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Progetto BioTerr, l’impegno di Suolo e Salute per il rilancio dei territori marginali tramite il biologico

 

L’esperienza della Val di Vara, la “Valle del biologico”, come modello da replicare in altri territori vocati all’agricoltura di qualità. E’ questo lo scopo principale del progetto BioTerr, che Suolo e Salute si sta impegnando a promuovere in diverse realtà della penisola. Un’iniziativa che intende utilizzare la sostenibilità e l’agricoltura biologica come motori dello sviluppo di territori considerati altrimenti marginali. Proprio questo modello è stato al centro della missione di una delegazione di docenti provenienti dall’Università giapponese di Kagoshima, alla quale abbiamo dedicato uno specifico approfondimento.

Del progetto BioTerr ha parlato diffusamente nei giorni scorsi Alessandro D’Elia, responsabile Marketing e Sviluppo di Suolo e Salute, intervistato ai microfoni d Greenplanet durante il recente Biofach di Norimberga. L’intervista completa è consultabile al seguente link.

Fonte: Suolo e Salute, Greenplanet

 

Docenti giapponesi presso la sede ligure di Suolo e Salute per studiare l’esperienza della Val di Vara

Un gruppo di docenti dell’università giapponese di Kagoshima (http://www.kagoshima-u.ac.jp/) ha fatto visita nei giorni scorsi alla sede di Suolo e Salute di Varese Ligure (SP), nell’ambito di uno studio che l’ateneo nipponico sta compiendo riguardo ad alcune realtà rurali dell’Unione Europea particolarmente interessanti quale modello di sviluppo compatibile con l’ambiente e la tutela del territorio. In particolare gli scienziati giapponesi erano interessati a comprendere meglio i meccanismi di gestione delle risorse, utilizzo degli aiuti economici comunitari e di promozione delle politiche legate all’agricoltura biologica. Pur non trattandosi di una missione con dichiarate finalità politiche, non di meno l’esperienza riportata dagli accademici potrà servire alle autorità giapponesi come spunto per indirizzare al meglio successive scelte politiche e di governance su scala regionale o nazionale. In particolare, la missione giapponese si riprometteva di raccogliere elementi utili allo sviluppo delle comunità rurali del Sol Levante grazie ad un confronto e ad uno scambio di esperienze e informazioni. La Val di Vara è diventata pertanto meta del viaggio di studi degli accademici di Kagoshima grazie al report elaborato recentemente da Jetro (http://www.jetro.go.jp/italy/), un ente semi-governativo giapponese per la promozione del commercio e degli investimenti che aveva concentrato la propria attenzione proprio sulla realtà di Varese Ligure. Nell’ambito della visita, oltre alla Val di Vara la delegazione ha visitato anche la vicina Garfagnana. Della specifica realtà di  Varese Ligure ha particolarmente colpito i visitatori il fatto che la scelta del biologico abbia riguardato un intero comparto territoriale, tant’è che nel comune di Varese Ligure la SAU coltivata a bio è superiore a quella destinata a colture convenzionali, unitamente al fatto che l’iniziativa fosse derivata dall’azione delle autorità locali (nella fattispecie, il compianto sindaco Caranza) e non dall’iniziativa privata. Proprio la lungimiranza di Mauro Caranza, ex Sindaco del comune ligure, ha colpito i docenti giapponesi, unitamente alla sua perseveranza nel perseguire il suo obiettivo, che ha dato frutti di cui ancor oggi  beneficia l’intero comprensorio. Oltre all’investimento sul biologico e alla rivalutazione e rivitalizzazione del centro storico, ottenute grazie ai contributi dei Piani Organici di Intervento, la delegazione è stata favorevolmente impressionata  dalla scelta delle energie rinnovabili, grazie alla quale attualmente nel territorio di Varese Ligure viene prodotta più energia di quanta ne venga consumata).

