il riutilizzo degli scarti di produzione (foglie, gusci, paglia, ecc.) per garantire energia pulita,
  • fino al potenziamento delle filiere corte con la vendita diretta che abbatte i trasporti.

In questo modo si riesce a ridurre i consumi di energia in media del 30% rispetto all’agricoltura tradizionale ma in alcuni casi, come ad esempio per le mele, si arriva addirittura al -45%.

L’impennata dei prezzi dei fertilizzanti

I concimi di sintesi (azotati, fosfatici o potassici) sono, infatti, ottenuti con procedimenti fortemente energivori e l’Italia – ricorda Coldiretti – è dipendente dall’estero per la produzione di questi prodotti. L’aumento dei costi dei fertilizzanti chimici è dovuta proprio a tali dinamiche e l’agricoltura bio, puntando esclusivamente su concimi organici e minerali, evita il ricorso a queste sostanze, valorizzando la zootecnia, che rappresenta una risorsa nazionale anche in termini di sostanza organica che gli allevamenti mettono a disposizione per rendere più fertili i nostri suoli.

Concimare la terra attraverso l’uso del letame, il compostaggio dei residui organici e anche i residui degli impianti di biogas, favorisce così la resilienza delle aziende agricole biologiche – rileva Coldiretti – e rappresenta un modello produttivo in grado di contrastare la dipendenza da mezzi di produzione esterni alle aziende. Ma, puntando sulla filiera corta, il biologico riduce anche i tempi di trasporto dei prodotti e, con essi, le emissioni in atmosfera, tagliando le intermediazioni con un rapporto diretto che avvantaggia dal punto di vista economico agricoltori e consumatori.

L’ESPERIENZA DELL’AZIENDA VITIVINICOLA LE BAITE, TRA LE PRIME CERTIFICATE DA SUOLO E SALUTE

L’ESPERIENZA DELL’AZIENDA VITIVINICOLA LE BAITE, TRA LE PRIME CERTIFICATE DA SUOLO E SALUTE

Stefano Baldessin, enologo/viticoltore pioniere del metodo biologico ha creato con la sua azienda Le Baite di Basalghelle di Mansuè (Tv) un’isola verde nel mare del Prosecco

Stefano Baldessin è un motivato pioniere del metodo biologico fin dalle origini e l’azienda Le Baite di Basalghelle di Mansuè (Tv), ancor prima di essere vitivinicola, è da sempre un esempio di ricerca esasperata del massimo grado di ecosostenibilità, un modello ante litteram di economia circolare. La versione digitale del mensile VVQ di Edagricole ha pubblicato un ampio reportage su questa realtà da sempre vicina a Suolo e Salute.

L’insegnamento del professor Garofalo

In questa realtà di 13 ettari situata vicino alle rive del fiume Livenza, al confine tra Veneto e Friuli, la vite è sempre stata coltivata, ma il padre Rino Baldessin aveva puntato dapprima sull’allevamento da latte per realizzare un ciclo chiuso in anticipo sui tempi. Fin dagli anni ’80 dello scorso secolo i Baldessin avevano infatti aderito con entusiasmo all’agricoltura organico-minerale, un modello antesignano del bio teorizzato dal professor Francesco Garofalo, fondatore nel marzo 1969 dell’Associazione Suolo e Salute. I formaggi freschi e naturali trasformati da Rino direttamente in azienda con soluzioni tecnologiche originali e venduti con il marchio Le Baite hanno saputo imporre un nuovo stile alimentare attento alla natura e alla salute poi imitato anche da altri brand decisamente più attrezzati, prima che la globalizzazione e le scelte politiche sulle quote produttive mettessero in crisi il settore del latte.

Stefano ha guidato la svolta con la coraggiosa scelta di convertire la stalla e il caseificio in cantina, trasferendo anche nel vino lo stesso modello di ciclo chiuso per realizzare tutta la produzione (coltivazione, vinificazione, presa di spuma) in azienda, nel massimo rispetto dei dettami dell’agricoltura biologica. Le Baite, infatti, è stata una delle prime aziende agricole a credere in questo modello di certificazione, come testimonia lo stesso numero dell’attestato: 00091, uno dei primi rilasciati dall’ente “Suolo e Salute”.

