Suolo e Salute

Mese: Novembre 2021

SI CHIUDE LA COP26 CON ACCORDI AL RIBASSO SULLE AZIONI DI CONTRASTO AL CLIMATE CHANGE

SI CHIUDE LA COP26 CON ACCORDI AL RIBASSO SULLE AZIONI DI CONTRASTO AL CLIMATE CHANGE

Nella conferenza di Glasgow il ruolo dell’agricoltura rimane in secondo piano. «Ci auguriamo – commenta Alessandro D’Elia, direttore generale di Suolo e Salute – che le preoccupazioni unanimi sui cambiamenti climatici spingano ad azioni concrete almeno nell’attuazione della Pac, favorendo modelli produttivi resilienti come quelli biologici»

Va in archivio anche la 26a edizione della Conferenza globale sul clima delle Nazioni Unite. Mentre per le strade di Glasgow il movimento di Greta Thunberg e dei Friday4Climate gridava la sua sfiducia per la cattiva gestione della crisi climatica, dentro lo Scottish Event Center, dove si è tenuta la Cop26, i leader del mondo hanno chiuso un accordo decisamente al ribasso sulla limitazione del ricorso ai combustibili fossili.

Agricoltura comprimaria

Timide anche le decisioni che riguardano l’agricoltura, alla quale la Cop26 non ha nemmeno riservato una giornata dedicata (come è successo per le foreste, le finanze e i trasporti), relegandola a comprimaria della “Giornata della natura e del suolo” di sabato 6 novembre.

In questa occasione i 45 governi rappresentati a Glasgow, guidati dal Regno Unito, si sono impegnati ad investire complessivamente 4 miliardi di dollari in azioni per proteggere la natura e passare a sistemi agricoli più sostenibili. «Circa il 25% delle emissioni mondiali di gas serra – si legge nel comunicato finale della giornata – viene dall’agricoltura e dall’allevamento e questo comporta la necessità di un cambiamento nel modo in cui si coltiva e si consuma il cibo, per fronteggiare il cambiamento climatico».

Deforestazione ed emissione di gas serra

Le questioni più impattanti riguardo alla deforestazione e all’emissione dei gas serra come il metano sono state quindi affrontate nei giorni precedenti (anche qui con impegni molto labili) mentre nella giornata della natura e del suolo è stato in parte rivisto l’accordo KJWA. A partire dal 2017 (Cop23), le questioni relative all’agricoltura, nell’ambito della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Unfccc), sono infatti discusse nel Koronivia Joint Work on Agriculture (KJWA).

La gestione del suolo e dei nutrienti

L’aggiornamento di questo piano (clicca per accedere al testo in inglese) ha portato a riconoscere  la necessità di una transizione verso sistemi alimentari sostenibili e resilienti, tenendo in considerazione la vulnerabilità dell’agricoltura agli impatti dei cambiamenti climatici. Per realizzare questa transizione, viene riconosciuto il ruolo chiave di:

  • pratiche sostenibili di gestione del suolo e dell’uso ottimale dei nutrienti, compresi i fertilizzanti organici e il letame;
  • gestione sostenibile degli allevamenti per tutelare il benessere animale;
  • l’aumento delle risorse per ottenere sistemi agricoli inclusivi, sostenibili e resilienti al clima.

Sementi resistenti

I 4 miliardi di dollari investimenti pubblici che gli Stati si impegnano a mobilitare nell’innovazione agricola saranno spesi anche nello sviluppo di sementi resistenti al cambiamento climatico e in soluzioni per migliorare la salute del suolo, rendendo disponibili queste innovazioni agli agricoltori di tutto il mondo. Sedici Paesi hanno lanciato una “Policy Action Agenda” che coinvolge anche l’agricoltura e più di 160 soggetti fra Stati e Organizzazioni pubbliche hanno aderito alla “Global Agenda for Innovation in Agriculture” in favore  di un settore agroalimentare più resistente e sostenibile. Al termine della giornata della natura e del suolo il presidente della Cop26, il britannico Alok Sharma, ha annunciato che sono saliti a 134 i Paesi che hanno aderito al piano contro la deforestazione da quasi 20 miliardi di dollari, annunciato nei giorni precedenti a Glasgow.