Per quanto riguarda la specifica esperienza di Suolo e Salute, che da molti anni certifica la stragrande maggioranza delle aziende biologiche della Valle, i sei docenti hanno avuto modo di parlare in particolare con Antonio Spinelli, direttore della sede Piemonte e Liguria della società, per meglio comprendere le modalità di controllo delle aziende agricole e della filiera e per approfondire alcuni dati statistici relativi alle aziende bio certificate da Suolo e Salute. La delegazione ha inoltre incontrato l’attuale sindaco di Varese Ligure Michela Marcone che ha raccontato la storia del progetto Valle del Biologico e le attuali prospettive per il territorio, e Sergio Traverso, direttore della Cooperativa Casearia Val di Vara e direttore di ARS Food, importante stabilimento di yogurt bio insediato nella valle e più volte premiato con diversi riconoscimenti nazionali ed europei per la qualità dei propri prodotti. Tra le personalità incontrate nel corso della visita, anche il Fulvio Gotelli, presidente della Coop. Carni S. Pietro Vara.

Un’esperienza, quella del distretto del biologico della Val di Vara,  che i sei delegati giapponesi sperano di poter replicare anche in madrepatria, dove al momento non esistono esperienze paragonabili. Il Giappone da questo punto di vista è sicuramente un territorio che si può prestare a replicare l’esperienza di Varese Ligure, anche se l’estrema frammentazione della proprietà agricola costituisce un indubbio ostacolo al sorgere di progetti analoghi.  Un frazionamento eccessivo che crea non poche difficoltà alle aziende di produzione zootecnica interessate ad avvicinarsi al bio. Sette anni fa, nel 2006, è stata introdotta dal Governo di Tokio una normativa nazionale concepita per incentivare il settore del biologico, ma si tratta a detta dei docenti di un provvedimento in cui alcune lacune particolarmente evidenti rendono ancora poco “attraente” questo tipo di coltivazione. Anche a livello di contributi, la realtà giapponese è assai diversa da quelle europee, dal momento che i contributi si limitano a supportare la sola fase di transizione dal convenzionale al biologico, terminata la quale non sono previsti ulteriori finanziamenti. Né esistono situazioni assimilabili al concetto di Distretto Rurale Bio come accade invece in realtà quale quella di Varese Ligure. Ferrei invece i controlli, con ben 60 Organismi di Controllo muniti, come in Italia, di un Comitato di Certificazione che valuta le pratiche delle singole aziende agricole.

Fonte: Suolo e Salute

La più grande mobilitazione ambientalista della storia americana per chiedere l’impegno di Obama contro il global warming e le multinazionali del petrolio

Dopo le promesse, i fatti. E’ questo che hanno invocato a gran voce le oltre 40.000 persone che, lo scorso week end, si sono date appuntamento a Washington, davanti alla Casa Bianca, proprio nei giorni del President’s Day, dando vita a quella che è considerata la più imponente iniziativa ambientalista nell’intera storia degli Stati Uniti. Oltre alla capitale, i cortei infatti hanno coinvolto oltre 20 città americane e oltre un milione di attivisti on line che tramite blog e social media hanno rilanciato i contenuti della campagna.

Coinvolte tutte le principali organizzazioni ambientaliste (americane e non),  da Greenpeace al Sierra Club, da 350.org fino all’Indigenous Environmental Network: uno schieramento senza precedenti per invocare da parte di Barak Obama il mantenimento della promessa fatta nel suo recente discorso sullo stato dell’Unione, durante in quale il presidente degli Stati Uniti aveva dichiarato che «Per il bene dei nostri figli e del nostro futuro, dobbiamo fare di più per combattere il cambiamento climatico».

Simbolo della lotta ambientalista, il controverso progetto che prevede la realizzazione dell’oleodotto Keystone XL, un’infrastruttura gigantesca che, nelle intenzioni dei progettisti, dovrebbe convogliare il petrolio dal Canada fino alle coste del Texas, per poi essere spedito all’estero partendo dal Golfo del Messico (già peraltro drammaticamente deturpato dalla ben nota tragedia della Deepwater Horizon).

