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Ecco i corsi gratuiti Accademia Bio: l’offerta formativa per l’Emilia Romagna

corsi gratuiti accademia bio
Informiamo che i nuove iscrizioni ai corsi gratuiti Accademia Bio di Federbio sono partite. Da fine ottobre cominceranno i primi corsi. Nel sito www.accademiabio.it sezione Emilia Romagna potrai trovare altre informazioni oltre il catalogo dei corsi.

Sono corsi indirizzati esclusivamente per aziende agricole, possono partecipare titolare, dipendenti e collaboratori famigliari.

Nel catalogo trovate i corsi specialistici in Agricoltura Biologica di Orticoltura, Frutticoltura, Cerealicoltura, Viticoltura, Zootecnia e Biodinamica. Cosi come il corso specializzato a migliorare le vostre capacità e modalità di vendita.

Ecco le specifiche di alcuni corsi gratuiti Accademia Bio

Orticole Bio (29 ore) Gratuito

Il corso fornisce competenze specifiche nell’applicazione del metodo biologico alle colture orticole. L’imprenditore agricolo potrà conoscere in dettaglio le pratiche agronomiche dalla preparazione/gestione del suolo alla raccolta, cosi come conoscere le diverse colture e varietà orticole per la scelta, preparazione e gestione del piano agronomico aziendale

Frutticoltura Bio: Gestione aziendale e pratiche agronomiche (29 ore) Gratuito

Il corso fornisce competenze specifiche nell’applicazione del metodo biologico alla frutticoltura. Corso progettato per conoscere come gestire un frutteto biologico come nuovo impianto ma anche per la conversione al biologico. Saranno date informazioni sulle principali pratiche colturali, di gestione dei suoli, di difesa, potatura, raccolta. Il corso prevede una analisi delle principali varietà frutticole per orientare alla migliore scelta per l’impianto frutticolo bio.

Cerealicoltura Bio: Risoluzione delle problematiche e gestione coltivazione (16 ore) Gratuito

L’ obiettivo del corso è sviluppare processi concreti per la risoluzione delle problematiche pratiche, con riguardo al controllo delle malerbe e delle fitopatologie, e per la scelta delle migliori pratiche agronomiche profittevoli della cerealicoltura biologica, con riguardo particolare alla fertilizzazione e all’introduzione di materiale genetico alternativo. Cosi come indicazioni su varietà antiche.

Zootecnia Bio: la gestione di un’azienda zootecnica secondo metodo biologico (20 ore) Gratuito

Il corso presenta i principi normativi della gestione biologica di un azienda zootecnica. E’ dedicato alla gestione di allevamenti bovini (latte e carne), ovi-caprini e avicoli. E’ previsto un FOCUS dedicato alla gestione di un allevamento secondo i principi della medicina veterinaria omeopatica. Infine si tratterà del sistema di controllo e certificazione nazionale applicato a questa tipologia di azienda

CLICCA QUI PER SCARICARE IL PROGRAMMA COMPLETO

Accademia Bio è un progetto di Federbio (Federazione Italiana di Agricoltura Biologica) Participando al corso di Federbio puoi avvicinare la tua azienda ai servizi di Federbio per la promozione e sviluppo della tua azienda.
Le iscrizioni chiudono il 5 ottobre. Sono previste edizioni in tutte le provincie della Emilia Romagna,  le date saranno concordate con gli scritti. I corsi sono di pomeriggio/sera una volta a settimana.
Se avete bisogno di maggiore informazione scriveteci o chiamare al 392 6542057 o iscrivere a accademiabio@federbioservizi.it

Ogm in Italia: l’Ue impone di eliminare il divieto di coltivazione

Ogm In italia

Ogm in Italia: presto potranno essere nuovamente coltivati? Lo scorso 13 settembre, la Corte di Giustizia Europea ha dichiarato illegittimo un decreto interministeriale con cui si vietava la coltivazione di organismi geneticamente modificati nel nostro Paese.

La decisione è arrivata nell’ambito della vicenda giudiziaria di Giorgio Fidenato, agricoltore friulano che aveva deciso, diversi anni fa, di coltivare una variante geneticamente modificata di mais. Una decisione presa senza le dovute autorizzazioni.