Energie rinnovabili

Sul tema della riduzione del ricorso alle fonti energetiche fossili che ha chiuso la Conferenza di Glasgow, la resistenza di India e Cina ha ridotto la portata degli impegni contro il ricorso al carbone, mentre è stata ribadita la funzione fondamentale delle energie rinnovabili, sena però espliciti riferimenti al ruolo delle aziende agricole nella produzione di biogas, biometano e agrisolare.

Per Suolo e Salute la portata della Cop26 è stata quindi decisamente sotto le attese. «A voler vedere per forza il bicchiere mezzo pieno – commenta Alessandro D’Elia, direttore generale di Suolo e Salute – si può mettere in evidenza l’accordo unanime dei Paesi che hanno partecipato alla Conferenza riguardo ai problemi da affrontare e la circostanza che nessuno abbia avanzato le ipotesi di rivedere al ribasso, come accaduto nelle precedenti riunioni, gli accordi per il contrasto al climate change raggiunti a Parigi nel 2015». «I mezzi proposti per contrastare questi problemi sono però decisamente insufficienti, la nostra attenzione si sposta quindi ora verso le importanti decisioni che l’Unione europea dovrà prendere mesi sulla politica agricola comunitaria. Ci aspettiamo che siano coerenti con le preoccupazioni della Cop26, dando seguito all’impegno a favorire un modello di agricoltura resiliente al clima come quella biologica».

 

«PIÙ RISORSE NEL PNRR PER IL BIOLOGICO»

«PIÙ RISORSE NEL PNRR PER IL BIOLOGICO»

Le richieste della filiera nel corso dell’evento di apertura di B/Open incentrato sul tema: «PNRR, filiera agroalimentare sostenibile e biologico: politiche e strategie di sviluppo»

«Il biologico è uno dei driver principali per la transizione del sistema agroalimentare verso la sostenibilità».

«Il settore deve diventare protagonista del piano nazionale di ripresa e resilienza, accompagnato da risorse e progetti specifici e sostenuto da innovazione e ricerca».

Il ruolo imprescindibile del bio

Sono alcuni degli spunti presi dagli interventi dei relatori protagonisti del convegno “PNRR, filiera agroalimentare sostenibile e biologico: politiche e strategie di sviluppo”, evento di apertura del B/Open di Verona, la prima fiera B2B dedicata al comparto.

L’evento puntava a mettere in evidenza il ruolo imprescindibile del bio nella sfida della sostenibilità lanciata dal Pnrr. Dopo i saluti introduttivi di Maurizio Danese, Presidente di Veronafiere Spa e lo speech di apertura di Stefano Vaccari, Direttore generale CREA su «Il ruolo dell’agricoltura all’interno del PNRR: quali opportunità per il settore del biologico», sul palco si sono succeduti gli interventi della filiera rappresentata da Riccardo Cozzo di Assocertbio, Giuseppe Romano (Aiab), Carlo Triarico (Agricoltura Biodinamica); Enrico Amico (Demeter Italia); Maria Grazia Mammuccini (FederBio), Maria Letizia Gardoni (Coldiretti); Dino Scanavino (Cia-Agricoltori Italiani); Franco Verrascina (Copagri) Francesco Torriani (Coordinatore del settore biologico dell’Alleanza delle Cooperative Agroalimentari).

Biodistretti, Op e interprofessione

Durante l’incontro è emersa l’importanza di puntare su: valorizzazione e promozione del bio Made in Italy sui mercati esteri, distretti biologici e strumenti di aggregazione, in primis OP e OI (organizzazioni di produttori e interprofessione, ndr), istituzione di un marchio bio italiano, ma anche ad un maggiore riequilibrio tra domanda e offerta di prodotti bio.

Battistoni (sottosegretario Mipaaf): «La transizione ecologica passa dal bio»

«Tra gli strumenti – ha riferito Francesco Battistoni, Sottosegretario alle Politiche Agricole concludendo l’evento –   per rispondere alle richieste di maggiore sostenibilità provenienti dall’Europa, quello più affidabile per il nostro Paese è quello del biologico».

