Suolo e Salute

Autore: admin

IL TRATTORE DEL FUTURO SARÀ IBRIDO ELETTRICO

IL TRATTORE DEL FUTURO SARÀ IBRIDO ELETTRICO

Accordo tra Cnh e Ministero per lo Sviluppo economico per mettere a punto il primo trattore ibrido. Un progetto di ricerca sostenuto da un investimento da 39,4 milioni di euro

Il ministro Giancarlo Giorgetti ha firmato un accordo per l’innovazione con Cnh Industrial Italia, azienda controllata da Exor che produce macchinari agricoli e per le costruzioni. L’accordo punta allo sviluppo di una tecnologia ibrido elettrica per trattori nello stabilimento di Modena.

L’agricoltura del futuro

Il progetto “Trattore elettrico ibrido per l’agricoltura del futuro” è in linea con il piano strategico pluriennale dell’azienda che mira a individuare soluzioni tecnologiche sostenibili dal punto di vista ambientale, puntando sulla realizzazione di un trattore speciale ibrido elettrico a zero emissioni e sul miglioramento delle prestazioni del macchinario attraverso un simulatore virtuale.

Le risorse per finanziare l’intervento sono pari a 39,4 milioni di euro, di cui il Ministero dello sviluppo economico mette a disposizione agevolazioni per 7,9 milioni di euro. «E’ un investimento importante – spiega Giorgetti- di una azienda, appartenente a un gruppo di livello mondiale ma dalle forti radici italiane, che investe nello sviluppo di trattori innovativi ed ecologici. Il Mise sostiene un progetto valido incentrato sulla sostenibilità che punta a favorire la produttività attraverso l’applicazione di tecnologie all’avanguardia».

BALZO DEL 25% DEL BIO IN TOSCANA

BALZO DEL 25% DEL BIO IN TOSCANA

La crescita delle superfici spinge questa regione ai vertici nazionali. Filippi (Coldiretti Toscana) «Da alternativa di nicchia questo metodo di produzione è oggi diventato un modello per il comparto primario nazionale»

Il biologico cresce a doppie cifre in Toscana. Con il 25% di superfici destinate alle colture bio in più in appena un anno, seconda miglior performance nazionale (meglio ha fatto solo la Campania), la Toscana si conferma la prima regione per incidenza di aziende biologiche (13,8%), la seconda per incidenza di superfici (34,1%) e la terza per estensioni complessive con 225.295 ettari. In aumento, come diretta conseguenza anche gli operatori che sono 6.974 (+16,5%), quasi mille in più (987 per la precisione). Lo rileva Coldiretti Toscana sulla base del rapporto “Bio in Cifre 2021” elaborato da Sinab presentato da Ismea.

Due le cause

La spinta alla crescita dell’agricoltura biologica in questa regione è frutto principalmente di due fattori:

  • le ingenti risorse che la Regione Toscana, attraverso il Piano di Sviluppo Rurale ha investito in questi anni per favorire le conversioni dal convenzionale al biologico alla luce degli obiettivi della strategia Farm to Fork;
  • l’aumento dei consumi che sono più che raddoppiati nell’ultimo decennio

«Sono anche cresciute -ricorda Fabrizio Filippi, Presidente Coldiretti Toscana – le aziende bio che partecipano ai nostri mercati di Campagna Amica». «Da alternativa di nicchia -continua-, l’agricoltura biologica è così diventata un modello per il sistema nazionale e per i consumatori, suggellato dalla recente approvazione della legge sul biologico da noi fortemente sostenuta».

La svolta della legge sul bio

Tra gli elementi della legge nazionale sul bio ritenuti più positivi:

  • l’introduzione di un marchio per contrassegnare come 100% Made in Italy solo i prodotti biologici ottenuti da materia prima nazionale;
  • l’impiego di piattaforme digitali per garantire una piena informazione circa la provenienza, la qualità e la tracciabilità dei prodotti;
  • la definizione dei biodistretti.
RESIDUO ZERO? UNA TROVATA COMMERCIALE PRIVA DI BASI SCIENTIFICHE

RESIDUO ZERO? UNA TROVATA COMMERCIALE PRIVA DI BASI SCIENTIFICHE

I dati Efsa confermano già l’affidabilità di una produzione ortofrutticola già in larghissima parte priva di residualità. A chi conviene stressare questo tema? Se lo chiede Maria Lodovica Gullino, docente all’Università di Torino

Residuo zero: più che green è green washing. Ne è convinta Maria Lodovica Gullino che sulle pagine del settimanale Terra e Vita propone la sua analisi su una produzione agricola certificata che sta diventando di moda. «Un fenomeno comprensibile sul lato marketing – scrive la docente dell’Università di Torino -, per attrarre consumatori poco informati, molto meno sul lato tecnico e agronomico». Soprattutto alla luce dei riscontri dei dati Efsa. L’agenzia europea per la sicurezza alimentare, nelle sue analisi annuali sull’evoluzione dei residui di agrofarmaci nei prodotti alimentari, fotografa infatti un settore già ampiamente “a residuo zero”.