Ora gli organismi comunitari sembrano dare ragione a Fidenato, ma la vicenda non è così chiara. Ecco cosa sta succedendo.

Ogm in Italia: il divieto di coltivazione nel 2013

Il decreto interministeriale annullato dalla Corte di Giustizia si riferiva nello specifico alle coltivazioni di mais Mon810, brevettato dalla Monsanto.

La legge si era resa necessaria in seguito a una serie di episodi avvenuti tra il 2009 e il 2010 in Friuli-Venezia Giulia. Qui, Fidenato ha iniziato infatti la semina del mais ogm, in alcuni campi di sua proprietà. Un’attività che avrebbe poi causato la contaminazione dei campi circostanti. Secondo il Corpo Forestale, infatti, i terreni adiacenti risultavano contaminati da “inquinamento genetico” fino al 10%.

Dopo una serie di interventi, anche da parte di Organizzazioni no profit come Greenpeace, i campi dell’agricoltore sono stati posti sotto sequestro. FIdenato era stato inoltre condannato a pagare una multa di 25mila euro.

Decisione a cui il coltivatore si è opposto, dando il via nel 2011 a una battaglia legale, che è arrivata fino alla Corte di Giustizia europea. Una battaglia che l’imprenditore agricolo ha proseguito anche in campo.

Nonostante l’assenza di un’autorizzazione, infatti, Fidenato ha continuato a piantare Mais ogm in Italia, sia nel 2012 che nel 2013. Attività che ha proseguito fino all’intervento definitivo del governo. L’allora Ministro delle Politiche Agricole, Nunzia De Girolamo, insieme a Lorenzin e Orlando, firmarono infatti un decreto che poneva il divieto di coltivazione per il Mon810. La decisione fu giustificata dai rischi che gli ogm avrebbero posto alla biodiversità.

La decisione dell’Ue

Il 13 settembre scorso è arrivata infine la sentenza della Corte di Lussemburgo che ha dato ragione all’agricoltore, dichiarando illegittimo il divieto di coltivazione di mais ogm in Italia.

Le autorità comunitarie sostengono che “non vi erano nuove prove scientifiche a supporto delle misure di emergenza richieste”, che hanno poi portato al divieto.

La Corte si è però spinta oltre, sostenendo l’illegittimità del principio di precauzione: «Il principio di precauzione, che presuppone un’incertezza sul piano scientifico in merito all’esistenza di un certo rischio, non è sufficiente per adottare tali misure».

Per poter vietare gli Ogm in Italia, dunque, si dovrebbe dimostrare con certezza la loro nocività.

Ogm in Italia: non è detta l’ultima parola

Secondo Coldiretti, non si dovrebbe però dare per scontata la reintroduzione delle coltivazioni Ogm in Italia. Le ragioni possono essere raccolte in tre punti.

Innanzitutto, esiste una direttiva europea del 2015 che dà la possibilità agli Stati membri di limitare o vietare del tutto le coltivazioni di ogm sul proprio territorio. Direttiva che supera, già di per sé, il decreto interministeriale italiano del 2013.

In secondo luogo, il 76% dei cittadini italiani è contrario all’introduzione del biotech nei campi.

Infine, esiste una volontà istituzionale molto forte nel tutelare il Made in Italy. Punto, quest’ultimo, sostenuto con forza da Roberto Moncalvo, presidente della Coldiretti:

«Per l’Italia gli organismi geneticamente modificati in agricoltura non pongono solo seri problemi di sicurezza ambientale, ma soprattutto perseguono un modello di sviluppo che è il grande alleato dell’omologazione e il grande nemico del Made in Italy».

FONTI:

http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/09/13/ogm-la-corte-europea-contro-litalia-non-puo-vietare-le-coltivazioni-geneticamente-modificate/3854262/

http://www.ilfoglio.it/cibo/2017/09/13/news/chi-e-l-agricoltore-che-ha-sfidato-il-paese-del-no-e-ha-vinto-152061/

http://www.minambiente.it/comunicati/nuova-direttiva-europea-su-ogm-pubblicata-su-gazzetta-ufficiale

CBM Italia Onlus: “Con l’agricoltura bio aiutiamo 12mila disabili in India”

Seicento villaggi coinvolti, quasi 12mila persone con disabilità tirate fuori dall’esclusione sociale e messe al lavoro: sono questi i numeri straordinari che raccontano una realtà di solidarietà e sviluppo imperniata esclusivamente sulla filiera agroalimentare biologica.

