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GREENWASHING E NUOVI OGM, DUE MINACCE PER IL BIO

GREENWASHING E NUOVI OGM, DUE MINACCE PER IL BIO

Due forti prese di posizione del mondo del bio europeo dal XVII Congresso di Cordova, dove è emersa anche la necessità di creare le condizioni per favorire un commercio più equo dei prodotti bio, assicurare una maggiore tutela ai biodistretti e biofiliere e una maggiore diffusione del bio nelle mense pubbliche

Tanti sì ma anche due forti no dal  XVII Congresso Europeo sulla Produzione Biologica (Eoc23), organizzato da IFOAM Organics Europe a Cordova. Dalle numerose sessioni che si sono tenute dal 26 al 28 settembre nella città andalusa sono emerse alcune forti prese di posizione per tutelare il futuro dell’agricoltura biologica del vecchio continente. Innanzitutto è stato ribadito che la ricetta per contrastare la dilagante avanzata del greenwashing c’è già, ed è rappresentata dalla necessità di valorizzare il marchio bio della foglia verde che identifica il bio e il suo ruolo come identificatore di vera sostenibilità.

Le false promesse dei nuovi OGM

Il Congresso di Cordova ha fatto chiarezza anche sulla posizione del biologico rispetto al possibile sdoganamento delle nuove tecniche genomiche (Ngt, definiti a Cordova “nuovi OGM”). Lo specifico gruppo di lavoro IFOAM Organics Europe ha sottolineato infatti che la resilienza non deriva da un approccio che vede come unica soluzione la frontiera della genetica, ma da un sistema agroalimentare sano e diversificato. A Cordova IFOAM Organics Europe ha denunciato come «le dichiarazioni di sostenibilità dei nuovi OGM siano ancora solo promesse ipotetiche e comportino rischi di maggiore resistenza ai pesticidi, perdita di biodiversità e inondazioni di brevetti, rendendo sempre più difficile l’accesso dei coltivatori e dei selezionatori alle sementi». L’approccio dell’agricoltura biologica punta invece a valorizzare ciò che è presente in natura rendendo le varietà esistenti (e l’ecosistema) più resilienti.  «In vista di un possibile sdoganamento in Europa di queste tecnologie, la legislazione comunitaria deve proteggere la produzione biologica dalla contaminazione da OGM attraverso la tracciabilità obbligatoria lungo tutta la catena di produzione e l’etichettatura dei consumatori, che sono l’unico modo per prevedere una vera e propria “coesistenza”».

Al contrario da Cordova emerge la necessità di ribadire i vantaggi dell’approccio olistico del biologico come metodo che garantisce la sicurezza alimentare dando un contributo positivo di lungo periodo sui fronti della crisi climatica, della biodiversità e dell’equità della distribuzione del valore lungo la food chain.

Ricambio generazionale

IFOAM OE ribadisce anche la necessità di garantire il ricambio generazionale nelle aziende bio. A Cordova sono state infatti raccontate le storie dei figli e dei nipoti dei pionieri del biologico, a cui i genitori stanno passando il testimone della tutela dei principi del bio. Giovani e motivati produttori che hanno ribadito l’importanza di impegnarsi lungo le generazioni per condividere questi principi (IFOAM Organics Europe  sta organizzando un approfondimento su questo tema il prossimo 10 ottobre).

L’equilibrio tra domanda e offerta

Dal confronto tra gli operatori del biologico europeo emerge poi l’obiettivo di sostenere le positive esperienze di aggregazione orizzontale e verticale come i biodistretti e di accordi di filiera bio. A Cordova sono stati presentate alcune valide iniziative come il Biodistretto portoghese Idanha Nova (vincitore del premio biologico dell’UE 2023!) e le etichette biologiche regionali francesi;

