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Category: Suolo e Salute News

Lavoro nei campi: il biologico tutela i lavoratori

Lavoro nei campi: il biologico tutela i lavoratori

Un chilo di pomodori da passata viene pagato 8 centesimi in agricoltura convenzionale, mentre nel biologico si arriva a pagare anche 33 centesimi.

Dalle stime del “Rapporto agromafie e caporalato” è emerso che il business del lavoro irregolare e del caporalato in agricoltura vale 4,8 miliari di euro, e le aziende che si rivolgono al “caporale” sono molte.

In agricoltura convenzionale, si apre così uno scenario nel quale vediamo un lavoratore sfruttato e sottopagato. La maggior parte dei lavoratori non ha un regolare contratto di lavoro, non sono così tutelati e non hanno nessun diritto garantito dai contratti e dalla legge. Passa dalle 10 alle 12 ore nei campi, prendendo circa 20/30€ al giorno.

L’agricoltura biologica offre invece maggiori garanzie: da più occupazione, viene riconosciuto il lavoro svolto nei campi e paga meglio il prodotto all’origine.

L’agroecologia è un modello produttivo che ha bisogno di una maggiore manodopera, poiché la coltivazione biologica richiede più attenzione: occorre, quindi un lavoro attento di persone non sfruttate, che ricevono un salario migliore oltre a lavorare in condizioni di maggior tutela per la salute perché non sottoposti ai rischi legati all’uso di pesticidi.

 

Fonte: https://www.cambialaterra.it/2019/04/lavoratori-sfruttati-nei-campi-il-biologico-marcia-in-direzione-opposta/

 

Suolo e Salute: cinquant’anni in piena forma

Suolo e Salute: cinquant’anni in piena forma

Nel 2018 il biologico italiano è cresciuto insieme a Suolo e Salute che si è confermato, anche per quest’anno, primo Ente di certificazione in Italia per numero di aziende certificate e per superficie coltivata in biologico.

Suolo e Salute trae origine dall’Associazione Suolo e Salute fondata a Torino nel 1969, realtà pioniera nello sviluppo e nella promozione del metodo dell’agricoltura biologica in Italia. Oggi l’Organismo di controllo certifica oltre il 26% delle aziende biologiche in Italia e quasi il 30% della superficie coltivata.

I numeri raggiunti coronano la storia di Suolo e Salute e rappresentano il più bel regalo per i suoi 50 anni.

Lo scorso 29 aprile, in occasione dell’Assemblea dei soci, è stato presentato il bilancio dello scorso anno e presentato i risultati operativi al 31 dicembre 2018, caratterizzati da un trend molto positivo sia da un punto di vista operativo che economico: oltre ad un aumento del numero delle aziende certificate si è registrato anche un aumento del fatturato e degli investimenti per l’ottimizzazione dell’operatività e dell’efficienza aziendale.

  1. Aziende controllate: +11,4% rispetto al 2017, con un totale di 18.881. Del totale delle aziende assoggettate, 3.931 (il 20,8%) svolgono attività di trasformazione esclusiva oppure trasformazione e produzione primaria. Del totale, 2.603 svolgono attività zootecnica bio (il 13,8%). Negli ultimi otto anni è da evidenziarsi l’incremento nel comparto dei trasformatori esclusivi, passati da 495 aziende (2010) a 1213 con un incremento di +145%. L’aumento degli ultimi tre anni è stato del 27%.
  1. Superficie agricola utilizzata (S.A.U.) al controllo: 518.000 ettari (biologico e conversione), con un incremento di 21.000 ettari rispetto al 2017. Nel periodo 2010-2018 la superficie agricola utilizzata controllata da Suolo e Salute è aumentata di 232.217 ettari (+81,4%).

“Questi dati – commenta Alessandro D’Elia, direttore generale di Suolo e Salute – vanno letti con il cuore. Nonostante le difficoltà abbiamo saputo affermare la nostra credibilità ed affidabilità, meritando la continua fiducia del mercato.  Proprio un bel regalo per i nostri 50 anni. Chiaramente i numeri e lo status di primo organismo di controllo e certificazione in Italia richiamano Suolo e Salute a un continuo senso di responsabilità nei confronti dei propri operatori e del sistema nel suo insieme”.

 

Per informazioni:

SUOLO e SALUTE srl

www.suoloesalute.it

 

L’appello di Anabio: occorre un Piano di ricerca sulle Sementi Biologiche

L’appello di Anabio: occorre un Piano di ricerca sulle Sementi Biologiche

Anabio, l’associazione di Cia-Agricoltori Italiani per il biologico, ha lanciato un appello al Ministero delle Politiche Agricole per un tempestivo finanziamento di un Piano di ricerca sulle sementi Biologiche.

