Suolo e Salute

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La triste realtà dei “villaggi del cancro” cinesi

Importante presa di posizione del Ministero dell’Ambiente cinese che nei giorni scorsi, per la prima volta, ha ufficialmente ammesso l’esistenza dei cosiddetti “villaggi del cancro” sul territorio della Repubblica Popolare. Il sinistro nome dato a queste località è dovuto al fatto che l’inquinamento è così elevato da far registrare un’incidenza di tumori decisamente superiore alla norma. E, dato ancora più importante, rispetto ai dati già diffusi in precedenza da alcune associazioni ambientaliste, il numero dei luoghi censiti, da circa un centinaio, è salito a oltre 400. Un atto di trasparenza piuttosto inusuale per il governo cinese, accompagnato da un documento in cui il governo si dichiara intenzionato a “proteggere e controllare i rischi derivanti da sostanze chimiche per l’ambiente nel periodo del piano quinquennale (2011-2015)”. Sostanze chimiche tossiche che, per ammissione dello stesso Ministero, “sono all’origine di molte crisi ambientali, legate all’inquinamento dell’aria o dell’acqua”. LA notizia, ripresa pochi giorni fa dal quotidiano francese “Le Figaro”, riporta alla ribalta una realtà denunciata per la prima volta nel 2009 da eng Fei, giornalista della televisione di Hong Kong Phoenix TV, che iniziò un’opera di sensibilizzazione pubblica sul legame tra inquinamento e malattie contratte dalla popolazione residente. Nei “Villaggi del cancro” infatti l’incidenza della malattia ha subito un incremento record dell’80% negli ultimi trent’anni, al punto da diventare la prima causa di morte in Cina, stando alle dichiarazioni del Ministero della Salute cinese. Attualmente, ogni anno in Cina muoiono per tumore circa 2,7 milioni di persone, secondo quanto riferito dal China Daily in un articolo del mese scorso che cita il rapporto 2012 del Cancer Registry. Un numero elevatissimo in costante crescita, specchio di uno sviluppo economico ininterrotto che i cinesi stanno pagando a caro prezzo sulla propria pelle. E un monito molto chiaro, se mai dovesse servire, sulle gravissime conseguenze che un ambiente inquinato possono arrecare non solo all’ambiente stesso ma, in prima battuta, alla salute umana.

Fonte: AIOL

E in Nuova Zelanda rispunta un uccello delle tempeste ritenuto estinto

Tra le tante notizie negative che provengono dal fronte della conservazione della biodiversità, ogni tanto capita di poter raccontare una storia con un inatteso happy end. E’ il caso dell’ Oceanites maorianus, un piccolo uccello delle tempeste che risultava estinto da oltre 150 anni e che, quasi miracolosamente, è stato ritrovato da un gruppo di ricercatori neozelandesi.

Le ricerche miravano a verificare la presenza di siti di nidificazione dopo che alcuni esemplari erano stati avvistati nel 2003 dopo quasi un secolo e mezzo durante il quale si era persa ogni traccia di questa specie.

Il team, guidato da da Chris Gaskin e Matt Rayner dell’università di Auckland, ha compiuto una serie di studi nelle Poor Knights Islands, Mokohinau Islands ed a Little Barrier Island nel tentativo di individuare il sito di nidificazione dopo che, nel 2012, alcuni individui catturati in mare aperto avevano rivelato agli studiosi tracce di nidificazione e di allevamento dei pulcini.Il gruppo di ricerca ha così potuto catturare 24 uccelli delle tempeste della Nuova Zelanda e, con un microscopico radio-trasmettitore del peso di solo un grammo, sono riusciti a individuare il sito di nidificazione, tenuto gelosamente segreto per ovvi motivi di conservazione.

«Il sito da monitorare è molto fragile e con gli uccelli in una fase delicata del loro ciclo di allevamento. Stiamo utilizzando per la maggior parte strumenti automatizzati e mantenere un approccio” hands-off”, sebbene il team visiti la zona e la tenga sotto controllo», ha dichiarato Matt Ryner, secondo il quale “la scoperta ribadisce  l’importanza di una gestione attenta dei gioielli conservazione, come Little Barrier Island e gli ambienti marini circostanti”. Ora i ricercatori stanno cercando di stimare l’entità della popolazione e la sua distribuzione. Proprio basandosi sul lavoro degli studiosi L’Hauraki Gulf Forum si appresta a pubblicare l’Hauraki Gulf seabird management strategy and research plan. Secondo John Tregidga, presidente del Forum, «localizzare il territorio di nidificazione è stato di rilevanza internazionale e metterà in evidenza l’importanza dell’ Hauraki Gulf Marine Park come significativo  hotspot della biodiversità a livello globale».