Decisivo è l’impegno per una maggiore equità nella distribuzione del valore aggiunto nel commercio dei prodotti bio. Necessario infine sfruttare tutte le opportunità in campo per tutelare l’equilibrio tra l’offerta e la domanda bio. Un passo decisivo può essere rappresentato dalla ristorazione pubblica: le amministrazioni locali dovrebbero puntare ad aumentare la quota del bio non solo nelle mense scolastiche ma anche in quelle degli ospedali, delle forze di sicurezza e in quelle pubbliche.  Una scelta che finirebbe per avere un impatto decisivo su beni comuni come l’ambiente, le acque e la salute del suolo;

Il tema decisivo, in tempi turbolenti come questi, è però dato dalla necessità di mantenere gli essenziali impegni di politica ambientale presi dall’Unione europea con il Green deal. Raggiungere il 25% di superficie bio entro il 2030 non è un obiettivo impossibile: il progetto Organic targets 4 EU sta ad esempio diffondendo modelli sostenibili per raggiungere questi obiettivi

L’ORGANIC FOOD CONFERENCE RIACCENDE IL FARO DEL BIO

L’ORGANIC FOOD CONFERENCE RIACCENDE IL FARO DEL BIO

Suolo e Salute partner dell’evento internazionale organizzato a San Sepolcro da Ifoam Organics Europe e che ha messo al centro le sfide del bio in un mondo che cambia e che è sempre più assediato dalla crescita dilagante del greenwashing

Il faro del bio indica la strada della sostenibilità nel mare tempestoso del greenwashing. L’Organic Food Conference (#OFC2023) ne ha amplificato la luce. “Le sfide di un mondo che cambia” era il tema del summit del Bio europeo organizzato da Ifoam Organics Europe a San Sepolcro (Ar) gli scorsi 22 e 23 maggio. Un evento di successo, con una partecipazione variegata, costituita da aziende del bio, rappresentanti istituzionali, ricercatori e studenti di scienze e tecnologie agroalimentari, media e semplici appassionati. Sotto i riflettori alcuni dei temi caldi del settore biologico, affrontati con relatori di alto livello.

Tempi duri che richiedono impegni forti

La prima giornata, organizzata con la sponsorship di Suolo e Salute, ha messo al centro il tema delle sfide di sostenibilità poste dalla strategia Farm to Fork dell’Ue.  I lavori sono stati aperti dal presidente di Ifoam Organics Europe, Jan Plagge, che ha espresso vicinanza alle popolazioni dell’Emilia-Romagna colpite dall’alluvione, sottolineando quali rischi giungono dal trascurare l’ambiente e la sostenibilità. L’appassionato intervento del Cav. Valentino Mercati, fondatore di Aboca, azienda leader nel settore delle officinali bio ha esortato le imprese a lavorare per sostenere – non sabotare – la vita attraverso scelte come quelle della conversione al biologico. All’evento ha partecipato Alessandro D’Elia, direttore generale di Suolo e Salute, in rappresentanza dell’Organismo di controllo e certificazione.

Il dibattito, moderato da Eduardo Cuoco di Ifoam Organics, ha messo in luce come il settore stia affrontando tempi difficili. «L’intero sistema agroalimentare cerca di cavalcare il treno della sostenibilità». «Come pioniere, il biologico dovrà sforzarsi di migliorare alzando l’asticella della produzione biologica e non accontentarsi di standard minimi».

Sul calo dei consumi nel bio è intervenuto il presidente Ismea, Angelo Frascarelli. «L’Italia ha fatto una scelta politica importante – ha detto – ovvero quella di far crescere la superficie bio puntando al 30% entro il 2030».

«Una scelta impegnativa, coraggiosa ma pericolosa perché se aumenta l’offerta, ma cala la domanda. Ora rischia di essere vittima del suo successo».

Migliorare la comunicazione

Tra le contromisure proposte quella di legare maggiormente l’immagine del bio alla sostenibilità, per emergere da quella che ormai è diventata la “giungla verde” del greenwashing . «Il biologico dovrebbe proporsi come strumento chiave per i modelli di business e soddisfare le esigenze di un consumatore sempre più sensibile a questi temi».