La posta in gioco è elevatissima: nei piani delle Big Oil, le grandi compagnie petrolifere nordamericane, l’oleodotto costituisce infatti l’elemento centrale di un piano che intende triplicare la produzione di petrolio da sabbie bituminose dagli attuali 2 milioni di barili al giorno fino a 6 milioni di barili al giorno entro il 2030 e, nel lungo periodo, giungere a superare la quota di 9 milioni di barili al giorno. Le minacce all’ambiente sono molteplici e di enorme entità, come sottolineato da un rapporto dell’Nrdc, il Natural Resources Defense Council americano. Innanzitutto, la natura stessa della risorsa indicherebbe una scommessa a lungo termine su una forma di investimento energetico basata non solo su un combustibile fossile, ma addirittura uno dei più sporchi del pianeta (quello appunto proveniente dalle sabbie bituminose). Secondariamente, attraverserebbe in pieno quella parte degli Stati Uniti considerata il vero e proprio “granaio d’America”, con ovvi e pesanti impatti sul territorio; infine, comporterebbe impatti climatici assai gravosi che porterebbero ad un importante aumento delle emissioni di anidride carbonica, vanificando gli sforzi che faticosamente la comunità internazionale sta producendo per ridurre l’impatto dell’uomo sul clima e ridurre gli effetti del global warming. «Sarebbe un disastro per il nostro clima – hanno dichiarato alcuni portavoce dell’iniziativa – la produzione di tar sands crude emette  due o tre volte più inquinamento da CO2 prodotto dal greggio convenzionale».

Molto chiare le parole di Bill McKibben, fondatore di 350.org, che ha stigmatizzato l’atteggiamento dei precedenti governi USA auspicando un deciso, concreto cambio di rotta: «Per 25 anni il nostro governo ha sostanzialmente ignorato la crisi climatica: ora un gran numero di persone stanno finalmente chiedendo che si metta al lavoro».

I problemi ambientali sono oramai al centro anche dell’agenda politica americana, come dimostrato da numerosi studi e sondaggi. Secondo le rilevazioni effettuate da Public Policy Polling subito dopo il discorso di Obama sullo stato dell’Unione, il 65% degli americani considera il cambiamento climatico un problema serio e la  maggioranza degli americani sostiene l’impegno del presidente per ridurne la causa principale, costituita appunto dalle emissioni di gas climalteranti, prima fra tutte l’anidride carbonica. .

«Fra 20  anni, nel  President’s Day, la gente vorrà sapere che cosa ha fatto il presidente di fronte all’innalzamento del livello del mare, alla siccità record ed alle furiose tempeste causati dalla distruzione del clima. Il presidente Obama ha in mano una penna e il potere di mantenere le sue promesse di speranza per i nostri figli. Oggi siamo qui per chiedergli di usare quella penna per respingere la Keystone XL tar sands pipeline e di garantire che questo sporco, pericoloso oleodotto non sarà mai costruito», ha dichiarato Michael Brune, direttore esecutivo di Sierra Club.

Fonte: Greenreport.it

FiBL e IFOAM presentano al BioFach le ultime statistiche in materia di agricoltura biologica nel mondo

L’Istituto di ricerca dell’agricoltura biologica (FiBL) e l’IFOAM hanno presentato al Biofach di Norimberga, conclusosi sabato scorso 16 febbraio,  le ultime statistiche in materia di agricoltura biologica nel mondo. Il 2012 è stato un anno molto importante per il biologico, come dimostrato dalla crescita costante del settore. Per la prima volta infatti è stata superata quota 60 miliardi di dollari totali per quanto riguarda le vendite di biologico a livello internazionale.