I dati Efsa

Il Report Efsa 2022, che fa riferimento ai valori del 2020 ed è perfettamente in linea con quello dei due anni precedenti, riporta ad esempio che il 68,5% dei campioni non presenta residui rilevabili, il 29,7% residui di uno o più agrofarmaci a valori uguali o inferiori a quelli ammessi mentre l’1,7 dei campioni sono irregolari. I dati italiani sono perfettamente in linea, con il 67,3% di campioni con residui non rilevabili, 31,7% di campioni con residui inferiori o uguali a quelli ammessi e l’1% di campioni irregolari. Un virtuosismo legato al fatto che la grandissima maggioranza dei nostri agricoltori, grazie a una buona assistenza tecnica, a una lunga tradizione di difesa integrata, e anche ai costi elevati, usa gli agrofarmaci con grande parsimonia.

La sostenibilità non passa da qui

A chi giova dunque stressare su questo tema? Non agli agricoltori e nemmeno ai consumatori, a causa del carico burocratico connesso alla gestione della tracciabilità lungo la catena del valore della filiera a residuo zero. Non converrebbe nemmeno a tecnici e ricercatori che secondo Gullino, invece che inseguire l’onda del marketing, dovrebbero prodigarsi nell’aiutare gli agricoltori in una gestione più sostenibile dei mezzi tecnici, sempre più limitati nel numero.

Non c’è bisogno di inventarsi nulla di nuovo: la sostenibilità si basa sulla conoscenza e sulla fiducia, e ci sono metodi come il bio che hanno saputo conquistarsi già queste medaglie in oltre 30 anni di onorato servizio.

CRISI IN SRI LANKA, IL BIOLOGICO NON C’ENTRA

CRISI IN SRI LANKA, IL BIOLOGICO NON C’ENTRA

Dietro il collasso dell’economia del Paese insulare asiatico non c’è il divieto imposto dal presidente Gotabaya Rajapaksa di utilizzare fertilizzanti chimici. Decisione che invece, paradossalmente, ha giocato un ruolo positivo sulla bilancia valutaria di Colombo

La drammatica implosione dell’economia dello Sri Lanka ha molti colpevoli. L’agricoltura biologica è una di queste? Se lo chiede il magazine internazionale “Politico” dopo le accuse degli oltranzisti del produttivismo agricolo riassunte in un intervento del Wall Street Journal che accomunava le politiche green di Colombo a quelle di Bruxelles.

Il Green Deal di Rajapaksa

In realtà, secondo l’analisi dei giornalisti Debra Kahn, Jordan Wolman e Lorraine Woellert dietro i tumulti che hanno costretto alla fuga il presidente Gotabaya Rajapaksa la scorsa settimana non c’è il pacchetto di misure di politiche agricole che hanno tra l’altro introdotto il divieto di utilizzo di fertilizzanti chimici.

Il blocco della pandemia

I raccolti agricoli del Paese asiatico non sono diminuiti tanto da giustificare tale reazione. Alla base della debacle economica c’è invece l’effetto della pandemia da Covid19 che ha rispedito in patria frotte di lavoratori srilankesi. Le rimesse dei cittadini dello Sri Lanka che lavorano fuori dall’isola ammontano infatti ogni anno a circa 6 miliardi di dollari, rappresentando una delle voci principali dell’attivo della bilancia commerciale del Paese. Per avere un confronto basti pensare che il giro di affari del tè, il prodotto agricolo più esportato da Colombo, non supera 1,2 miliardi di dollari.

Fertilizzanti alle stelle

Senza le rimesse e i dollari del turismo, lo Sri Lanka ha dovuto intaccare le proprie riserve per le importazioni e gli interessi per il debito, il che, combinato con l’inflazione, lo ha mandato nella spirale che ha portato al collasso economico. In quest’ottica la decisione di ridurre l’import di sempre più costosi fertilizzanti chimici ha invece giocato un ruolo positivo, evitando ulteriori svalutazioni determinate dalla necessità di investire valuta estera in fertilizzanti.