Un’isola verde nel mare del Prosecco

L’azienda vitivinicola Le Baite prende il nome da un vicino convento benedettino e ha i fianchi coperti da  due sorprendenti aree naturali:

  • il bosco di Baselghelle, un sito con un grande valore naturalistico perchè rappresenta l’ultimo “relitto” delle grandi foreste planiziali che occupavano questa regione prima dell’intervento umano;
  • i Prà dei Gai, un ampio bacino di espansione di 400 ettari, realizzato dalla Serenissima per assorbire le piene del Livenza, tutt’ora coperto da prati e incolti, tra l’ameno borgo medievale di Portobuffolè, uno dei più belli d’Italia, e l’abitato di Mansuè.

Un’isola verde risparmiata dagli eccessi dell’antropizzazione. Baselghelle è il baricentro di una delle più estese doc italiane, quella del Prosecco Doc. Una denominazione di successo in cui però, nonostante l’esempio di realtà come l’azienda Le Baite, il biologico non ha mai preso veramente piede. Colpa di “San” Prosecco, una benedizione calata dall’alto di cui ha giovato tutto l’esteso territorio che va da Trieste fino alle porte di Padova, che ha spinto tanti fortunati produttori a concentrarsi più sul vitigno che sul territorio o sul metodo di produzione.

Biodiversità varietale

Non è così per Baldessin: nella sua azienda la Glera non ha cannibalizzato le altre varietà e costituisce solo una parte minoritaria della superficie aziendale, arrivando al 50% dei vigneti solo se si sommano gli altri vitigni a bacca bianca Chardonnay e Verduzzo. Il restante 50% è a bacca rossa: Merlot di cloni diversi, Cabernet Franc, Cabernet Sauvignon, Carmenère e l’autoctono Raboso Piave. Il tutto dà origine a 13 etichette certificate biologiche e vegane, senza solfiti aggiunti, nelle diverse tipologie:

  • Bollicine (dove il Prosecco nelle tre versioni Brut, ExtraDry e frizzante è affiancato da Idem, uno spumante Brut rosè ottenuto da Raboso);
  • i Monovitigno di Verduzzo, Chardonnay, Merlot e Cabernet;
  • le Selezioni.

Queste ultime sono le produzioni limitate in cui Baldessin esprime tutta la sua propensione a sperimentare tecniche di vinificazione poco impattanti sull’ambiente e sulla salute dei consumatori. Barbaro è un taglio bordolese con aggiunta di Raboso, fermentato con lieviti autoctoni, sottoposto a follature manuali, e affinato in piccole botti di Rovere. Genium è un Raboso ottenuto da macerazione prolungata e invecchiato in tonneaux per 2/3 anni per arrotondare il tipico spunto “ruvido” dei tannini di questa varietà. Arcaico è un blend di Chardonnay e Verduzzo, un bianco parzialmente vinificato come un rosso, con una lenta fermentazione e un prolungato affinamento “sur lies” in piccole anfore di ceramica, dove Baldessin ha l’accortezza di evitare ossidazioni spinte («cerco più complessità e struttura, ma non voglio produrre orange wine che nascondono l’impronta del vitigno e del territorio»).

I pregi delle lunghe macerazioni

Una ricerca di equilibrio che caratterizza anche il 137Carmenère, ottenuto da uve di vecchie vigne sottoposte a lunga macerazione, metà in piccole vasche d’acciaio e metà nelle anfore di ceramica. «I polifenoli – spiega Stefano Baldessin – estratti durante la lunga macerazione, garantiscono longevità al vino, e la tenuta del colore anche invecchiamento».

 

 

IL NUOVO SVILUPPO RURALE INVESTE SUL BIOLOGICO (MA I CONTI IN MOLTE REGIONI GIÀ NON TORNANO)

IL NUOVO SVILUPPO RURALE INVESTE SUL BIOLOGICO (MA I CONTI IN MOLTE REGIONI GIÀ NON TORNANO)

Intervento di Angelo Frascarelli che su Terra e Vita spiega come si realizzerà il trasferimento di 360 milioni dal primo al secondo pilastro per sostenere l’agricoltura bio. Ma in nove Regioni la dotazione risulta già tagliata

Le strategie dell’Unione europea, Green Deal e “Farm to Fork”, spingono per una crescita dell’agricoltura biologica nei prossimi anni. Alla luce di questa scelta, l’agricoltura biologica sarà particolarmente sostenuta nella futura Pac, con dotazioni aggiuntive nel periodo 2023-2027. È quanto ricorda Angelo Frascarelli, presidente di Ismea, in un articolo pubblicato sul settimanale Terra e Vita.