L’idea è quella di aumentare la disponibilità di varietà selezionate e idonee alle specifiche pratiche agronomiche, in funzione delle caratteristiche delle produzioni bio.

“Nonostante l’avvio del Sistema informativo della Banca Dati Sementi Biologiche (BDSB), disponibile da inizio 2019 sul portale del SIAN per permettere agli agricoltori di conoscere e accedere alle sementi bio disponibili, poco è concretamente cambiato in termini di reale e sostanziale disponibilità di materiale riproduttivo biologico certificato. Per questo motivo Anabio, l’Associazione di Cia-Agricoltori Italiani per il biologico, chiede al Ministero delle Politiche Agricole l’immediato finanziamento di un Piano di ricerca sulle Sementi Biologiche, che abbia come obiettivo quello di aumentare la disponibilità di varietà selezionate e conciate, quindi idonee alle specifiche pratiche agronomiche, in funzione delle peculiarità delle produzioni biologiche.

Un obiettivo che diventa urgente, secondo Anabio-Cia, alla luce dell’Art.13 del Reg.to Ue n.848/2018, “Disposizioni specifiche per la commercializzazione di materiale riproduttivo vegetale di materiale eterogeneo biologico” e delle decisioni successive, che prorogano al 31 Dicembre 2019 l’iscrizione alla sperimentazione di altre sementi di materiale eterogeneo di avena, frumento, orzo e mais, ed estendono la durata della commercializzazione sperimentale fino al 28 Febbraio 2021.

Inoltre, la crescita dell’agricoltura biologica, sia rispetto agli operatori che alle superfici coltivate, è un ulteriore elemento che impone la messa a disposizione di materiale riproduttivo, per consentire uno sviluppo qualitativo e distintivo del bio italiano.”

 

Fonte: https://agvilvelino.it/article/2019/04/05/agricoltura-anabio-cia-subito-piano-di-ricerca-per-le-sementi-biologiche-2/

http://www.anabio.it/sezioni/titolo/agricoltura-anabio-cia-subito-piano-di-ricerca-per-le-sementi-biologiche-2

 

“Confronto tra tecniche e opportunità” sull’agricoltura biologica

“Confronto tra tecniche e opportunità” sull’agricoltura biologica

Il 12 aprile, a Piacenza, si è tenuto il convegno “Confronto tra tecniche e opportunità”, organizzato da Coldiretti e Terrepadane, durante il quale si sono riuniti esperti nel settore dell’agricoltura biologica.

Il biologico è una grande opportunità per il futuro, soprattutto in collina e montagna, e un settore in forte espansione nell’agro-alimentare.

“Il biologico è una grande opportunità per il futuro: questo settore è infatti da un lato recupero di tradizioni e dall’altro valorizzazione della natura. In questo senso la ricerca è fondamentale, perché le innovazioni che arrivano per fare il “bio” garantiscono un’agricoltura più sicura e sostenibile, alla quale dobbiamo lavorare per dare maggiore distintività e per far si che alle nostre produzioni sia riconosciuto il giusto valore”, spiega il presidente di Coldiretti Piacenza Marco Crotti.

“L’agricoltura deve essere certo sostenibile, non solo per l’ambiente, ma anche economicamente, socialmente ed eticamente: le tecniche agronomiche utilizzate per queste finalità sono molto diversificate ma tutte valide se perseguono questi fini, compresa la convenzionale e la biologica”, commenta il presidente della Facoltà di Scienze Agrarie dell’Università Cattolica, Marco Trevisan.

Durante il convegno intervenuto anche il presidente di FederBio, Paolo Carnemolla, che ha espresso la sua delusione per il nuovo regolamento dell’agricoltura biologica. “Abbiamo bisogno di aumentare sempre più la coerenza della normativa con quello che i cittadini vogliono.”

 

Fonte: https://www.ilpiacenza.it/economia/biologico-futuro-per-collina-e-montagna-ma-serve-una-normativa-europea-chiara-ed-univoca.html

La zona del Chianti si muove sempre di più verso il biologico

La zona del Chianti si muove sempre di più verso il biologico

Il Chianti muove i suoi passi verso la produzione biologica e la tutela dell’ambiente, con più del 30% di superficie agricola utilizzata dedicata al biologico.

I produttori biologici del vino Docg Chianti Classico costituiscono il Biodistretto Chianti il 27 settembre 2016, mossi dal desiderio di voler ridurre l’uso di agrofarmaci di sintesi nell’intero territorio. Il Biodistretto si estende per i Comuni di Barberino Tavarnelle, Castellina in Chianti, Castelnuovo Berardenga, Gaiole in Chianti, Greve in Chianti, Radda in Chianti e San Casciano.