«Siamo infatti fra i primi sia come superficie coltivata che sull’export. Abbiamo l’obiettivo di raggiungere una quota di superficie del 25% entro il 2030 ed è mantenendo questi obiettivi che daremo la nostra risposta alla richiesta di transizione ecologica presente nel Pnrr».

(Fonte Terra e Vita e Ansa)

ALCE NERO, UNA NEWCO PER I MENU BIO DEGLI ALBERGHI

ALCE NERO, UNA NEWCO PER I MENU BIO DEGLI ALBERGHI

Il marchio bolognese entra nel mercato del “Ready to eat”

Alce Nero, uno dei maggiori gruppi del biologico italiano, punta sulle strutture ricettive.

Il marchio bolognese ha creato infatti una newco, “Ristorazione Alce Nero” (Ran), che ha consentito l’apertura al mondo del catering e degli eventi.

Piatti pronti bio per alberghi e resort

La nuova società ha cominciato a fornire ad alberghi e resort piatti già pronti in atmosfera controllata, con le istruzioni necessarie per rigenerarli e prepararli a regola d’arte sul posto.

I piatti vengono elaborati dalla società di catering gourmet BioQitchen sulla base di prodotti Alce Nero. In tre mesi l’azienda bolognese, che così è diventata l’unica in Italia in grado di fornire menu biologici a strutture ricettive, ha consegnato circa 40mila pasti, forte di una capacità produttiva di 12mila al mese anche se l’intenzione è crescere ancora.

Un servizio innovativo

«Si tratta di un’importante innovazione, sia per Alce Nero che per il mercato – spiega Stefano Pratesi, project manager di Ran -. Attualmente Alce Nero è l’unica realtà italiana in grado di poter offrire un servizio del genere, che unisce l’alta qualità alla filosofia bio che ispira da sempre la nostra azienda, consentendo inoltre concrete possibilità di risparmio per gli operatori che non hanno nella cucina il proprio core business ma non vogliono rinunciare a un’offerta di alta qualità».

(fonte Ansa)

CEREALI, FARINE E SNACK BIO, IN NORD AMERICA È UN BUSINESS DA GIGANTI

CEREALI, FARINE E SNACK BIO, IN NORD AMERICA È UN BUSINESS DA GIGANTI

Nature’s Path, marchio leader per i derivati dai cereali bio, acquisisce la quota di maggioranza del “mulino bianco” biologico canadese Anita’s organic mill

Il più grande produttore di cereali e snack biologici acquista uno dei marchi più ricercati dai consumatori “green” nord americani. L’accordo infatti con Nature’s Path, dal 1985 uno dei protagonisti dell’avanzata del mercato dei prodotti senza trattamenti (e senza Ogm) tra gli scaffali degli store americani e canadesi, è destinato a far compiere un salto di qualità al marchio Anita’s organic mill, con sede a  Chilliwack, nella Columbia canadese.

Un mercato in espansione

Nature’s Path è diventato in 35 anni un vero gigante nel mercato degli alimenti bio e ha annunciato questa settimana di aver acquisito una partecipazione di maggioranza nel mulino di Chilliwack.

«Siamo clienti di Anita’s Organic Mill dal 2015 – afferma Arjan Stephens, direttore generale di Nature’s Path – e utilizziamo la loro farina in alcuni dei nostri prodotti più venduti, come i nostri cereali Heritage Flakes e Flax Plus».

L’alta qualità della linea di prodotti di Anita, così come il loro costante impegno per i prodotti biologici, non sono passati inosservati.

Verso una dimensione globale

«Amiamo i prodotti di Anita e non vediamo l’ora di portarli nelle cucine di tutto il mondo». Anita’s manterrà la propria identità aggiungendosi alla famiglia di marchi Nature’s Path tra cui Love Crunch, EnviroKidz e Que Pasa.

«Per 35 anni Nature’s Path è stato un pioniere nel mondo del cibo biologico – riconosce Taylor Gemmel, co-proprietario e presidente di Anita’s Organic Mill -. Anche se ormai è una storia di successo globale, non ha mai deviato dalla sua missione di sostenibilità».

