Suolo e Salute

Anno: 2021

IMPORTAZIONI DI PRODOTTI BIOLOGICI DA PAESI TERZI, UN NUOVO DM ABROGA IL PRECEDENTE

IMPORTAZIONI DI PRODOTTI BIOLOGICI DA PAESI TERZI, UN NUOVO DM ABROGA IL PRECEDENTE

E’ stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, il nuovo Decreto Ministeriale 221907 del 13 maggio 2021, che abroga e sostituisce per intero il D.M. 91718 del 18 febbraio 2021 in merito alle disposizione sulle Importazioni di prodotti biologici da Paesi Terzi.

Il nuovo DM consta di 7 articoli e 2 allegati, contenenti indicazioni relative a:
– chi opera le importazioni, i cosiddetti Importatori che per effettuare il transito dei prodotti, devono essere iscritti nella categoria omonima dell’Elenco nazionale degli operatori biologici; la consegna ad un cosiddetto primo destinatario;
l’utilizzo del sistema informativo TRACES;  le comunicazioni preventive da trasmettere al Ministero in merito all’arrivo della merce;  la verifica e il controllo degli Importatori da parte degli Organismi appositi e le indicazioni in merito al campionamento obbligatorio delle partite importate.

Gli Allegati annessi al Decreto, forniscono i Criteri per la valutazione del rischio degli Importatori biologici e scendono nel merito di alcuni dettagli relativi al Campionamento obbligatorio delle partite importate.

Fonte: Sinab

REGIONE MARCHE: L’AGRICOLTURA BIO SARÀ UNO DEI PILASTRI POST PANDEMIA

REGIONE MARCHE: L’AGRICOLTURA BIO SARÀ UNO DEI PILASTRI POST PANDEMIA

Aggregare almeno la metà dei coltivatori bio già operativi sul territorio, con l’intento di creare un Distretto Unico Marche Bio. È questo il disegno legato al rilancio delle Marche post pandemia, scritto dalla Regione assieme alla Camera di commercio.

L’obiettivo è stato stimato raggiungibile in un triennio e punta a valorizzare la realtà marchigiana per l’incidenza delle attività biologiche fino ad ora già realizzate. Vicina a Trentino ed Emilia Romagna per densità di negozi e numero di ristoranti, con 257 agriturismi attivi di cui il 24% aziende biologiche, la regione, leader in Italia per quantità, punta a costruire una leadership europea.

La presidente di Coldiretti Maria Letizia Gardoni, racconta che il biologico nelle Marche è nato prima rispetto alle altre regioni, soprattutto a supporto delle aziende zootecniche, che seguivano la linea vacca-vitello. Queste realtà hanno sempre ignorato l’utilizzo di presidi chimici, sottolinea.

All’interno del territorio si contano oltre 55mila ettari di coltivazioni, tra colture foraggere e pascoli rispettosi del benessere animale. Ci sono inoltre 19 mila ettari di cereali, 6 mila di vigneti, 3 mila di oliveti, 2.900 di ortaggi, mille di frutteti e il ritorno della barbabietola da zucchero, coltivata su 605 ettari raddoppiati in tre anni.

Negli ultimi dieci anni si stima che, nel complesso, le Marche abbiano raddoppiato i propri numeri. Da 30 mila a 52 mila ettari, con un’incidenza sul totale della superficie agricola regionale cresciuta dall’11 al 22,2%.

Questi dati non possono non incoraggiare la costituzione di un Distretto Unico, che incontra un momento fuori dall’ordinario anche per le risorse. 45 sono i milioni stanziati dal biennio transitorio 2021-22, 111 milioni quelli relativi al periodo 2014-2020, 100 mila euro quelli che finanzierebbero la promozione.

La convinta adesione di oltre 600 operatori del settore fa il resto, assieme al coinvolgimento dell’Associazione Cluster Agrifood Marche, composta da quattro università e oltre 50 tra centri di ricerca, piccole e medie imprese e associazioni di categoria. Queste ultime chiamate a immaginare una spinta innovativa per l’intera filiera agroalimentare.

Coldiretti, con la sua partecipazione, sta favorendo uno snellimento della parte burocratica da non sottovalutare, aggiunge la Gardoni, essenziale ai fini della velocità e dell’organizzazione.