Secondo i dati FiBL-IFOAM, l’agricoltura biologica oggi coinvolge circa  1,8 milioni di agricoltori in 162 paesi interessando oltre 37 milioni di ettari di terreni agricoli in tutto il mondo (dato riferito al 2011). Il mercato globale degli alimenti biologici raggiunge oggi la ragguardevole cifra di 62,9 miliardi di dollari, equivalente a circa 45 miliardi di euro, con un incremento di 4 miliardi di dollari rispetto a quanto fatto registrare per il 2010.

Secondo le rilevazioni della società di ricerche di mercato Organic Monitor, il mercato principale è rappresentato dagli Stati Uniti, con 21 miliardi di euro. In Europa, dove sono stati spesi oltre 21,5 miliardi di euro in prodotti bio nel corso del 2012, la Germania detiene il primato di mercato più attento alle produzioni biologiche con vendite pari a 6.6 miliardi di euro, seguita dalla Francia (3,8 miliardi di euro). I paesi con la più alta spesa annuale pro capite sono stati la Svizzera e la Danimarca con più di 160 euro pro-capite.

Passando dai consumatori ai produttori, circa l’80 per cento degli 1,8 milioni di aziende agricole (salite in un anno  dai precedenti 1,6 milioni) sono situate in paesi in via di sviluppo. Come negli anni precedenti, i paesi con il maggior numero di produttori restano l’India (547.591), l’Uganda (188.625), il Messico (169.570) e la Tanzania (145.430), dati questi che rispecchiano quanto riportato in un altro autorevole studio pubblicato recentemente sul bio, il rapporto del Worldwatch Institute intitolato “Organic Agriculture Contributes to Sustainable Food Security” sul quale abbiamo scritto in un altro articolo nella nostra NL.

Dal punto di vista terreni agricoli, alla fine del 2011 erano coltivati secondo il metodo biologico un totale di 37,2 milioni di ettari. La crescita più significativa è avvenuta in Asia, con un aumento di quasi 1 milione di ettari, portando il totale delle coltivazioni biologiche in questa parte del mondo a 3,7 milioni di ettari (+34%  rispetto all’anno precedente). In Europa, campi agricoli bio sono cresciuti  di 0,6 milioni di ettari (+6 per cento): oggi ben 10,6 milioni di ettari sono ora biologici. Su scala globale, i  paesi con i più alti tassi di crescita sono stati la Cina (+510.000 ettari), l’India (+304.266 ettari) e la Spagna (+165.226 ettari).

Un terzo di tutti i terreni bio del mondo si trova è in Oceania (3%), seguita dall’Europa (2%), e dall’America Latina (1%). L’Australia è il paese con la più grande area agricola biologica (12 milioni di ettari, con il 97% di questa superficie utilizzata come pascolo), seguita da Argentina (3,8 milioni di ettari) e dagli Stati Uniti d’America (1,9 milioni di ettari). I paesi con la maggiore quota di terreni bio sul totale dei terreni agricoli sono le Isole Falkland (36%), seguite dal Liechtenstein (29%) e dall’Austria (20 per cento). In ben dieci paesi del mondo la quota di terreni bio è superiore al 10% del totale.

Queste cifre dimostrano che nei paesi in cui l’agricoltura biologica è istituzionalmente ben integrata, vi è una crescita costante del mercato e un’espansione continua delle superfici coltivate a biologico. Questo è particolarmente evidente nel caso dell’Europa, dove molti paesi forniscono una vasta gamma di misure di sostegno al biologico quali  pagamenti diretti, servizi di consulenza, ricerca e azioni mirate di marketing.

I dati qui brevemente riassunti sono stati presentati per il quattordicesimo anno consecutivo al BioFach. Il testo “Il mondo dell’agricoltura biologica in tutto il mondo”, realizzato in collaborazione tra FiBL e IFOAM, contiene relazioni e contributi a cura di  esperti nel settore biologico e riporta i trend emergenti nel settore. Il volume inoltre fornisce specifiche le informazioni sugli aspetti normativi e legislativi. Ulteriori informazioni sono disponibili sul sito www.organic-world.net.