La salvaguardia dei contratti di coltivazione

Anita’s Organic Mill, realtà fondata nel 1997, è già oggi uno dei produttori di farine biologiche più rispettati del Canada, con una vasta gamma di prodotti da forno biologici, un impianto di confezionamento al dettaglio e sfuso, e un panificio dove vengono svolte le prove di sviluppo per i nuovi prodotti. L’impegno sottoscritto con Nature’sPath precede la salvaguardia dei contratti di coltivazione in corso con gli agricoltori canadesi, per il rifornimento dei cereali macinati a pietra a Chilliwack.

“SICILIA SOSTENIBILE PER NATURA”

“SICILIA SOSTENIBILE PER NATURA”

La Sicilia, con 30mila ettari di vigneti certificati, è il maggiore distretto italiano del vino bio. Un impegno che la neonata Fondazione SOStain vuole diffondere e valorizzare sull’onda di «un nuovo umanesimo ecologico»

In Sicilia è in corso un cambio di mentalità verso un nuovo “umanesimo ecologico”. La Fondazione SOStain Sicilia persegue infatti un modello “generativo”, basato su una più relazione più rispettosa tra uomo, ambiente ed economia e che ha come principale protagonista il vigneto biologico siciliano, il più esteso d’Italia.

La nascita della Fondazione SOStain

Nata dalla volontà del Consorzio di tutela Vini doc Sicilia e di Assovini Sicilia, la Fondazione SOStain è stata presentata a Palermo al talk di apertura “Sicilia sostenibile per natura” di una tre giorni organizzata dal Consorzio Doc Sicilia, che riunisce quasi 8mila viticoltori siciliani. In questa occasione Antonio Rallo, presidente del Consorzio di Tutela Vini Doc Sicilia, ha illustrato numeri significativi: «Il vigneto biologico siciliano è il più grande d’Italia, pari a 30.084 ettari. Una superficie che corrisponde a tre volte il vigneto biologico del Veneto, al doppio di quello toscano o pugliese». La Sicilia è quindi la più grande zona vitivinicola biologica in Italia, pari al 34% della superficie bio italiana. «I produttori siciliani che oggi producono uve biologiche sono il 22%: ciò significa che più di un produttore su 5 ha scelto questa strada e, di tale evidenza, non possiamo che esserne orgogliosi».

Un cambio di mentalità condiviso

Il marchio SOStain in etichetta, fa riferimento alla gestione sostenibile del vigneto, al divieto di diserbo chimico, alla protezione della biodiversità, all’utilizzo di materiali ecocompatibili, di materie prime locali, e di tecnologie energeticamente efficienti. «Parlare oggi di sostenibilità – sottolinea Alberto Tasca, presidente di Fondazione SOStain Sicilia – significa pensare a un radicale cambio di mentalità per le aziende e per tutte le organizzazioni, non soltanto per le imprese agricole o vitivinicole. Significa acquisire consapevolezza che la difesa dei diritti della Natura coincide con quella della vita dell’uomo». Essere sostenibili implica dunque, secondo Tasca, la necessità di un passo avanti per l’intero comparto enologico siciliano. «Un passo che conduca a una nuova consapevolezza, al riconoscimento degli enormi benefici che la sostenibilità porta con sé».

NEL BIO C’È PIÙ GUSTO?

NEL BIO C’È PIÙ GUSTO?

Non solo sostenibilità: la presenza di un marchio certificato come quello del bio o del biodinamico influenza anche il giudizio sulla qualità del vino. Un miglioramento oggettivo o solo suggestione? Debora Viviani (UniVr): «È il segnale che il bio fornisce risposte “personalizzate” alle esigenze e alle ansie di ogni classe di consumatore»

Oltre alla sostenibilità, c’è anche più “gusto” nel vino bio? Ovvero: il metodo produttivo scelto – e la sua comunicazione – incidono sulla percezione della qualità?

È il tema che ha tenuto banco in occasione del webinar “Bio c’è più gusto?” organizzato al Vinitaly special edition nell’ambito del progetto europeo Biols.eu. Una risposta arriva da due indagini già concluse, ricordate in occasione dell’incontro.