Il Distretto Unico, è la possibilità di presentarsi uniti e solidali, come terra d’Europa, dove la tradizione contadina va a braccetto ai borghi ricolmi di storia.
Questo avviene in un momento che precede la riapertura del bando regionale e che finanzierà il subentro in agricoltura di tantissimi giovani, che troveranno così un assetto territoriale diverso, dove coltivare i propri progetti e le proprie aspirazioni.

Fonte: Il sole 24 ore

MAGGIORE SLANCIO AL BIOLOGICO NAZIONALE: IL SENATO HA APPROVATO IL DDL

MAGGIORE SLANCIO AL BIOLOGICO NAZIONALE: IL SENATO HA APPROVATO IL DDL

Il 20 maggio 2021 il Senato ha approvato, con modifiche, il ddl n. 988, “Disposizioni per la tutela, lo sviluppo e la competitività della produzione agricola, agroalimentare e dell’acquacoltura con metodo biologico”. Il testo torna in discussione alla Camera dei deputati.

Con questa approvazione, nonostante le tante polemiche, si apre finalmente un nuovo scenario per l’agricoltura biologica. Con 195 voti a favore, uno contrario e uno astenuto, il disegno è quindi ora al vaglio della Camera in attesa dell’approvazione definitiva.

Un riconoscimento legislativo a lungo atteso, che giunge in un momento cruciale: i dati infatti, confermano una trasformazione del settore nei numeri e nelle modalità di produzione. Negli ultimi dieci anni le superfici coltivate a bio registrano un aumento del 79% e le aziende biologiche un incremento del 69%. Nel solo anno 2020 il mercato biologico ha raggiunto i 6,9 miliardi di euro, per un cambiamento su scala nazionale, che reclamava da tempo l’urgenza di una messa a sistema dal punto di vista normativo.

Il testo approvato si compone di 21 articoli: tra le azioni in gioco vi è l’istituzione di un Tavolo tecnico per la produzione bio; l’introduzione di un Piano nazionale per le sementi biologiche; l’istituzione di un marchio del biologico italiano; la creazione di bio-distretti; l’adozione di un Piano nazionale a sostegno dello sviluppo del biologico italiano come metodo avanzato dell’approccio agroecologico.

Uno degli intenti è quello di pianificare e attuare gli obiettivi del Green Deal europeo e nelle strategie di Farm to Fork e Biodiversità.

Tra le ultime integrazioni effettuate nel testo che aspetta approvazione da parte della Camera, vi è la delega attraverso l’articolo 19 per emanare uno o più decreti legislativi e per “procedere a una revisione della normativa in materia di armonizzazione e razionalizzazione sui controlli”.

Uno sviluppo che sembra tracciare la possibilità di una vera e propria conversione al metodo biologico, a partire dall’attivazione di alcuni strumenti già noti ma mai legittimati nel loro funzionamento.

Commenta così Alessandro D’Elia, direttore generale di Suolo e Salute: “Questa agognata approvazione consentirà di aprire nuovi scenari per la crescita dell’agricoltura biologica italiana. Le nuove disposizioni saranno uno strumento validissimo per progettare il futuro del settore, per mantenere il passo con gli obiettivi europei del Green Deal e per aumentare la competitività delle nostre imprese bio. Le polemiche sterili e le critiche di questi giorni, indirizzate soprattutto all’agricoltura biodinamica, le lasciamo ai possessori dell’ampollina della scienza.

Fonte: Lifegate, Il Fatto quotidiano

IL MERCATO BIOLOGICO NEL MONDO: UNA PANORAMICA TRA I VARI PAESI

IL MERCATO BIOLOGICO NEL MONDO: UNA PANORAMICA TRA I VARI PAESI

L’ampiezza delle superfici coltivate a bio nel mondo va espandendosi a vista d’occhio. Si stima che dal 2009 al 2019 siano aumentate del 102%, con una domanda dei prodotti direttamente proporzionale all’incremento delle aree coltivate, corrispondente in termini economici ai 100 miliardi di euro circa.

Poiché in Italia il settore è in forte sviluppo per le realtà imprenditoriali è stata creata ITABIO, una piattaforma a supporto dello sviluppo strategico del biologico italiano sui mercati internazionali.