La contabilizzazione dei vantaggi in termini di servizi ecosistemici della produzione agricola pende in maniera significativa in favore del bio. Tra le soluzioni proposte quella quindi di esplicitare nei prezzi dei prodotti questo divario per comunicare la sostenibilità ai consumatori e bilanciare quello che oggi appare un divario di prezzo rispetto ai prodotti convenzionali che penalizza il bio.

«In più occorre mettere in evidenza che il settore biologico produce in un mondo inquinato, e non tutti i possibili percorsi di contaminazione sono stati ancora adeguatamente studiati». «Ma con una buona conoscenza dei rischi, orientamenti per i produttori biologici e misure di controllo proporzionate, il settore può combattere le frodi e continuare a produrre prodotti biologici sani».

Investimenti strategici e più coerenza

La seconda giornata, in collaborazione con Assobio, ha condiviso gli obiettivi del programma Being organic che spinge a promuovere nel Vecchio Continente un livello di consumo in armonia con l‘obiettivo di triplicare la superficie bio europea entro il 2030. Nel primo focus, moderato da Roberto Pinton, membro del board di Ifoam Organics Europe, Maria Grazia Mammuccini, presidente di FederBio ha chiesto scelte coerenti da parte degli Stati membri per raggiungere gli obiettivi del Green Deal del 25% di superficie agraria bio e della riduzione del 50% degli agrofarmaci entro il 2030. «Occorrono – ha detto- investimenti strategici su ricerca e innovazione e una comunicazione integrata per diffondere i valori del bio tra i consumatori». «E soprattutto più coerenza per affrontare un tema sfidante come quello degli usi sostenibili dei mezzi tecnici in agricoltura posto dal dibattuto regolamento sui fitofarmaci».

«La comunicazione del bio è sfidante – ha commentato invece Sarah Compson di Ifoam Organics Europe nel secondo panel “Organic for all ages”». «Per comunicare meglio il cibo bio -ha aggiunto- occorre puntare di più sulle emozioni che procura, sulle ragioni del cuore, con una comunicazione che, oltre ad essere chiara, coerente e credibile sia contagiosa».

 

BRUXELLES VARA NUOVE REGOLE CONTRO IL GREENWASHING

BRUXELLES VARA NUOVE REGOLE CONTRO IL GREENWASHING

Stop all’abuso dei suffissi “Eco” e “Bio” in etichetta. La Commissione Ue vara una stretta con pesanti sanzioni contro le false dichiarazioni green

La Commissione europea lancia il suo piano contro il greenwashing. Le aziende europee saranno infatti chiamate a offrire prove scientifiche per garantire che le etichette “eco”, “bio” o a “ridotta impronta climatica” sui loro prodotti siano veritiere, affidabili, e comparabili in tutta l’Ue. Tutto questo è contenuto nella proposta di direttiva sulle affermazioni ambientali (“Green Claims”) presentata dall’Esecutivo comunitario a fine marzo. La proposta, inoltre, punta a proteggere i consumatori ed evitare forme di greenwashing, contribuire a creare una solida economia circolare e a stabilire parità di condizioni tra le imprese in tema di sostenibilità.

Multe deterrenti

Contro le dichiarazioni infondate gli Stati membri potranno comminare sanzioni amministrative pecuniarie deterrenti con importi stabiliti a seconda della «natura e gravità della violazione». L’obiettivo è tutelare i consumatori e gli operatori economici impegnati ad accelerare la transizione verde.