I dati e i racconti di questa realtà sono forniti da CBM Italia, Onlus da decenni impegnata nell’assistenza e nell’inclusione di persone con disabilità, in particolare non vedenti e ipovedenti.

Il progetto è stato avviato nel 2014 nel Madya Pradesh, regione con il più alto tasso di povertà in India. E ha puntato tutto sulla creazione di una filiera biologica, dalla coltivazione al confezionamento, coinvolgendo cooperative e gruppi locali.

CBM Italia e India, i numeri di un successo

I dati sono stati snocciolati sul sito ufficiale di CBM Italia. Il progetto “Inclusive Livelihood Initiative Ujjwal”, partito 3 anni fa, ha dato lavoro a 11.625 persone con disabilità. Il 66% di loro sono uomini, il 34% donne. In totale, sono stati 602 i villaggi coinvolti, coprendo 5 distretti e coinvolgendo in tutto 36mila membri delle comunità rurali locali.

I numeri sono un dato importante, ma da soli non bastano a spiegare l’importanza di un’iniziativa di questo tipo. Basti pensare, infatti, che nella rigida organizzazione sociale indiana, i disabili occupano spesso gli ultimi gradini. Queste persone inoltre vivono nel Madya Pradesh, in comunità già emarginate ed estremamente povere.

Il 97% di loro ha poi un livello di istruzione molto basso. Più della metà (il 54%) ha meno di 40 anni. Come abbiamo accennato CBM Italia si rivolge in particolar modo a persone con disabilità. Nel progetto indiano, sono state coinvolte quindi persone ipovedenti, autistiche, con problemi visivi e uditivi, o disabilità motorie/intellettive.

Come si è riusciti a ottenere risultati tanto importanti in una situazione così complessa? Grazie alle tecniche di agricoltura biologica, applicate su vasta scala. Nel progetto sono state coinvolte cooperative locali, come la Naman Seva Samiti, e gruppi di auto-aiuto.

La produzione messa in atto ha riguardato soprattutto due alimenti, centrali nella cucina indiana: le spezie e i legumi, in particolare i ceci. Le comunità locali sono state coinvolte in ogni aspetto della produzione: dalla semina, alla coltivazione, passando dalla raccolta, fino al confezionamento.

Grazie alla capacità produttiva raggiunta dalle cooperative, e alla qualità degli alimenti prodotti, il progetto ha attirato l’attenzione di organizzazioni e aziende biologiche locali e non solo. Al punto che CBM Italia sta valutando la possibilità di distribuire i prodotti del Madya Pradesh anche nel nostro Paese.

Storie di riscatto

«Abbiamo visto tante belle storie – spiega Dinesh Rana, CBM India, in un’intervista con AdnKronos – perché da ormai 5 anni lavoriamo con le persone con disabilità, grazie ai programmi sui mezzi di sostentamento, per l’educazione e per la salute. Abbiamo assistito a tanti cambiamenti nelle loro vite, nella loro società».

È la storia di Bangesh, per esempio, e di sua moglie Sima: colpiti entrambi da poliomelite, come racconta il Corriere, oggi possono sostenersi rivendendo le spezie prodotte nei villaggi. O di Darmen che, senza il braccio sinistro, perso durante un lavoro precedente, oggi può coltivare i campi. È soprattutto la storia di persone come Mungilal: donna, musulmana, a causa di un problema genetico, i suoi figli sono nati tutti con un ritardo mentale. Fino a pochi anni fa non aveva il coraggio di uscire di casa: era per lei una vergogna questa sua condizione. Oggi gestisce una sartoria, direttamente dalla propria abitazione.

Ma sono tante le storie di riscatto nate grazie ai progetti di agricoltura bio di CBM Italia. Progetti che hanno radicalmente rivoluzionato il modo di lavorare degli agricoltori locali:

«Quando abbiamo iniziato il progetto – spiega Shirshir Kumar, presidente della Cooperativa Naman Seva Samiti – i contadini erano dipendenti dai prodotti chimici. Oggi invece conservano le risorse idriche, proteggono la terra, conservano i semi tradizionali, non prendono più soldi in prestito e sono molto felici».