Dai dati presentati attraverso ITABIO, in testa alla classifica dei 10 paesi con la spesa pro-capite bio più alta, c’è la Danimarca, con ben 344 euro a persona investiti in prodotti di tipo biologico. È seguita dalla Svizzera, dal Lussemburgo (265 euro), dall’Austria e dalla Svezia (215 euro). Gli Stati Uniti sono all’ottavo posto e l’Italia non rientra nei primi 10, conta però una spesa pro-capite di 60 euro a persona, cresciuta notevolmente negli ultimi dieci anni.

Da un altro estratto della piattaforma, tra i maggiori paesi acquirenti di prodotti alimentari biologici, risultano esserci gli Stati Uniti con una quota di 45 miliardi di euro. Di seguito Germania e Francia con 12 e 11 miliardi di euro, subito dopo la Cina e a seguire l’Italia con circa 4 miliardi di euro.

Se analizziamo da vicino il caso della Germania, quasi un consumatore su due afferma di acquistare abitualmente prodotto bio. L’acquirente tedesco medio, consuma in genere frutta, verdura e uova al 66% (dato relativo al 2019); patate (56%); prodotti lattiero caseari (51%); pane e carne (41%). L’acquisto viene effettuato nella maggior parte dei casi (88%) al supermercato, in misura meno frequente al mercato (61%).

La nazione compare al secondo posto per import agroalimentare e al settimo per spesa pro-capite di prodotti biologici. Inoltre, dal punto di vista strategico, rappresenta uno dei mercati più interessanti per quanto riguarda il bio Made in Italy.

Un altro caso europeo meritevole di interesse è quello della Francia: al terzo posto nella graduatoria dell’import agroalimentare, subito dietro la Germania per spesa pro-capite (triplicata dal 2010).

Tra i prodotti più acquistati dai francesi vi sono frutta e legumi (80%); latticini e derivati (71%); uova (65%); olio, pasta e riso (52%) e bevande, acquistati prevalentemente nei supermercati.

Se ci spostiamo oltre l’Europa e rivolgiamo per un attimo l’attenzione alle due grandi potenze mondiali Stati Uniti e Cina, ci accorgiamo essere entrambe mercati trainanti per quanto riguarda il bio Made in Italy.

Ammonta infatti a 5 miliardi di euro la stima di importazione del Food and Beverage italiani negli Stati Uniti nel 2020 e rappresentano per l’Italia, il secondo mercato di destinazione dell’agroalimentare.

Per quanto riguarda la Cina, tra il 2015 e il 2019, il settore biologico ha riscontrato un incremento delle vendite del 70% in più, di cui l’8% realizzato a livello mondiale.

Fonte: Agricultura

FILIERA BIO: LE CATENE DEL VALORE DEL VINO E DELLA PASTA SOTTO LA LENTE D’INGRANDIMENTO, ALL’INTERNO DI DUE ELABORATI

FILIERA BIO: LE CATENE DEL VALORE DEL VINO E DELLA PASTA SOTTO LA LENTE D’INGRANDIMENTO, ALL’INTERNO DI DUE ELABORATI

Nell’ambito del progetto “FiBio 2019/2020Le filiere biologiche: progetto per l’analisi della distribuzione del valore, lo studio della certificazione di gruppo, la formazione e la tracciabilità”, sono stati pubblicati due report che analizzano i risultati emersi da un lavoro di approfondimento sulla filiera biologica della pasta di grano duro e su quella vitivinicola.

Il lavoro troverà conclusione nel 2022 ed è finanziato dal Ministero per le Politiche Agricole e Forestali (Mipaaf) e coordinato dall’Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare (ISMEA) in partnership con il CIHEAM Bari.

Il progetto si concentra sull’analisi di alcune tra le principali filiere biologiche, caratterizzate da un mercato in crescita a livello globale ed oramai perno centrale della crescita economica sostenibile e innovativa, in grado allo stesso tempo di rispondere ai bisogni alimentari, calorici e di rigenerare il suolo e le acque.

Ai fini di questi elaborati, è stata analizzata la distribuzione dei costi e dei ricavi sostenuti da ogni singolo attore lungo la filiera, con l’obiettivo di ricostruire la formazione del valore e di individuare le fasi di maggiore vulnerabilità economica.