L’indagine della Commissione

Nel corso della conferenza la Commissione ha diffuso uno studio secondo cui il 53,3% delle dichiarazioni verdi sui prodotti fatte dalle aziende esaminate nell’Ue è risultato vago, fuorviante o infondato e quasi il 40% privo di fondamento. Per questo l’esecutivo Ue, per contrastare il greenwashing, si concentra sulle etichette che riportano le diciture “ecologico”, “climate neutral”, “carbon neutral”, oppure “100% CO2 compensato”, “biodegradabile”, “compostabile”, “bio-based”. Oppure, ancora: “maglietta realizzata con bottiglie di plastica riciclata”, “realizzato con compensazione di CO2”, “imballo realizzato con il 30% di plastica riciclata” o “crema solare rispettosa dell’oceano”.

Sono invece escluse le indicazioni come l’Ecolabel già coperte dalle norme Ue o il logo degli alimenti biologici. L’esecutivo Ue chiede alle aziende di fornire «prove scientifiche ampiamente riconosciute» che dimostrino la veridicità di quanto dichiarato dal punto di vista del ciclo di vita del prodotto – dall’estrazione dei materiali fino allo smaltimento.

La proliferazione dei green label

Le dichiarazioni o le etichette che utilizzano un punteggio aggregato dell’impatto ambientale complessivo del prodotto non saranno più consentite e, davanti alla continua proliferazione di etichette ambientali – Bruxelles stima che oggi ve ne siano almeno 230 -, non saranno permessi nuovi sistemi di etichettatura pubblici, a meno che non siano sviluppati a livello dell’Ue. Qualsiasi nuovo sistema privato dovrà comunque «mostrare ambizioni ambientali più elevate rispetto a quelli esistenti e ottenere una pre-approvazione per essere autorizzato».

LA RIVOLTA DEL BIO FRANCESE CONTRO LE ETICHETTE CHE FANNO GREENWASHING

LA RIVOLTA DEL BIO FRANCESE CONTRO LE ETICHETTE CHE FANNO GREENWASHING

Alla 59° edizione del Salon International de l´Agriculture di Parigi va in scena la contestazione di produttrici bio motivate come Rosélène Pierrefixe contro scelte politiche che sfruttano il boom dei consumi bio degli anni scorsi per favorire protocolli alternativi come quelli marchiati Hve (High Environmental Value)

«Se non ci fossero gli agricoltori biologici finireste per mangiarvi solo le unghie!». A Parigi, Porte de Versailles, fino al 5 marzo va in scena la 59° edizione del Salon International de l´Agriculture. Un’edizione che si sta caratterizzando per la riscossa dell’orgoglio bio. Rosélène Pierrefixe è una giovane imprenditrice bio bretone. Dieci anni fa ha investito assieme al marito i suoi pochi averi, ma massima volontà di fare, in una minuscola azienda orticola a Monterblanc, vicino a Vannes, nel dipartimento del Morbihan, in Bretagna. Nel 2019 ha conquistato la copertina del mensile francese di agricoltura biologica “Symbiose” in un numero dedicato alle piccole realtà bio, giustificando il titolo: “microaziende, maxi fierezza”.

L’impatto del climate change

Una fierezza oggi piegata dall’impatto del climate change. «La scorsa estate – racconta-, il sud della Bretagna ha registrato temperature record, fino a 41 gradi». «Ondate di caldo e di siccità che hanno reso più impegnativo, anche dal punto di vista fisico, il nostro lavoro». «Ma quello che più indigna è come le autorità hanno mal governato la grave carenza idrica».

«Abbiamo infatti dovuto conquistarci ogni goccia d’acqua litigandocela con chi gestisce campi da golf o autolavaggi». «Eppure noi produciamo cibo. E con l’agricoltura biologica siamo in grado di immagazzinare nel suolo più carbonio di quanto ne emettiamo, contribuendo a mitigare gli effetti del climate change».

Una crisi climatica che si sta riproponendo, ma in maniera decisamente anticipata, quest’anno. «In Bretagna non piove da più di un mese, l’emergenza delle colture è rallentata e le espone al rischio delle gelate». «Gli eventi meteo estremi sono ormai diventati la norma: se arriva una gelata quando le patate sono alte 20 centimetri perdiamo tutto».