FONTI:

http://sociale.corriere.it/india-nella-terra-del-riscatto-dove-12mila-disabili-producono-e-vendono-spezie-bio/

http://www.adnkronos.com/sostenibilita/risorse/2017/09/18/spezie-legumi-sapore-del-riscatto-sociale_jQxnONrUaQJKD5T8ptgjwK_amp.html

https://www.cbmitalia.org/i-nostri-progetti/progetti-di-educazione-e-formazione/india-inclusive-livelihood-betul/

 

Calamità naturali, l’allarme Confesercenti: “22mila PMI danneggiate in 5 anni”

calamità naturali

Migliaia di persone coinvolte, decine di migliaia di attività economiche messe in ginocchio, miliardi investiti per la ricostruzione delle aree colpite.

Le calamità naturali che colpiscono il nostro Paese – frane, alluvioni, terremoti – sembrano abbattersi con sempre maggiore intensità. Colpa di uno sviluppo sempre meno sostenibile, che erode il suolo di larga parte del Paese, e dei cambiamenti climatici in atto.

Ma non tutto è perduto, la soluzione c’è: ridare vigore all’attività agricola, recuperando importanti terreni alla coltivazione e alla riforestazione. E dando maggiore importanza al ruolo degli imprenditori e dei lavoratori del settore.

Ecco la fotografia dei rischi sismico e idrogeologico in Italia e la soluzione proposta da Coldiretti.

Non solo imprese agricole: tutti i danni delle calamità naturali

È facile immaginare come i fenomeni meteorologici estremi – la siccità registrata in questo 2017 in Italia, per esempio – possano gravemente danneggiare le imprese agricole. Ma le calamità naturali che fronteggiamo ogni anno hanno arrecato grossi problemi anche a negozi, bar, ristoranti. Per non parlare di capannoni, fabbriche, botteghe artigiane. Negli ultimi 5 anni, spiega Confesercenti, sono state almeno 22mila le imprese affette da tali fenomeni.

È il dissesto idrogeologico a creare i maggiori grattacapi. 12mila PMI, infatti, sono state danneggiate da alluvioni, esondazioni e smottamenti causati dalle precipitazioni. Sono inoltre 10mila le piccole e medie imprese rimaste vittime di terremoti. Il danno stimato dall’Ufficio economico di Confesercenti è stato pari a circa 700 milioni di euro.

«Il tema delle calamità naturali nel nostro Paese – scrive l’associazione in una nota – è in generale collegato alla difficoltà strutturale della prevenzione dei rischi e del corretto utilizzo del territorio, che rimanda all’altrettanto evidente difficoltà a programmare l’uso delle risorse e del territorio stesso. Inoltre, per ciò che riguarda la specificità dei danni al tessuto economico-produttivo, la modalità dei rimborsi alle imprese si ferma ai soli danni materiali. Per le imprese, ad esempio, non viene considerato in alcun modo il danno economico, costituito dalla perdita di valore aggiunto diretto ed indiretto, che può protrarsi per più anni. E spesso è necessario molto tempo anche per ottenere il rimborso».

Rischio sismico e idrogeologico: fenomeni in crescita

Confesercenti snocciola poi alcuni dati che dimostrano come sia il rischio sismico, che quello idrogeologico, sia in severo aumento nel nostro Paese.

Sono oggi 7mila i comuni presenti in aree a elevato rischio idrogeologico: l’85% del totale, per una superficie pari al 10% del territorio italiano. La popolazione esposta a tale rischio è quindi salita a 5,8 milioni di persone. Dal secondo dopoguerra a oggi, sono registrate più di mille frane, in 900 località, e 700 inondazioni. Sono 9mila le vittime, tra morti, feriti e dispersi.

Non va meglio per il pericolo sismico. I comuni a rischio in questo caso sono 3mila, che coprono un’area pari al 44% del territorio nazionale. Sono 21,8 milioni le persone che vivono in aree a elevato rischio sismico.