Le riviste Usa premiano il vino bio

“Il vino bio ha un gusto migliore?” è uno studio del 2016 realizzato dai ricercatori dell’Università della California che ha messo a confronto i giudizi di tre pubblicazioni molto seguite dall’universo del vino a stelle e strisce (The Wine Advocate, Wine Enthusiast e Wine Spectator). Dalle recensioni di 74.148 vini prodotti in California tra il 1998 e il 2009 è emerso che la certificazione bio ha un impatto statisticamente significativo sui punteggi assegnati ai vini, aumentando le valutazioni in media di 4,1 punti.

E lo stesso i critici francesi

Un secondo studio più recente è stato realizzato sempre dall’Università della California assieme a Sciences Po, centro universitario francese leader in scienze sociali che hanno testato l’impatto dei marchi di sostenibilità (bio, biodinamico, ma anche marchi “green” non certificati) sulle valutazioni degli esperti di tre importanti guide, questa volta francesi (Gault Millau, Gilbert Gaillard e Bettane Desseauve). I risultati, basati sull’analisi delle recensioni di 128.182 vini, indicano che le etichette biologiche e biodinamiche certificate da terze parti portano a un miglioramento delle valutazioni (rispettivamente +6,2 e +5,6 punti percentuali) rispetto ai vini convenzionali, mentre i marchi di naturalità auto-dichiarata, che includono pratiche sostenibili non certificate, hanno ricevuto, nei migliori dei casi, valutazioni simili a quelli dei vini convenzionali.

La certificazione è il punto di partenza

Risultati che hanno spinto i produttori presenti a sottolineare l’importanza della certificazione. «È il punto di partenza – ha sostenuto Silvano Brescianini, produttore del primo Franciacorta biologico e Presidente del Consorzio per la tutela del Franciacorta – di ogni discussione intorno al tema biologico. Solo il riconoscimento di un ente terzo può offrire le garanzie necessarie in tema di sostenibilità e qualità».

Per Brescianini il bio è la migliore strada per raggiungere il traguardo della qualità. «Dal 1991, anno della prima legge europea sul bio a oggi, c’è stata una netta evoluzione nelle pratiche sia di vigneto che di cantina». «La cura bio del vigneto è la migliore garanzia per esaltare le specificità di ogni territorio».

«A fronte della salvaguardia della complessità dell’ecosistema – ha concordato Ivo Nardi, pioniere del Prosecco Docg bio – occorre rispettare le condizioni per raggiungere una qualità ormai riconosciuta. L’azienda bio parla di sostenibilità a 360° coinvolgendo anche l’ambito economico, diventando un esempio virtuoso di remunerazione dello sforzo di chi opera in vigna e in cantina.

Nicola Venditti, storico produttore di vino biologico di qualità nella Dop Sannio nel territorio di Castelvenere (Benevento) ha messo in evidenza i passi in avanti fatti dalla viticoltura bio grazie all’apporto sempre più decisivo che la tecnologica offre a sostegno della cura della vigna in modo naturale. «Un elemento fondamentale – ha detto – per conservare nel corso degli anni una costanza qualitativa della produzione».

Un primato da difendere

Maria Grazia Mammuccini, viticoltrice nella zona del Chianti Colli Aretini ha sottolineato il primato del nostro Paese per la diffusione della viticoltura bio. «Un primato da sostenere – ha raccomandato – perché competitor europei come Francia e Spagna, hanno fatto segnare nel 2020 sul 2019 incrementi superiori a quello italiano sul lato produttivo (rispettivamente +23% e +8% contro +7%)».

Il bio come risposta alle esigenze di ogni consumatore

«La percezione– è stata l’analisi di Debora Viviani, Dipartimento di Scienze Umane, Università di Verona – dei consumatori, anche di quelli meno esperti, è condizionata da una rinnovata attenzione verso i temi della salute e della genuinità accentuata dalla pandemia». «E sotto questo punto di vista – ha concluso – il biologico s’innesta alla perfezione fornendo risposte “personalizzate” alle esigenze di ognuno».

Fonte: Beverfood