Fonte: IFOAM, FiBL, Organic World

Suolo E Salute al Biofach 2013: il bio rappresenta la via per un’economia capace di futuro

Quattro giorni di manifestazione con oltre 40mila visitatori e 2400 espositori: l’edizione 2013 di Biofach si è focalizzata sui presupposti necessari per un’economia sostenibile e capace di futuro. Proprio sul tema dello sviluppo sostenibile all’insegna del bio si è concentrata la presenza di Suolo e Salute alla fiera di riferimento mondiale dedicata al mondo del biologico e del naturale. Il progetto BioTerr, volto alla valorizzazione del territorio in termini economici ed ambientali, di rinascita sociale e di tutela della biodiversità grazie alla pratica dell’agricoltura biologica, è stato il motivo conduttore di molti incontri con aziende, opinion leaders ed istituzioni.

Lo stand ha visto una elevata partecipazione sia di aziende italiane che estere interessate ai servizi di certificazione offerti da Suolo e Salute. Nell’ambito del rafforzamento delle collaborazioni, soprattutto all’estero, Suolo e Salute ha incontrato diversi Enti di certificazione tra i quali: BioIspecta ed IMO della Svizzera, l’olandese Control Union e l’indiano Biocert. Suolo e Salute ha partecipato a diversi convegni e manifestazioni organizzate nell’ambito della fiera; molto interessante è stato l’incontro organizzato da BioSuisse sui nuovi termini di accreditamento delle aziende bio autorizzate dall’associazione di produttori elvetica. Inoltre ha stretto rapporti con il KRAV svedese per la concessione del marchio alle aziende controllate ed interessate a commercializzare prodotti bio in Svezia.  Considerato il carattere internazionale della manifestazione Suolo e Salute ha incontrato aziende provenienti da diverse nazioni, interessate alla certificazione e allo sviluppo del biologico; in particolare è stato interessante l’incontro con il Presidente dell’associazione BioGhana per lo sviluppo del bio nel paese. Inoltre ha avuto modo di consolidare i rapporti con le istituzioni del biologico della Romania, paese a cui era dedicata l’edizione 2013 del Biofach.

Per ulteriori informazioni: sviluppo@suoloesalute.itwww.suoloesalute.it

“Mettiamo la sicura al nostro vino”: al via la campagna FederBio a tutela del vino biologico

“Noi, produttori di vino biologico, siamo sicuri di garantirti un prodotto unico e autentico. La nostra (e la tua) sicurezza si fonda sulla certificazione che impone al vino biologico di essere libero, naturale, privo di fertilizzanti, diserbanti, fungicidi e insetticidi chimici di sintesi. Solo quello certificato, infatti, è il vero vino biologico”. Con queste parole FederBio ha lanciato nei giorni scorsi la propria campagna di comunicazione a tutela del vino biologico dopo le recenti polemiche riguardo i cosiddetti vini “liberi” e “naturali”. La campagna, promossa in collaborazione con numerosi produttori, cantine e organismi di certificazione, intende rimarcare l’importanza della certificazione nel vino bio, principale strumento di garanzia e tutela per il consumatore e di salvaguardia per l’ambiente. Solo un vino effettivamente biologico, infatti, è caratterizzato dall’assenza di fertilizzanti, diserbanti, fungicidi e insetticidi chimici di sintesi, nel rispetto da quanto previsto e specificamente codificato dalla normativa europea in materia. Inoltre, come ogni prodotto biologico, anche il vino sottosta a verifiche, analisi ed ispezioni che consentono di conseguire un riconoscimento che lo rende effettivamente “libero” e “naturale”. E solo questo iter consente effettivamente, come recita il claim della campagna, di “mettere la sicura al vino”, grazie alla certificazione bio.

Fonte: FederBio