A testimoniare il peggioramento delle condizioni del Paese, i fondi statali stanziati per far fronte alle calamità naturali. Dal 1944 al 1990, la spesa media è stata pari a circa 2,8 miliardi di euro l’anno per interventi successivi a terremoti, frane e alluvioni. Dal 1991 al 2009, la cifra media è salita a 4,7 miliardi l’anno. Dal 2010 al 2014, abbiamo assistito a un ulteriore aumento: più di 6 miliardi l’anno.

Complessivamente, il nostro Paese ha speso più di 240 miliardi di euro per fronteggiare tali disastri naturali: il 74,6% per i danni da terremoto, il 25,4% per il dissesto idrogeologico.

Calamità naturali: le responsabilità di uno sviluppo insostenibile

C’è un disastro nel disastro, che sta colpendo l’Italia: quello del consumo di suolo. Se le calamità naturali non possono essere evitate, sarebbe almeno il caso di prevenire i danni maggiori, aumentando l’estensione della superficie agricola e forestale, ostacolando cementificazione e abbandono. È quanto suggerisce Coldiretti, presentando uno studio sul tema, puntando il dito su un modello di sviluppo scorretto:

«Sviluppo che ha provocato un irresponsabile consumo di suolo – spiega Roberto Moncalvo, presidente nazionale dell’associazione – con la scomparsa di oltre un quarto della terra coltivata (-28%). Negli ultimi 25 anni in Italia sono rimasti appena 12,8 milioni di ettari di superficie agricola utilizzata».

Secondo gli ultimi dati, sono stati consumati in Italia 23mila chilometri quadrati di suolo: 3 metri quadrati al secondo. Si tratta del 7,6% del territorio nazionale (dati: Ispra).

«Su questo territorio meno ricco e presidiato si abbattono i cambiamenti climatici, con le bombe d’acqua che il terreno non riesce ad assorbire. Il tutto spesso aggravato anche “a monte” dall’assenza di una politica forestale e di gestione del reticolo idrografico».

Per fronteggiare le calamità naturali, occorre quindi “difendere il proprio patrimonio agricolo e la propria disponibilità di terra fertile dalla cementificazione e dall’abbandono”. Per riuscirci, è necessario l’impegno “da parte delle amministrazioni a tutti i livelli”. In particolar modo, l’obiettivo deve essere quello di riconoscere “il ruolo dell’attività agricola dal punto di vista sociale, culturale ed economico”.

FONTI:

http://italiafruit.net/DettaglioNews/41150/in-evidenza/calamita-naturali-in-aumento-i-numeri-dellemergenza

http://www.confesercenti.it/blog/imprese-confesercenti-negli-ultimi-5-anni-da-calamita-naturali-danni-gravi-per-22mila-pmi/

http://www.ansa.it/canale_ambiente/notizie/natura/2017/09/15/maltempo-coldiretti-senza-la-campagna-litalia-affoga_99cf82fb-5492-4508-a031-5984a96cad7c.html

Far crescere il bio per salvare vite umane: il progetto Ifoam in Africa del’Est

africa ifoam

Ifoam – Orgnanics International, federazione mondiale per la promozione del bio, guida e coordina il progetto OTEA.

L’acronimo sta per “Organic Trade and Value Chain Development in East Africa”, ovvero commercio bio e sviluppo della catena del valore nelle nazioni in Africa orientale.

L’idea è quella di aiutare lo sviluppo dell’economia locale favorendo l’implementazione di un Sistema di Garanzia Organico nella regione.

«L’obiettivo globale è di migliorare il reddito e i mezzi di sussistenza delle comunità rurali attraverso lo sviluppo di una produzione bio orientata al mercato», spiegano da Ifoam.

OTEA è finanziato dal SIDA (Swedish International Development Cooperation) e messo in atto da AfrOnet, l’African Organic Network. Le nazioni coinvolte sono Uganda, Kenya, Tanzania, Ruanda e Burundi. Il progetto è partito due anni fa ed è di durata triennale. Oggi Ifoam fa il punto della situazione, rendendo pubblici i primi risultati conseguiti.

I 5 obiettivi di Ifoam in Africa

«Quando non usavo il metodo biologico, non ottenevo raccolti buoni come quelli di oggi».