“I dati diffusi dalla Regione Toscana confermano l’impegno di tutti i Comuni che fanno parte del Biodistretto del Chianti a promuovere la vocazione ad agricoltura sostenibile di tutto il territorio e la sua tutela come nostro bene primario. Questi numeri, inoltre, stimolano nuove iniziative per favorire crescenti vantaggi socioeconomici per le aziende che scelgono la produzione biologica puntando su qualità dell’aria e dell’acqua e, quindi, anche sulla tutela dell’ambiente, con ripercussioni positive per marketing, turismo e promozione del territorio”, spiega Roberto Stucchi Prinetti, presidente del Biodistretto del Chianti.

“Il biodistretto del Chianti ha tra i suoi obiettivi primari la presenza di alimenti biologici nelle mense pubbliche; il non utilizzo di diserbanti nelle aree e nelle strade pubbliche; l’implementazione della raccolta differenziata dei rifiuti e il crescente utilizzo di materiali e stoviglie biodegradabili negli eventi pubblici”. Molte di queste azioni “sono già realtà nei Comuni del Chianti e continueremo a lavorare su questa strada coinvolgendo sempre di più i cittadini, le scuole e il mondo agricolo nella tutela e nella valorizzazione del nostro territorio e delle sue eccellenze enogastronomiche”, continua il coordinatore del Biodistretto Fabrizio Nepi, sindaco di Castelnuovo Berardenga.

 

Fonte: http://www.uipa.it/13-4-agricoltura-biodistretto-chianti-puntiamo-al-biologico/

È migliore la frutta biologica importata o quella “in conversione al bio” locale?

È migliore la frutta biologica importata o quella “in conversione al bio” locale?

L’azienda Elshof Organic Fruit, di Dronten, nei Paesi Bassi, si è posto l’obiettivo di muoversi verso la conversione a biologico per la produzione di pere, considerata la crescente domanda europea.

“I supermercati non vogliono frutta “in fase di conversione al bio”. Richiedono solo frutti convenzionali o biologici. Della prima tipologia il mercato è pieno, ma allo stesso tempo ci sono intere navi cariche di pere biologiche provenienti dall’Argentina. Di conseguenza, perfino sul mercato del bio si registra un po’ di pressione. Secondo noi, è un peccato. Ecco perché stiamo tentando di convincere i nostri clienti a scegliere le pere olandesi, pur se ancora in fase di conversione al bio, invece che le pere biologiche d’importazione dall’Argentina”, spiega Robert Elshof, il direttore dell’azienda.

L’azienda produce anche mele biologiche, che coltiva nei frutteti di sua proprietà.

“Mi aspetto di riuscire a fornire questi frutti fino a giugno-luglio. Le nostre mele biologiche sono destinate ai supermercati olandesi e belgi. Il nostro obiettivo è anche quello di vendere quanta più frutta possibile a livello locale. Per quanto riguarda le pere, ci stiamo riuscendo – spiega Robert – perché il mercato è molto più orientato verso l’Europa. I nostri principali paesi di vendita sono Germania, Francia e Scandinavia. In tali paesi, le pere di alta qualità sono molto poche”, continua il direttore.

Per dirigersi verso questo obiettivo, l’azienda ha creato uno nuovo impianto di smistamento ottico nel quale ha introdotto macchinari di ultima generazione che classifica la qualità dei prodotti e un nuovo spazio di refrigerazione per le pere biologiche.

“Questo perché le pere bio devono essere refrigerate in maniera diversa rispetto a quelle convenzionali. Per la refrigerazione delle pere convenzionali si fa di tutto per minimizzare la disidratazione, come per esempio la tecnica del raffreddamento ad acqua”, spiega Robert.

“Da molti anni ormai va avanti una discussione sugli squilibri del potere negoziale lungo la filiera. Tuttavia, stiamo cercando di invertire la rotta e di instaurare partnership con i buyer direttamente dal settore della coltivazione. Secondo noi, ciò permette una situazione da cui tutti traggono beneficio. Lavorando con partner di grandi dimensioni, i supermercati hanno a disposizione una fornitura costante, con meno sprechi.

I coltivatori, inoltre, ricevono un buon prezzo per il loro prodotto. Ciò significa che possono fare crescere la loro attività ora e in futuro. Possono investire per rendere sostenibili le loro aziende agricole e il consumatore ottiene un prodotto biologico che ha dietro una storia di successo. Cosa si potrebbe volere di più?” conclude Robert Elshof.

 

Fonte: https://www.freshplaza.it/article/9092395/meglio-un-frutto-locale-in-fase-di-conversione-al-bio-o-uno-gia-biologico-d-importazione/