Per quanto riguarda l’Analisi della catena del valore del vino Bio, l’indagine è stata sottoposta a 21 aziende campione e ha messo in evidenza come, la fase agricola, sia l’anello debole, soprattutto all’interno delle realtà minori.

Al fine di contrastare queste difficoltà, i piccoli viticoltori, dovranno ricorrere alle innovazioni tecnologiche proposte dal mercato.

Per realizzare l’Analisi della catena del valore della pasta Bio invece, sono state effettuate 28 interviste a un campione rappresentativo di aziende biologiche distribuite su tutto il territorio italiano.

Lo studio ha individuato come obiettivo per le imprese, la valorizzazione del prodotto sullo scaffale senza dover rincorrere il prezzo più basso, al fine di restituire valore all’origine della materia prima.

Fonte: Sinab

CONVERSIONE ECOLOGICA: L’IMPATTO DEL PACKAGING SOSTENIBILE

CONVERSIONE ECOLOGICA: L’IMPATTO DEL PACKAGING SOSTENIBILE

Tra le scelte che le aziende produttrici di beni stanno affrontando, vi è senz’altro quella riguardante i rivestimenti di protezione dei loro prodotti, ovvero gli imballaggi.

Questo cambio di paradigma nasce dall’accentuarsi di minacce come il cambiamento climatico, l’inquinamento da plastica e lo smaltimento rifiuti, che non solo ha destato la sensibilità di consumatori e industrie, ma ha generato una vera e propria conversione ecologica, tale da condizionare nelle imprese, le scelte legate al packaging dei prodotti e favorire un direzionamento verso quelli ecologici o riciclabili.

Se dal punto di vista pratico, l’imballaggio è l’involucro che protegge e riveste il prodotto fino al suo utilizzo, dal punto di vista estetico questo è un’arma di marketing convincente nell’orientare il consumatore nella sua scelta.

Una nuova frontiera si è aperta: quella del packaging sostenibile. Un imballaggio composto da materie prime riciclate, minimale nel processo di produzione che comporta e in grado, attraverso il suo riutilizzo, di attivare un’economia di tipo circolare.

Ad oggi questo tipo di imballaggi è ancora poco diffuso, il 60% dei prodotti infatti, non presenta alcun riferimento rispetto al riutilizzo delle confezioni. Tuttavia è una direzione che si sta facendo spazio e che vedrà materiali di origine vegetale sempre più diffusi, con la possibilità di essere interamente riciclabili.

Sin Life in collaborazione con l’Osservatorio Packaging del largo consumo di Nomisma, ha rilevato all’interno di una ricerca conseguita, che la sostenibilità nei prodotti confezionati vale 6,5 miliardi di euro e che il rispetto per l’ambiente da parte di un’impresa, risulta essere un valore aggiunto a favore dell’acquisto, per il 36% degli italiani.

Secondo questo studio: nel 2019 solo il 21,5% delle aziende ha previsto di investire in tecnologie di tipo sostenibile, anche se il 13% ha investito in sistemi di economia circolare e il 56% delle imprese ha adottato comportamenti per ridurre l’impatto ambientale. Sempre nel 2019 l’utilizzo di imballaggi compostabili è arrivato a 101.000 tonnellate, comparate alle 39.250 dell’anno 2012.

Nell’anno 2020: gli italiani hanno investito in prodotti bio circa 3,3 miliardi di euro per un aumento del 4,4% rispetto all’anno precedente.

L’approccio verso una conversione ecologica si identifica sempre più come un perno centrale determinante nel mondo degli affari.

Una ricerca condotta da Nielsen rileva che il 48% dei consumatori è disposto a modificare le proprio abitudini di consumo al fine di produrre un impatto positivo sull’ambiente. E che le vendite di prodotti sostenibili negli Stati Uniti sono aumentate quasi del 20%, con un trand in costante ascesa.

Investire sull’utilizzo di packaging sostenibili e sulla stessa produzione di prodotti biologici, risulta ad oggi, la chiave di volta e successo per le imprese e l’ambiente che le circonda.

Fonte: B/Open Trade