Le parole sono di Stephen Kinuthia Karanja, agricoltore bio del Kenya, coinvolto nel progetto di Ifoam. “Sono molto felice di essere un agricoltore bio, trovo il metodo molto buono”, racconta. La sua testimonianza, come quella di altri operatori del settore ed esperti della federazione, è raccolta in un video che documenta le attività svolte nell’ambito di OTEA. Il progetto è partito nel 2015 e comincia a dare i primi frutti, come dimostra il filmato. Si concluderà nel 2018 e prevede il raggiungimento di 5 obiettivi interrelati tra loro:

Un Sistema di Garanzie nel Biologico in Africa dell’Est: con OGS (Organic Guarantee System) si mira a coordinare i parametri e gli standard produttivi e distributivi nel settore. In questo modo, si incrementerà la consapevolezza dei consumatori, che a loro volta faranno incrementare la domanda nella regione per prodotti a marchio bio.

Supporto nella creazione della catena del valore: i mercati locali e regionali, insieme ai canali distributivi dell’export, saranno sviluppati per migliorare l’accesso dei produttori a mercati più vasti.

Sviluppo politico: i governi dell’Africa orientale sono invogliati a implementare azioni, strategie e piani a supporto dell’agricoltura bio.

Sviluppo associativo: nella regione esistono già organizzazioni specifiche rivolte al mondo bio, di portata nazionale. A capo di tali associazioni c’è l’Organic Agriculture Network in East Africa, rete che coordina le diverse sigle nazionali. Ifoam con il suo progetto mira a sviluppare ulteriormente tale cooperazione.

Raccolta dei dati: per incentivare ulteriormente la creazione di nuove aziende bio, è importante raccogliere informazioni e statistiche affidabili sui progetti già in corso.

Non solo Africa: i progetti di sviluppo bio nel mondo

Non solo OTEA. La Federazione è impegnata da tempo in una serie di programmi che, nel mondo, hanno come obiettivo lo sviluppo della filiera biologica:

«Supportiamo gli attori – scrive Ifoam – sui vari livelli della supply chain per realizzare la transizione verso l’Agricoltura Biologica, per promuovere soluzioni locali bio e per raccogliere e diffondere best practice».

Programmi di questo tipo sono implementati per esempio in Corea, sia Nord che Sud, in Turchia e in Ghana. Tra i più ambiziosi, il piano per rendere sostenibili e profittevoli gli agro-sistemi in aree montuose come il Nepal, il Pakistan, il Kyrgyzstan, l’Etiopia e il Perù.

L’idea, in tutti questi luoghi, è di promuovere l’adozione di pratiche organiche per affrontare le sfide odierne: povertà, sicurezza alimentare, erosione del suolo, climate change e distruzione della biodiversità.

FONTI:

https://www.ifoam.bio/en/news/2017/09/18/video-improving-livelihoods-rural-communities-east-africa-organic-agriculture

http://www.ifoam.bio/en/organic-trade-and-value-chain-development-otea

http://www.ifoam.bio/en/what-we-do/programs

http://www.ifoam.bio/en/programs/ongoing-projects

Psr Umbria: in arrivo 52 milioni di euro per la ricostruzione post-sisma

A giugno, la Commissione politiche agricole approvava il riparto dei fondi di solidarietà stanziati dalle Regioni italiane nell’ambito dei Programmi di sviluppo regionale.

Una misura destinata a favorire le regioni dell’Italia centrale colpite dal terremoto. Risorse che ammontavano a 300 milioni di euro complessivi. Fondi che poi sarebbero stati impiegati negli investimenti in agricoltura. Oggi l’assessore regionale umbro all’agricoltura, Fernanda Cecchini, mette sul tavolo quei 52 milioni di euro per la riprogrammazione del Psr Umbria 2014-2020.

Cecchini ha infatti convocato il Tavolo Verde, la sede di confronto tra l’istituzione regionale e il mondo agricolo. L’obiettivo? Condividere le scelte sulla riprogrammazione del Psr regionale alla luce del contributo di solidarietà.

Psr Umbria 2014-2020: 52 milioni per aziende colpite dal sisma

Complessivamente per il riparto sono stati messi a disposizione 300 milioni di euro, da destinare a Lazio, Abruzzo, Marche e Umbria. La cifra è il risultato del riparto dei fondi di solidarietà, stanziati dalle altre Regioni italiane, pari al 3% delle ultime tre annualità dei rispettivi Piani di sviluppo regionali. A cui va poi aggiunto un cofinanziamento statale.