Entro il prossimo 30 settembre il nostro Paese deve consegnare a Bruxelles il piano strategico nazionale emendato delle osservazioni apportate dalla Commissione alla prima versione. Una delle più importanti riguarda proprio il bio (con quali azioni concrete puntate ad anticipare al 2027 l’obiettivo del 25% della Sau nazionale?).

Il nostro Paese ha scelto di sostenere il bio solo attraverso lo Sviluppo Rurale (nessun ecoschema dedicato) ma ha previsto il trasferimento di 360 milioni di euro dal 1° al 2° pilastro (90 ogni anno), destinati a sostenere la conversione e il mantenimento del metodo di produzione biologico.

«Il maggior sostegno – commenta il professore – potrebbe essere salutato come un successo per l’agricoltura biologica, ma le risorse pubbliche non bastano, anzi possono creare pericolose illusioni, se non sono accompagnate da una crescita del mercato».

Farm to fork

Bruxelles ha innescato un deciso cambiamento di prospettive per il biologico, diventato in poco tempo da movimento alternativo a strumento politico per realizzare la strategia Farm to Fork (25% di sau bio).

Al 2020, le superfici biologiche occupano il 9,1% della Sau europea, con notevoli differenze tra gli Stati membri. Mentre alcuni presentano percentuali molto vicine all’obiettivo target del 25% (l’Austria ad esempio lo ha già superato), altri registrano valori molto bassi, in particolare quelli dell’Est Europa. L’Italia si trova tra i Paesi più “virtuosi”, con una percentuale del 17,4% di biologico sulla Sau totale (Sinab 2021).

Il piano europeo per il bio

L’attuale trend di crescita delle superfici biologiche a livello di Ue non è sufficiente per raggiungere l’obiettivo della strategia Farm to Fork. Per incentivare ulteriormente lo sviluppo del biologico Frascarelli ricorda che Commissione Ue ha pubblicato, nel marzo 2021, un piano di sviluppo per l’agricoltura biologica che si basa su tre assi (e 18 azioni):

  • alimenti e prodotti biologici per tutti: stimolare la domanda e garantire la fiducia dei consumatori;
  • stimolare la conversione e rafforzare l’intera catena del valore;
  • migliorare il contributo dell’agricoltura biologica alla sostenibilità.

Il concetto è quello che la semplice conversione di nuovi terreni al metodo di produzione biologico non sia sufficiente per la crescita del settore, ma dovrà essere accompagnata da un aumento dei consumi e della domanda di prodotti biologici.

Un trasferimento di 360 milioni

Bruxelles nel regolamento attuativo della nuov Pac Il Reg. Ue 2021/2115 (art. 103) prevede la possibilità per uno Stato membro di trasferire al Feasr (Fondo europeo agricolo di sviluppo rurale) fino al 25% della dotazione dei pagamenti diretti (Feaga – Fondo europeo agricolo di garanzia).

L’Italia ha deciso un trasferimento di risorse dal Feaga (1° pilastro) al Feasr (2° pilastro) per 505.141.168 di euro, corrispondenti a 126.285.292 di euro annui. I trasferimenti sono destinati ai seguenti interventi (tab. 1):

– giovani agricoltori per 36,2 milioni di euro annui dal 2024 al 2027, per un totale di 145,14 milioni;

– interventi sull’agricoltura biologica per 90 milioni di euro annui dal 2024 al 2027, per un totale di 360 milioni.

Risorse sottratte dalle Regioni

La dotazione aggiuntiva di 90 milioni per l’agricoltura bio è stata ripartita tra le Regioni.

Il 2° pilastro della Pac, finanziato dal Feasr, prevede l’obbligo di un cofinanziamento nazionale di circa il 50%; di conseguenza, il trasferimento di 360 milioni di euro dal 1° pilastro genera una dotazione di circa 720 milioni nel 2° pilastro a disposizione degli interventi per l’agricoltura biologica. Tale cifra si aggiunge alle risorse che le Regioni hanno impegnato per la Misura 11 dei Psr a sostegno dell’agricoltura biologica nella programmazione 2014-2022. Oltre ai sostegni diretti, l’agricoltura biologica potrà beneficiare di altri importanti Interventi della nuova politica di sviluppo rurale, tra cui lo scambio di conoscenza e informazioni, nel nuovo sistema dell’Akis (Agricultural Knowledge Innovation Systems), che dovrà accrescere le conoscenze sulle pratiche agricole biologiche per aumentare produttività e sostenibilità.