La contestazione va in scena a Parigi

Una situazione allarmante che l’ha spinta a recarsi a Parigi per contestare la consueta sfilata di politici al Salon International de l´Agriculture: «State sbagliando tutto: create confusione per sfavorire i consumi di cibo biologico e locale. Vorrei che il marchio del bio fosse riconosciuto, che i suoi agricoltori fossero ascoltati, non solo la Fnsea (Fédération nationale des syndicats d’exploitants agricoles, la federazione ombrello che riunisce le maggiori sigle di agricoltori francesi convenzionali)..».

Ecoscore e Hve, messaggi fuorvianti

Sotto accusa, non solo da parte di Rosélène, è il marchio Hve (High Environmental Value), voluto dal ministero dell’agricoltura francese. Dopo la denuncia di Ifoam Organics Europe contro il marchio francese eco-score (ne abbiamo parlato qui) perché favorisce la produzione intensiva a discapito di quella biologica,  un gruppo di associazioni, agricoltori e aziende ha seguito l’esempio facendo ricorso all’alto Consiglio di Stato in gennaio 2023 contro l’etichetta francese di Alto Valore Ambientale (HVE) asserendo che ha ingannato il consumatore per più di dieci anni. «Viene spacciata come molto rispettosa dell’ambiente, ma il disciplinare che c’è dietro non è più esigente della media delle pratiche agricole francesi, secondo gli studi condotti dall’Ufficio francese per la biodiversità e dall’Istituto per lo sviluppo sostenibile e le relazioni internazionali».

Dopo il boom registrato in Francia nel 2020 e 2021 il consumo del bio in Francia è rallentato anche a causa della confusione innescata da queste etichette e alla retromarcia del Governo francese sui promessi aiuti nazionali agli agricoltori bio. Le referenze bio sugli scaffali della grande distribuzione stanno così calando a discapito di etichette che fanno greenwashing.

La riscossa del bio

Le evidenze scientifiche confermano però che è l ‘agricoltura biologica a preservare la biodiversità, proteggere la qualità dell’acqua, del suolo e dell’aria e adattarsi meglio ai cambiamenti climatici. Tanto che anche il gruppo intergovernativo di esperti sui cambiamenti climatici (IPCC) raccomanda di espandere rapidamente questo modello agricolo.

Al Salone di Parigi è così scattata la riscossa del bio: associazioni come Fnab (Federazione nazionale dell’agricoltura biologica) o Terre de Liens hanno avviato campagne informative per spingere i consumatori a guardare meglio le etichette e riconoscere il marchio del bio. In più dal 20 al 30 marzo è stata indetta “la Settimana delle alternative ai pesticidi”. Perchè il contrasto al cambiamento climatico ha bisogno di produttori responsabili, ma anche di consumatori consapevoli.

ASSOBIO E IAP CONTRO IL GREENWASHING

ASSOBIO E IAP CONTRO IL GREENWASHING

Alleanza tra l’associazione delle imprese di trasformazione e distribuzione del biologico e l’Istituto di autodisciplina pubblicitaria per tutelare la corretta informazione sul bio

Assobio, l’associazione nazionale delle imprese di produzione, trasformazione e distribuzione dei prodotti biologici e naturali si impegna nella difesa della corretta comunicazione dei valori del biologico.

Adesione votata dal Consiglio direttivo

Il Consiglio direttivo dell’associazione ha infatti deliberato l’adesione ufficiale all’Istituto dell’autodisciplina pubblicitaria (Iap) allo scopo di incrementare la conoscenza del sistema autodisciplinare e dei suoi strumenti e di favorire lo scambio di informazioni e best practices nella comunicazione commerciale.

Il contrasto del fenomeno del greenwashing

I due enti sono già impegnati a promuovere e organizzare iniziative di formazione, informazione e approfondimento su tematiche condivise tra cui il contrasto al fenomeno del cosiddetto greenwashing, rivolte sia alle imprese socie Assobio, che ai consumatori.