La lezione dello Sri Lanka

«C’è una tensione intrinseca tra gli obiettivi di sicurezza alimentare e quelli ambientali», ammette nell’articolo Colin Christensen, direttore delle politiche globali di One Acre Fund, un’organizzazione no profit che fornisce sementi, fertilizzanti, assicurazioni e altri servizi per i piccoli agricoltori nell’Africa orientale e meridionale. «Occorre però evitare le facili generalizzazioni». La lezione dello Sri Lanka è quello che una cattiva gestione macroeconomica può distruggere l’economia e l’agricoltura dei Paesi più deboli. La spinta decisiva può arrivare però dagli effetti di una gestione poco sostenibile dell’economia e del commercio internazionali.

2,4 MILIARDI DI RISORSE PER LA CRESCITA DEL BIO

2,4 MILIARDI DI RISORSE PER LA CRESCITA DEL BIO

Fare rete attraverso i sostegni messi in campo da Pac e Pnrr. L’auspicio di Anabio-Cia nel corso della recente conferenza organizzata a Roma

Costruire una rete territoriale al servizio delle aziende agricole. Investire le risorse collegate al Pnrr, alla Pac e al Piano nazionale del biologico per valorizzare il settore. Sono gli obiettivi di Anabio diffusi in occasione del recente convegno organizzato a Roma dall’associazione di Cia-Agricoltori Italiani.

Il settore, infatti, si trova a un punto di svolta tra il nuovo quadro normativo europeo e nazionale, ma soprattutto per 2,1 miliardi di euro in arrivo nella nuova Pac e i 300 milioni per i contratti di filiera e di distretto nel Fondo complementare al Pnrr.

Cinque regioni locomotiva

«È il momento giusto – ha detto Federico Marchini , presidente di Anabio, per spingere su uno sviluppo integrato che passi dalla formazione e informazione delle imprese». Negli ultimi 5 anni in Italia superfici e imprese bio sono cresciute del 40%, a partire da 5 regioni che, da sole, fanno il 50% della superficie coltivata a bio, ossia Sicilia (316.147 ettari), Puglia (286.808 ettari), Toscana (225.295), Calabria (197.165) ed Emilia-Romagna (183.578).

L’Italia ci crede

«Interventi e fondi messi in campo sono la dimostrazione che l’Italia conta su questa agricoltura – ha spiegato il presidente di Cia-Agricoltori Italiani, Cristiano Fini – le risorse stanziate a livello Ue e nazionale, dovranno servire a sostenere uno dei driver principali della transizione green».

Per questo, ha aggiunto Fini: «Cia vuole lavorare con Anabio, insieme a tutte le associazioni e gli operatori del settore per indirizzare bene gli aiuti e rendere il bio un volano di modernità, accelerando con gli investimenti in innovazione e ricerca». In quest’ottica Cia sta avviando un progetto di innovazione digitale in 100 aziende agricole con l’associazione Ibma Italia per la formazione e le prove in campo delle tecnologie di biocontrollo, che consistono nell’uso di organismi naturali – insetti utili, microrganismi, feromoni – per contrastare parassiti, batteri nocivi delle piante.

BIOLOGICO, ZERO EQUIVOCI IN ETICHETTA

BIOLOGICO, ZERO EQUIVOCI IN ETICHETTA

Il decreto ministeriale 229771 del 20 maggio scorso rafforza i vincoli per l’etichettatura dei prodotti alimentari bio

È stato pubblicato in Gazzetta ufficiale  il decreto ministeriale 229771 del 20 maggio e il sito Gift – Great italiana food trade ne mette in evidenza la valenza sul sistema di etichettatura del prodotti bio.

Leggi anche: Nuovo Regolamento sul bio, in Gazzetta il decreto attuativo

La tutela del nome

«Il provvedimento – si legge- sostituisce i precedenti decreti in tema di etichette e altri obblighi degli operatori nella filiera biologica innanzitutto rafforzando la tutela del suo nome».

Il biologico è infatti l’unico sistema di produzione agricola e alimentare soggetto a una disciplina uniforme e specifica radicata in un regolamento europeo. L’etichettatura e pubblicità come bio di prodotti che non risultino tali è perciò soggetta a sanzione amministrativa, salvo che il fatto non costituisca reato.

Origine e filiera corta

Altri elementi che trovano maggiore tutela nella disciplina del bio sono l’indicazione dell’origine e la filiera corta

«L’origine e/o provenienza delle materie prime agricole della generalità dei prodotti alimentari viene garantita soltanto in etichetta delle filiere bio, e Il Reg. UE 2018/848, diventato pienamente applicativo grazie al decreto, insiste nell’obiettivo di “promuovere le filiere corte e la produzione locale nelle varie zone dell’Unione”».