Una recente lettera inviata a tutte le Regioni italiane dalle associazioni del biologico denuncia che dall’analisi della ripartizione delle risorse per la prossima programmazione dello Sviluppo rurale, ben nove amministrazioni regionali hanno deciso di corrispondere al bio meno risorse rispetto a quanto concordato con il Governo.

La nuova misura 11 si chiamerà SRA29

Nella programmazione dello sviluppo rurale 2023-2027 non si parla più di misure e quindi di Misura 11 “Agricoltura biologica”, ma di tipologie di Intervento.

Il sostegno all’agricoltura biologica rientra all’interno del Piano Strategico Pac (Psp) nella tipologia di Intervento A) pagamenti per Impegni ambientali, climatici e altri impegni in materia di gestione, con un apposito Intervento SRA29 “Pagamento al fine di adottare e mantenere pratiche e metodi di produzione biologica”.

SRA29 sarà quindi il codice identificativo del sostegno all’agricoltura biologica nello sviluppo rurale 2023-2027.

L’intervento si applica a tutte le tipologie colturali e ai prati permanenti, prati pascoli e pascoli, esclusi i terreni a riposo, e si articola in due azioni:

– Azione 1 Conversione all’agricoltura biologica;
– Azione 2 Mantenimento dell’agricoltura biologica.

 

«LA TRANSIZIONE ECOLOGIA SIA ACCOMPAGNATA DA UNA TRANSIZIONE ENERGETICA SOSTENIBILE»

«LA TRANSIZIONE ECOLOGIA SIA ACCOMPAGNATA DA UNA TRANSIZIONE ENERGETICA SOSTENIBILE»

Copagri-Anaprobio chiede misure fiscali ad hoc per il biologico. E il coordinatore Ignazio Cirronis al Sana chiede di rimuovere i nodi burocratici che non consentono all’agricoltura di contribuire alla transizione green dell’energia

«Al governo chiediamo di impegnarsi affinché il Piano d’azione nazionale per l’agricoltura biologica individui interventi strutturali che vadano a rafforzare le filiere e favoriscano l’abbattimento dei costi di produzione».

«Anche attraverso una manovra in campo fiscale e con l’adozione di impianti di energia rinnovabile». È quanto ha chiesto Ignazio Cirronis, presidente di Anaprobio Italia, l’associazione dei produttori biologici della Copagri, nell’ambito degli Stati Generali del comparto al Sana di Bologna.

Pronti a dare il nostro contributo

«Le aziende agricole biologiche sono pronte a contribuire attivamente alla transizione ecologica del Paese – ha spiegato il presidente – ma chiedono di essere messe nelle condizioni di poter programmare il loro futuro a rischio dagli incrementi record dei costi di produzione e dell’energia». Un comparto che, secondo Cirronis, «ha le carte in regola per contribuire anche alla transizione energetica e decarbonizzazione, essendo uno degli strumenti chiave per dare impulso all’economia locale e mantenere o migliorare la qualità del territorio, in alcuni casi minacciato dall’abbandono delle campagne o sotto la pressione di un’agricoltura intensiva».

Cresce l’attesa per il piano

Da qui la necessità di incrementare gli sforzi per raggiungere l’obiettivo comunitario del 25% dei terreni bio entro il 2030, facendo crescere l’offerta e i consumi. Per questo, secondo il presidente «si dovrà arrivare dalla definizione, nell’ambito del Piano d’azione nazionale per l’agricoltura biologica di azioni efficaci in grado di sostenere il ruolo del biologico».

BIOLOGICO, IL PIANO IN 5 PUNTI DI ALLEANZA COOPERATIVE

BIOLOGICO, IL PIANO IN 5 PUNTI DI ALLEANZA COOPERATIVE

La ricetta della cooperazione presentata dal coordinatore Francesco Torriani al Sana di Bologna

«Solo la filiera è in grado di tenere insieme la produzione con la trasformazione e la commercializzazione, erogando al contempo tutti i servizi necessari alle aziende agricole che si convertono al biologico, dalla consulenza alla digitalizzazione».

