Suolo e Salute

Autore: admin

E in Nuova Zelanda rispunta un uccello delle tempeste ritenuto estinto

Tra le tante notizie negative che provengono dal fronte della conservazione della biodiversità, ogni tanto capita di poter raccontare una storia con un inatteso happy end. E’ il caso dell’ Oceanites maorianus, un piccolo uccello delle tempeste che risultava estinto da oltre 150 anni e che, quasi miracolosamente, è stato ritrovato da un gruppo di ricercatori neozelandesi.

Le ricerche miravano a verificare la presenza di siti di nidificazione dopo che alcuni esemplari erano stati avvistati nel 2003 dopo quasi un secolo e mezzo durante il quale si era persa ogni traccia di questa specie.

Il team, guidato da da Chris Gaskin e Matt Rayner dell’università di Auckland, ha compiuto una serie di studi nelle Poor Knights Islands, Mokohinau Islands ed a Little Barrier Island nel tentativo di individuare il sito di nidificazione dopo che, nel 2012, alcuni individui catturati in mare aperto avevano rivelato agli studiosi tracce di nidificazione e di allevamento dei pulcini.Il gruppo di ricerca ha così potuto catturare 24 uccelli delle tempeste della Nuova Zelanda e, con un microscopico radio-trasmettitore del peso di solo un grammo, sono riusciti a individuare il sito di nidificazione, tenuto gelosamente segreto per ovvi motivi di conservazione.

«Il sito da monitorare è molto fragile e con gli uccelli in una fase delicata del loro ciclo di allevamento. Stiamo utilizzando per la maggior parte strumenti automatizzati e mantenere un approccio” hands-off”, sebbene il team visiti la zona e la tenga sotto controllo», ha dichiarato Matt Ryner, secondo il quale “la scoperta ribadisce  l’importanza di una gestione attenta dei gioielli conservazione, come Little Barrier Island e gli ambienti marini circostanti”. Ora i ricercatori stanno cercando di stimare l’entità della popolazione e la sua distribuzione. Proprio basandosi sul lavoro degli studiosi L’Hauraki Gulf Forum si appresta a pubblicare l’Hauraki Gulf seabird management strategy and research plan. Secondo John Tregidga, presidente del Forum, «localizzare il territorio di nidificazione è stato di rilevanza internazionale e metterà in evidenza l’importanza dell’ Hauraki Gulf Marine Park come significativo  hotspot della biodiversità a livello globale».

Fonte: Greenreport

Il resveratrolo delle uve rosse contro i deficit di udito e cognitivi

Secondo quanto rivelato da uno studio condotto dai ricercatori dell’Henry Ford Hospital di Detroit, Stati Uniti, il resveratrolo, un fenolo non flavonoide rinvenuto nella buccia dell’acino d’uva, è in grado di contrastare i danni all’udito e opporsi al declino cognitivo. Lo studio ha sperimentato la sostanza su un popolazione di topi sottoposti sperimentalmente all’esposizione a forti rumori prolungati. I ratti cui era stato somministrato il resveratrolo hanno fatto registrare una minore incidenza di perdita o diminuzione dell’udito. “Il nostro ultimo studio si concentra sul resveratrolo e sui suoi effetti sulla bio-infiammazione, la risposta del corpo al danno e a tutto quello che si ritiene essere la causa di molti problemi di salute, tra cui l’Alzheimer, il cancro, l’invecchiamento e la perdita dell’udito“, ha spiegato l’autore dello studio, Michael D. Seidman, direttore della divisione di chirurgia dell’orecchio e neurologia dell’Henry Ford Hospital. “Il resveratrolo è una sostanza chimica molto potente che sembra proteggere contro i processi infiammatori del corpo legati all’invecchiamento, alla cognizione e alla perdita dell’udito.” “Abbiamo dimostrato che somministrando agli animali il resveratrolo, siamo in grado di ridurre il declino cognitivo e dell’udito“, ha concluso  il dottor Seidman.