Fonte: Greenreport

Il resveratrolo delle uve rosse contro i deficit di udito e cognitivi

Secondo quanto rivelato da uno studio condotto dai ricercatori dell’Henry Ford Hospital di Detroit, Stati Uniti, il resveratrolo, un fenolo non flavonoide rinvenuto nella buccia dell’acino d’uva, è in grado di contrastare i danni all’udito e opporsi al declino cognitivo. Lo studio ha sperimentato la sostanza su un popolazione di topi sottoposti sperimentalmente all’esposizione a forti rumori prolungati. I ratti cui era stato somministrato il resveratrolo hanno fatto registrare una minore incidenza di perdita o diminuzione dell’udito. “Il nostro ultimo studio si concentra sul resveratrolo e sui suoi effetti sulla bio-infiammazione, la risposta del corpo al danno e a tutto quello che si ritiene essere la causa di molti problemi di salute, tra cui l’Alzheimer, il cancro, l’invecchiamento e la perdita dell’udito“, ha spiegato l’autore dello studio, Michael D. Seidman, direttore della divisione di chirurgia dell’orecchio e neurologia dell’Henry Ford Hospital. “Il resveratrolo è una sostanza chimica molto potente che sembra proteggere contro i processi infiammatori del corpo legati all’invecchiamento, alla cognizione e alla perdita dell’udito.” “Abbiamo dimostrato che somministrando agli animali il resveratrolo, siamo in grado di ridurre il declino cognitivo e dell’udito“, ha concluso  il dottor Seidman.

Fonte: Freshplaza

Energia tascabile con la microturbina Made in Italy

Sembra un’invenzione di Archimede Pitagorico, ma al contrario è un progetto reale e tutto Made in Italy. Stiamo parlando di una microturbina del diametro record di 14 millimetri in grado di produrre energia sfruttando le piccole quantità di energia meccanica o fluida presenti nell’ambiente per alimentare sensori o altri sistemi di misura. Autore di questo prototipo brevettato che ha già attirato l’interesse di numerose aziende della Silicon Valley Emanuele Guglielmino, dell’ITT, l’Istituto Italiano di Tecnologia. Un progetto che ha ricevuto il prestigioso riconoscimento di migliore innovazione sia da Start Cup Ricerca – Il Sole 24 Ore che da Mind The Bridge.

La struttura compatta e la capacità di generare autonomamente fino a 30W, rende la microturbina una tecnologia adatta a sostituire le batterie o a ricaricarle in particolare all’interno di impianti distribuiti su grandi estensioni o in zone remote, riducendo l’utilizzo dei cavi elettrici associati”, ha dichiarato l’inventore.

Le applicazioni potenziali sono davvero infinite, data la possibilità della microturbina di utilizzare aria o gas in pressione in aree altrimenti complicate da raggiungere con un normale sistema di cavi. Gasdotti, reti idriche, sistemi ferroviari, sono solo alcuni dei moltissimi ambiti di applicazione potenziale di questo prototipo che, secondo il suo realizzatore, ha una durata stimata di circa 10 anni.

Fonte: Greenme

La ruggine del caffè mette in ginocchio le coltivazioni del Centro e Sud America

Il nome scientifico, Hemileia vastatrix, (“devastatrice”, letteralmente) suona già piuttosto sinistro. E i suoi effetti non sono da meno. Stiamo parlando della cosiddetta “ruggine del caffè”, un fungo parassita che colpisce molte piante del genere Coffea e che sta letteralmente flagellando le coltivazioni di caffè centro e sud americane. La storia è veramente emblematica di quanto l’avventatezza, l’imprudenza e l’arroganza dell’uomo possano essere dannose. Originaria probabilmente dell’Africa Orientale, è conosciuta dal lontano 1861,quando è stata segnalata per la prima volta nelle vicinanze del Lago Vittoria, in Tanzania. In breve tempo, utilizzando il trasporto e il commercio umani come vettori involontari, si è diffusa dapprima in Asia (a partire dallo Sri Lanka, dove approdò nel 1867), quindi in tutta l’Asia e nell’Africa centro-meridionale. Nelle Americhe in suo arrivo è relativamente recente, e la prima segnalazione,in Brasile, risale al 1970. Ma il fungo non ha perso tempo, grazie alla trasmissione aerea delle spore, che rendono virtualmente impossibile impedirne l’espansione. Oggi l’infezione interessa tutti i paesi coltivatori di caffè, ma fino a tempi recenti questo parassita sembrava relativamente sotto controllo. E’ da qualche mese invece che una nuova, terribile epidemia sta letteralmente mettendo in ginocchio la produzione dell’America Latina, responsabile di circa il 14% dell’intera produzione mondiale. E le cause sembrano palesemente di origine umana. Per secoli infatti il caffè è stato coltivato all’ombra degli alberi, dove gli arbusti crescevano rigogliosi in perfetto equilibrio con l’ecosistema: insetti, uccelli, altre specie di funghi benefici, in grado di contrastare l’azione dell’Hemileia. Ma l’intervento dell’uomo ha portato al trasferimento delle colture in aree direttamente esposte al sole, ritenute più produttive. Il risultato è stato l’alterazione profonda dell’ecosistema in cui la pianta aveva trovato il proprio equilibrio, eliminando di fatto tutti quegli alleati preziosi in grado di mantenere le coltivazioni in salute. L’azione sinergica dei mutamenti climatici e dell’impoverimento dei suoli ha dato il colpo di grazia. Queste almeno le conclusioni cui è giunto  John Vandermeer, ricercatore dell’Università del Michigan, che da 15 anni lavora a stretto contatto con gli agricoltori di Chiapas e Centro America. Sulla vicenda, Vandermeer è perentorio: la ragione del disastro è da ricercarsi nell’” aver trattato il caffè come se fosse mais, per massimizzare i raccolti”.