Filiere forti

«Anche nel bio bisogna quindi costruire filiere forti ed efficienti, basate sulla capacità di progettazione e innovazione in modo da essere più resilienti dinanzi alle distorsioni del mercato, specie in una situazione di crisi come quella attuale». È ciò che ha affermato Francesco Torriani, coordinatore Biologico di Alleanza Cooperative Agroalimentari il 9 settembre a Bologna al convegno Rivoluzione bio – crisi climatica, conflitti in Europa, transizione ecologica: il ruolo dell’agricoltura biologica.

Promozione compartecipata

Uno dei convegni di apertura del Sana, il Salone Internazionale del Biologico e del Naturale. Fra le proposte avanzate dalla cooperazione c’è quella di sostenere la domanda attraverso «campagne promozionali d’impatto, con la compartecipazione del pubblico e del privato».

Comunità energetiche

Per contenere l’impatto dei costi energetici sulle aziende biologiche l’Alleanza cooperative punta sulle comunità energetiche. «La crisi in atto rende necessario – ha spiegato Torriani – lo sviluppo di una visione olistica: nel nostro approccio di filiera la produzione di energia necessaria all’impresa per produrre cibo non può più essere considerata un input esterno. Le comunità energetiche rappresentano un modello innovativo per la produzione, la distribuzione e il consumo di energia proveniente da fonti rinnovabili».

Sostegni fiscali e impegno nel biobreeding

Inoltre, l’introduzione di un credito di imposta a copertura delle spese di certificazione per i prodotti biologici potrebbe, secondo Torriani, «essere utile per alleggerire i costi a carico delle imprese e rendere i prodotti bio più competitivi”. Infine, dal momento che tra le maggiori sfide dell’agricoltura europea c’è anche quella di aumentare la produzione per essere meno dipendenti dall’estero, anche l’agricoltura biologica secondo l’Alleanza cooperative deve farsi carico di questa sfida. Come? «Puntando – secondo Torriani  -sull’innovazione, a partire dal biobreeding, ovvero la selezione di nuove varietà, che permettano di coniugare la qualità alla quantità nel rispetto dei principi dell’agroecologia».

LA PAC PREMIERÀ PIÙ L’INTEGRATO CHE IL BIOLOGICO?

LA PAC PREMIERÀ PIÙ L’INTEGRATO CHE IL BIOLOGICO?

Le associazioni di settore chiedono di garantire l’accordo Stato-Regioni per evitare la distorsione di una Pac che in Italia rischia di premiare più l’agricoltura integrata di quella bio

Piano d’azione per il biologico, Piano strategico nazionale per la nuova Pac: le scadenze sono vicine e la prossima edizione del Sana e dell’evento Rivoluzione bio offrirà l’occasione per conoscere in anteprima cosa bolle in pentola.

I programmi per il futuro

È infatti un periodo di intensa programmazione per il futuro dell’agricoltura biologica italiana, il piano strategico nazionale, in particolare, deve essere consegnato a Bruxelles entro il 30 settembre, ma le indiscrezioni finora filtrate su questi importanti documenti non sono all’altezza delle aspettative del settore.

L’intreccio tra ecoschemi e sviluppo rurale

Dal confronto tra Regioni e Ministero delle Politiche agricole sembra emergere infatti la distorsione di una politica agricola comunitaria che premierà in Italia più l’agricoltura integrata che quella biologica per effetto di un diabolico intreccio tra i contributi legati agli ecoschemi e a quelli per lo sviluppo rurale. Per questo le associazioni del biologico hanno inviato a fine agosto una lettera alle amministrazioni regionali per  garantire l’accordo Stato Regioni per incrementare gli stanziamenti dedicati al biologico.

L’obiettivo del Green deal

L’iniziativa è finalizzata anche a non pregiudicare il raggiungimento del 25% di superficie coltivata a bio entro il 2027 «come previsto dal Piano Strategico Nazionale, valutato positivamente dalla Commissione Ue». Alle Regioni che stanno definendo la destinazione delle risorse riservate allo sviluppo rurale, viene chiesto di confermare per il biologico gli stessi stanziamenti del periodo 2014-2022, oltre all’incremento necessario per il rispetto dell’accordo raggiunto in Conferenza Stato Regioni relativo ai 90 milioni di euro annui da trasferire dal primo al secondo pilastro con cofinanziamento delle Regioni.

«È indispensabile per le imprese agricole disporre di risorse adeguate a sostenere la conversione al biologico e a mantenere questa forma di agricoltura che tutela la fertilità del suolo, la biodiversità, oltre a contrastare il cambiamento climatico e supportare così la transizione ecologica tracciata dal Green Deal Europeo».