Fonte: Freshplaza

Energia tascabile con la microturbina Made in Italy

Sembra un’invenzione di Archimede Pitagorico, ma al contrario è un progetto reale e tutto Made in Italy. Stiamo parlando di una microturbina del diametro record di 14 millimetri in grado di produrre energia sfruttando le piccole quantità di energia meccanica o fluida presenti nell’ambiente per alimentare sensori o altri sistemi di misura. Autore di questo prototipo brevettato che ha già attirato l’interesse di numerose aziende della Silicon Valley Emanuele Guglielmino, dell’ITT, l’Istituto Italiano di Tecnologia. Un progetto che ha ricevuto il prestigioso riconoscimento di migliore innovazione sia da Start Cup Ricerca – Il Sole 24 Ore che da Mind The Bridge.

La struttura compatta e la capacità di generare autonomamente fino a 30W, rende la microturbina una tecnologia adatta a sostituire le batterie o a ricaricarle in particolare all’interno di impianti distribuiti su grandi estensioni o in zone remote, riducendo l’utilizzo dei cavi elettrici associati”, ha dichiarato l’inventore.

Le applicazioni potenziali sono davvero infinite, data la possibilità della microturbina di utilizzare aria o gas in pressione in aree altrimenti complicate da raggiungere con un normale sistema di cavi. Gasdotti, reti idriche, sistemi ferroviari, sono solo alcuni dei moltissimi ambiti di applicazione potenziale di questo prototipo che, secondo il suo realizzatore, ha una durata stimata di circa 10 anni.

Fonte: Greenme

Project Scale, un’iniziativa globale per contrastare la pesca illegale

Si chiama Project Scale l’iniziativa presentata dall’Interpol in occasione della prima Conferenza internazionale sull’applicazione della normativa sulla pesca, tenutasi presso il Segretariato Generale dell’Interpol a Lione, in Francia.

Il Progetto SCALE è una naturale estensione degli sforzi dell’Interpol per la salvaguardia delle specie e degli habitat attraverso l’effettiva applicazione delle normative”, ha dichiarato David Higgins, responsabile del Programma di criminalità ambientale dell’Interpol. “Con la rete dell’Interpol, le competenze e il supporto all’applicazione delle normative portato avanti dalla intelligence, contribuiremo ad uno sforzo coordinato globale più mirato alla lotta alla criminalità organizzata e transnazionale nella pesca. Il nostro obiettivo è creare un’attenzione globale su queste attività criminali, e a tal fine siamo impegnati ad assistere i nostri paesi membri e partner nei loro sforzi tesi a combattere le reti criminali che sfruttano le risorse marine naturali.”

Una piaga che costa annualmente oltre 23 miliardi di dollari all’economia mondiale, con danni molto gravi sia alle comunità costiere che ai pescatori e, soprattutto, all’ambiente marino. E il nostro paese purtroppo rientra nella poco edificante lista dei 10 paesi al mondo nei quali la pesca illegale è stata praticata nel biennio 2011-2012 senza l’adozione di adeguate misure di contrasto del fenomeno. A renderlo noto il NOAA (United States National Oceanographic and Atmospheric Administration) in una relazione di inizio anno realizzata su mandato del Congresso americano. Una situazione che potrebbe condurre gli Stati Uniti a negare l’ingresso nei propri porti alle navi da pesca di quel paese e a vietare l’importazione di alcuni prodotti ittici. Resta la consolazione che il nostro paese, sempre secondo il NOAA, ha cercato di adottare misure importanti per contrastare il fenomeno della pesca illegale, anche tramite l’adozione di specifici provvedimenti normativi, che tuttavia non ci hanno impedito di essere segnalati anche per i 2012 nella lista dei paesi sotto osservazione.

Fonte: Greenews

Fondi PAC, l’Italia deve a Bruxelles oltre 60 milioni di euro

Secondo quanto si apprende da un comunicato della Commissione Europea riguardante la procedura di liquidazione dei conti, ammonta a oltre 60 milioni di euro la cifra complessiva di fondi PAC che l’Italia deve restituire a Bruxelles in conseguenza di spese effettuate  indebitamente nel corso degli ultimi anni. Il nostro paese è debitore di 48,3 milioni di euro in conseguenza di infrazioni alla condizionalità, controllo insufficiente di vari criteri di gestione obbligatori, mancata definizione di tre buone condizioni agronomiche e ambientali e inadeguata applicazione di sanzioni. Altri 17,9 milioni di euro sono invece dovuti alla presenza di gravi lacune nel sistema di controllo e frodi nel settore della trasformazione degli agrumi. Complessivamente ventidue stati membri dell’Unione devono restituire alla Commissione Europea la cifra di 414 milioni di euro, che diventano effettivamente 393 in conseguenza del fatto che già una parte è stata recuperata nei mesi scorsi.