La situazione è decisamente allarmante: circa il 10% delle piante è morto, il 30% ha perso tutte le foglie e il 60% ne ha perdute almeno l’80%. Lo studioso non nasconde le proprie preoccupazioni, puntando l’indice contro la gestione avventata della coltivazioni: “Il delicato equilibrio che sostiene le piantagioni si è lentamente alterato fino ad arrivare a un punto di rottura, nel quale la ruggine del caffè ha preso il sopravvento. Può darsi che la roya (così viene anche chiamata dagli agricoltori) si autolimiti e che, dopo l’esplosione di quest’anno, torni a livelli normali, ma può anche accadere che resti una piaga endemica di questa regione, con gravissime conseguenze per i coltivatori, almeno fino a quando non sarà invertita la tendenza a privilegiare le coltivazioni al sole”. Un esempio evidente dell’importanza, spesso sottovalutata, di un’agricoltura in equilibrio con l’ambiente, le risorse naturali, e le specifiche esigenze biologiche delle specie coltivate.

Fonte: il Fatto Alimentare

La quinoa, una risorsa contro la fame nel mondo

Si è tenuta il 21 febbraio scorso la cerimonia ufficiale dedicata al lancio dell’Anno Internazionale della Quinoa, svoltasi presso la sede Onu di New York. Un evento cui hanno preso parte tra gli altri il Direttore Generale della Fao,  José Graziano da Silva, insieme al Segretario Generale Onu Ban Ki-moon, il Presidente boliviano Evo Morales e la First Lady del Perù, Nadine Heredia Alarcón de Humala.

“Oggi siamo qui per arruolare un nuovo alleato nella lotta contro fame ed insicurezza alimentare – la quinoa”, ha dichiarato da Silva, elogiando le caratteristiche di questa pianta e le sue caratteristiche nutrizionali.

Si tratta infatti di una specie in grado di adattarsi a climi e ambienti molto diversi e che ha la prerogativa di contenere all’interno dei propri tessuti tutti gli amminoacidi essenziali, i micronutrienti e le vitamine più importanti per l’alimentazione umana, offrendo un’alternativa credibile e fondamentale per moltissimi paesi afflitti da endemiche carestie alimentari.  La quinoa ha la capacità quasi esclusiva nel regno vegetale di poter crescere dal livello del mare fino ad oltre 4.000 metri di altezza, sopportando temperature variabili dai -8 °C fino ai 38°C. Una plasticità ecologica straordinaria, in grado di fornire una risposta concreta anche alle nuove sfide imposte dal cambiamento climatico e alle crescenti richieste alimentari di una popolazione mondiale in costante crescita.

“Questo straordinario cereale è stato un punto di riferimento culturale e un alimento base nella dieta di milioni di persone in tutte le Ande per migliaia di anni”, ha detto il Segretario Generale dell’Onu Ban Ki-moon- “Adesso è venuto il momento di dare alla quinoa il riconoscimento mondiale che si merita”. “Questa coltura può essere decisiva nel far incrementare i redditi – un elemento chiave della Sfida Fame Zero”, ha aggiunto Ban Ki-Moon.

La quinoa, una pianta  appartenente alla famiglia delle Chenopodiaceae (la stessa di spinaci e barbabietole), pur non essendo un cereale ha un utilizzo per molti versi simile, ragion per cui è considerata uno pseudo cereale, ovvero una pianta dalla quale è possibile ricavare farina. Per secoli è stata una fondamentale risorsa di cibo per le civiltà pre-colombiane, insieme alle patate. La quinoa infatti può essere macinata per ottenere un pane di quinoa, cucinata, utilizzata come un cereale, come pasta o per fare la birra o la chica, bevanda tradizionale delle Ande. Oggi, oltre che in Bolivia, Perù, Ecuador, Cile, Colombia ed Argentina, è coltivata anche negli Stati Uniti, in Canada, in Francia, nel Regno Unito, in Svezia, in Danimarca, in Italia, in Kenya ed in India.  “La quinoa è un dono ancestrale delle popolazioni andine”, ha affermato il Presidente boliviano Evo Morales, ricordando il ruolo delle popolazioni indigene nel custodire questa coltivazione per oltre 7000 anni..

“L’Anno Internazionale della quinoa servirà non solo a stimolare lo sviluppo di questa coltivazione in tutto il mondo, ma anche a riconoscere che le sfide del mondo moderno possono essere affrontate facendo ricorso al sapere dei nostri antenati e dei piccoli coltivatori che attualmente ne sono i principali produttori”, ha dichiarato Graziano da Silva. La cerimonia di New York dà il via ad un anno nel corso del quale la Fao intende dare forte impulso al miglioramento condizioni di vita di migliaia di piccoli contadini e consumatori dei paesi più poveri del mondo.

Fonte: Utagri-Enea