Croazia, il movimento bio contro gli OGM

Ultimo dei Paesi entrati a far parte dell’Unione, oggi la Croazia si trova ad un bivio: da un lato l’opinione pubblica, piuttosto diffidente nei confronti degli OGM, e i produttori di biologico, convinti che esso costituisca la strada giusta per un rilancio della competitività croata, dall’altro le multinazionali, in costante pressing perché si adottino coltivazioni gm. A scaldare gli animi il dibattito europeo in merito al mais “Pioneeer 1507”, per il quale la multinazionale giapponese aveva chiesto autorizzazione alla coltivazione ben 13 anni fa. Dopo il richiamo della Corte di giustizia all’UE per la mancata decisione, la Commissione europea ha espresso parere favorevole, mentre 19 Paesi membri dell’Europarlamento, tra cui la Croazia, si sono opposti. Secondo l’eurodeputata tedesca Dagmar Roth-Behrendt, la mancanza di misure di mitigazione del rischio per farfalle e falene (particolarmente esposte agli effetti del polline del mai OGM) da parte della Pioneer sono alla base della contrarietà dell’Efsa (l’autorità europea per la sicurezza alimentare). In Croazia i punti di vista sono vari: scondo il ministro degli Esteri croato  Vesna Pusić mancano adeguati strumenti in grado ad un paese singolo di decidere se consentire o meno gli OGM sul proprio territorio. Diverso il parere del biologo Hrvoje Fulgosi, presidente del Consiglio croato per gli OGM, secondo il quale l’allarmismo è ingiustificato dato che la legislazione croata prevede controlli e monitoraggi costanti e che, in ogni caso, gli OGM autorizzati nei prodotti alimentari e nel cibo da allevamento devono essere inferiori alla soglia dello 0,9%. Oltre alla presenza della clausola di salvaguardia che consente ad ogni Stato Membro di limitare temporaneamente l’uso o la vendita di OGM sul proprio territorio, se ritenuti dannosi per l’ambiente e la salute. In un Paese dove tutte e venti le Contee (analoghe delle nostre regioni) si sono dichiarate OGM free, il fronte degli oppositori agli OGM teme soprattutto che passi la “strategia della coesistenza”, adottata da quindici stati membri, che prevede la coabitazione fra colture transgeniche e biologiche. La deputata verde e attivista Mirela Holy, fondatrice del neonato Partito per lo sviluppo sostenibile (OraH), su questo punto ha le idee molto chiare: “le ricerche dimostrano chiaramente i danni che gli OGM provocano sulla biodiversità, per questo dobbiamo continuare ad attenerci con forza al protocollo di Cartagena, ratificato dal nostro paese nel 2002”. Dello stesso avviso l’Associazione agricoltori, secondo la quale il bio è l’unica strada in grado di restituire competitività al settore. “Non serve la coltivazione intensiva: l’agricoltura biologica può diventare la nostra carta: piccoli ma forti fra i giganti dell’Unione Europea”, sostiene Ante Ivanika,  un coltivatore biologico croato. La battaglia si preannuncia decisiva per le sorti dell’agricoltura croata.
Fonte: La Nuova Ecologia

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