Al Psr Umbria sono stati destinati 51,9 milioni di euro, pari a oltre il 17% del totale. L’assegnazione è avvenuta sulla base dei danni causati dal sisma alle superfici agricole e alle aziende impegnate nel settore.

La convocazione del Tavolo Verde, avvenuta il 6 settembre, è servita per aprire la discussione su “come mettere a frutto queste ulteriori risorse”, ha spiegato l’assessore Cecchini. Oltre a lei, al Tavolo sono state convocate le organizzazioni sindacali, il mondo della produzione agricola, il direttore regionale all’Agricoltura e Autorità di gestione del Psr, Ciro Becchetti, e il dirigente del Servizio Sviluppo rurale, Franco Garofalo.

Psr Umbria: accelerare l’iter di riprogrammazione in Ue

La Regione ha proposto che gli interventi più significativi debbano riguardare:

  • Sostegno agli investimenti delle aziende agricole
  • Sostegno agli investimenti per trasformazione e commercializzazione
  • Aiuti ai giovani agricoltori
  • Miglioramento delle infrastrutture
  • Pagamenti agroclimaticoambientali
  • Agricoltura biologica
  • Indennità compensative per le zone montane
  • Benessere animale
  • Sostegno alle attività promozionali

Il riparto delle nuove risorse per il Psr Umbria proposto dall’assessore prevede che il grosso dei fondi – 31,5 milioni, pari al 61% del totale – siano destinati agli investimenti per imprese e territori. Il restante 39% (20,3 milioni) sarà invece stanziato per sostenibilità e salvaguardia ambientale.

«Vogliamo incidere fortemente – ha commentato l’assessore Cecchini – sulla ripresa economica facendo leva sui suoi fattori più rilevanti quali le produzioni di qualità e la zootecnia, la salvaguardia di un territorio dalla forte valenza ambientale, il miglioramento dei servizi alle imprese e alla popolazione nelle aree colpite dal terremoto».

Come spiega Cecchini, le misure adottate agiranno all’interno del ‘cratere’ del sisma. Anche se le esigenze più vaste del territorio vanno comunque tenute in considerazione:

«Al ministro delle Politiche agricole Martina – ha reso noto – abbiamo rappresentato anche l’esigenza di interventi che tengano conto delle ricadute negative del terremoto anche sul resto del territorio regionale, in Umbria più che altrove, in particolare per quanto riguarda i flussi turistici».

Gli interventi previsti, commenta ancora Cecchini, serviranno da un lato a rafforzare imprese e filiere produttive locali. D’altro canto serviranno per rilanciare il comparto, puntando “a nuovi traguardi di investimento e innovazione”. Ma l’obiettivo primario è scongiurare “lo spopolamento o peggio l’abbandono di queste aree”.

Ora l’iter per la riprogrammazione del Psr Umbria, prevede l’approvazione da parte della Commissione europea. La Giunta regionale ha dato per questo mandato all’Assessore Cecchini e all’Autorità di gestione.

«È importante chiudere l’iter in tempi ravvicinati per poter disporre delle risorse aggiuntive», ha concluso l’assessore.

Psr Umbria: stato di avanzamento

L’incontro è stato anche occasione per fare il punto sullo stato di avanzamento del Psr Umbria 2014-2020. Finora la spesa realizzata è di 152 milioni di euro. Una cifra che farà probabilmente raggiungere il target fissato per il 2018 con 12 mesi di anticipo. L’Umbria è quindi “molto avanti per impegni e pagamenti”.

FONTI:

http://www.regione.umbria.it/dettaglionotizie/-/asset_publisher/lU1Y2yh4H8pu/content/sisma-cecchini-%E2%80%9Call%E2%80%99umbria-quasi-52-milioni-di-euro-da-riparto-fondo-solidarieta-psr-regioni-italiane%E2%80%9D?read_more=true

http://www.regione.umbria.it/notizie/-/asset_publisher/54m7RxsCDsHr/content/tavolo-verde-assessore-cecchini-presenta-proposta-riprogrammazione-52-mln-euro-aggiuntivi-in-psr-per-area-sisma-incontro-con-agea-su-ritardi-pagamenti?read_more=true