Fonte: Agrapress

La ruggine del caffè mette in ginocchio le coltivazioni del Centro e Sud America

Il nome scientifico, Hemileia vastatrix, (“devastatrice”, letteralmente) suona già piuttosto sinistro. E i suoi effetti non sono da meno. Stiamo parlando della cosiddetta “ruggine del caffè”, un fungo parassita che colpisce molte piante del genere Coffea e che sta letteralmente flagellando le coltivazioni di caffè centro e sud americane. La storia è veramente emblematica di quanto l’avventatezza, l’imprudenza e l’arroganza dell’uomo possano essere dannose. Originaria probabilmente dell’Africa Orientale, è conosciuta dal lontano 1861,quando è stata segnalata per la prima volta nelle vicinanze del Lago Vittoria, in Tanzania. In breve tempo, utilizzando il trasporto e il commercio umani come vettori involontari, si è diffusa dapprima in Asia (a partire dallo Sri Lanka, dove approdò nel 1867), quindi in tutta l’Asia e nell’Africa centro-meridionale. Nelle Americhe in suo arrivo è relativamente recente, e la prima segnalazione,in Brasile, risale al 1970. Ma il fungo non ha perso tempo, grazie alla trasmissione aerea delle spore, che rendono virtualmente impossibile impedirne l’espansione. Oggi l’infezione interessa tutti i paesi coltivatori di caffè, ma fino a tempi recenti questo parassita sembrava relativamente sotto controllo. E’ da qualche mese invece che una nuova, terribile epidemia sta letteralmente mettendo in ginocchio la produzione dell’America Latina, responsabile di circa il 14% dell’intera produzione mondiale. E le cause sembrano palesemente di origine umana. Per secoli infatti il caffè è stato coltivato all’ombra degli alberi, dove gli arbusti crescevano rigogliosi in perfetto equilibrio con l’ecosistema: insetti, uccelli, altre specie di funghi benefici, in grado di contrastare l’azione dell’Hemileia. Ma l’intervento dell’uomo ha portato al trasferimento delle colture in aree direttamente esposte al sole, ritenute più produttive. Il risultato è stato l’alterazione profonda dell’ecosistema in cui la pianta aveva trovato il proprio equilibrio, eliminando di fatto tutti quegli alleati preziosi in grado di mantenere le coltivazioni in salute. L’azione sinergica dei mutamenti climatici e dell’impoverimento dei suoli ha dato il colpo di grazia. Queste almeno le conclusioni cui è giunto  John Vandermeer, ricercatore dell’Università del Michigan, che da 15 anni lavora a stretto contatto con gli agricoltori di Chiapas e Centro America. Sulla vicenda, Vandermeer è perentorio: la ragione del disastro è da ricercarsi nell’” aver trattato il caffè come se fosse mais, per massimizzare i raccolti”.

La situazione è decisamente allarmante: circa il 10% delle piante è morto, il 30% ha perso tutte le foglie e il 60% ne ha perdute almeno l’80%. Lo studioso non nasconde le proprie preoccupazioni, puntando l’indice contro la gestione avventata della coltivazioni: “Il delicato equilibrio che sostiene le piantagioni si è lentamente alterato fino ad arrivare a un punto di rottura, nel quale la ruggine del caffè ha preso il sopravvento. Può darsi che la roya (così viene anche chiamata dagli agricoltori) si autolimiti e che, dopo l’esplosione di quest’anno, torni a livelli normali, ma può anche accadere che resti una piaga endemica di questa regione, con gravissime conseguenze per i coltivatori, almeno fino a quando non sarà invertita la tendenza a privilegiare le coltivazioni al sole”. Un esempio evidente dell’importanza, spesso sottovalutata, di un’agricoltura in equilibrio con l’ambiente, le risorse naturali, e le specifiche esigenze biologiche delle specie coltivate.

Fonte: il Fatto Alimentare