SOSTENIBILITÀ, LA STRADA MAESTRA DELLA CERTIFICAZIONE

SOSTENIBILITÀ, LA STRADA MAESTRA DELLA CERTIFICAZIONE

Per sgombrare il campo da affermazioni false o dubbie, che potrebbero aprire la strada a equivoci e contenziosi, la Commissione europea sta pensando alla necessità di regolamentare le dichiarazioni green in etichetta imponendo la certificazione obbligatoria

La politica agricola comunitaria si tinge di green come non mai. Dal primo gennaio 2023 entra infatti in vigore una nuova Pac fortemente condizionata dalla strategia Farm to Fork dell’European Green deal che mette al centro la sostenibilità come strumento per conciliare sicurezza alimentare e tutela dell’ambiente.

Un concetto poco definito

La sostenibilità è però ancora un concetto poco definito, mancando a livello normativo un chiaro elenco di requisiti minimi e condivisi, utili per poter rivendicare tale condizione in maniera chiara ed inequivocabile come avviene già per il biologico (unico metodo di produzione la cui cornice è pienamente regolamentata a livello europeo).

Il mensile VVQ, Vigne, Vini & Qualità, in un articolo scritto da Stefano Sequino, dà quindi conto delle riflessioni dell’Esecutivo comunitario sulla necessità di riformare il quadro normativo sulle autodichiarazioni green.

Oggi infatti sono applicati numerosi schemi volontari di sostenibilità caratterizzati da indicatori e obiettivi che, con proprie peculiarità, prevedono un sistema di certificazione affidato ad enti terzi per verificare la conformità dei requisiti indicati dagli standard.

Il rischio greenwashing

Una pluralità di interpretazioni che, secondo la Commissione Ue, non mette al riparo il consumatore dal rischio di essere confuso e condizionato dal bombardamento di indicazioni ambientali poste soprattutto sulle etichette dei prodotti agroalimentari che rischiano di costituire un mero greenwashing.

Uno screening recentemente promosso dalla Commissione in tutta Europa ha messo in evidenza la frequenza di affermazioni di sostenibilità dubbie:

  • nel 50% dei casi il venditore non fornisce informazioni sufficienti per valutare la veridicità dell’affermazione;
  • 37% presenza di formulazioni vaghe e generiche come “cosciente”, “rispettoso dell’ambiente”, “sostenibile” finalizzate a suscitare nei consumatori l’impressione, priva di fondamento, di un prodotto senza impatto negativo sull’ambiente;
  • 59% mancanza di elementi facilmente accessibili a sostegno delle affermazioni di sostenibilità;
  • 42% affermazioni giudicate falsa o ingannevoli dalle autorità preposte, potenzialmente in grado di configurare una pratica commerciale sleale

 

Prove attendibili e verificabili

Alla fine dell’anno scorso la comunicazione 2021/C 526/01 della Commissione europea – documento di orientamento che analizza la direttiva 2005/29/CE sulle pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori – aveva dato ampio risalto al rischio greenwashing, fenomeno definito come una indebita appropriazione di “virtù ambientaliste” finalizzata alla creazione di un’immagine verde.

La Commissione pone quindi l’accento sulla necessità che le dichiarazioni ecologiche in etichetta debbano essere basate su prove attendibili e verificabili, che tengano conto dei metodi e dei risultati scientifici, utili per dimostrare alle autorità competenti l’esattezza e la veridicità di quanto dichiarato. In altri termini, le informazioni sono credibili solo se verificabili: l’onere della prova – precisa il documento – è a carico dell’operatore che rivendica in etichetta indicazioni di sostenibilità.

La strada maestra per sgombrare il campo da equivoci e contenzioni è quella della certificazione e una nuova proposta di direttiva europea punta a migliorare il regime di tutela delle pratiche sleali, vietando l’utilizzo di marchi di sostenibilità che non siano basati su un sistema di certificazione o non siano stabiliti da autorità pubbliche.