Suolo e Salute

Anno: 2017

Il nuovo erbicida naturale: l’Università di Pisa ne sviluppa uno ricavato dalle ‘erbacce’

Il nuovo erbicida naturale: l’Università di Pisa ne sviluppa uno ricavato dalle ‘erbacce’

«Nessuno sino ad ora aveva pensato di usare gli oli essenziali estratti dalle “erbacce” per combattere le stesse erbacce». A parlare è Stefano Benvenuti, ricercatore dell’Università di Pisa che, insieme ai suoi colleghi, ha sviluppato un erbicida naturale ricavato proprio dalle stesse ‘erbacce’. Avevamo parlato in precedenza infatti di un altro tipo di diserbante naturale.

La scoperta è finita sulla rivista Weed Research e potrebbe rappresentare un’interessante alternativa ai diserbanti chimici convenzionali.

Erbicida naturale dalle erbacce

I ricercatori dei dipartimenti di Scienze Agrarie e Farmacia dell’UniPi hanno realizzato e testato un erbicida naturale, con il quale limitare l’impatto sull’ambiente e i rischi per la salute dell’uomo dei diserbanti tradizionalmente impiegati in agricoltura.

L’idea è nata quando i ricercatori hanno immaginato una serie di prodotti per combattere le piante infestanti in maniera ecologicamente sostenibile. Un’idea che si rende sempre più necessaria “soprattutto alla luce dei progressivi divieti e/o limitazioni di usare alcuni erbicidi convenzionali (in particolare il ben noto glifosate)”, scrivono dall’Università.

La ricerca pubblicata su Weed Research è durata 3 anni, ed è stata condotta sia in laboratorio che in serra. In particolare, i risultati migliori sono stati ottenuti applicando gli oli essenziali estratti da 5 specie:

  • Achillea (Achillea millefolium)
  • Assenzio annuale (Artemisia annua)
  • Assenzio dei fratelli Verlot (Artemisia verlotiorum)
  • Santolina delle spiagge (Otanthus maritimus)
  • Nappola (Xanthium strumarium)

La particolarità? Le piante impiegate sono a loro volta spontanee. I loro oli essenziali, estratti in laboratorio, possono però essere utili come diserbanti.

L’ erbicida naturale economico ed efficace

A commentare i risultati della ricerca, lo stesso Benvenuti. Che spiega come la soluzione adottata “presenterebbe anche dei vantaggi dal punto di vista economico”. Si tratta infatti “di piante che hanno costi agronomici limitati”, essendo spontanee. Non richiedono, per esempio, grandi ‘investimenti’ dal punto di vista idrico: in un momento in cui la siccità ha colpito pesantemente le coltivazioni nazionali, è fondamentale. Le 5 specie spontanee individuate, “ancora prive di una utilità”, possono quindi paradossalmente “divenire amiche dell’uomo e dell’ambiente”.

Le possibili modalità di impiego del nuovo erbicida naturale? Sia in campagna che in città:

«Questi erbicidi naturali – spiega ancora Benvenuti – possono essere usati come quelli tradizionali, sia nella fase di pre-impianto della coltura, senza problemi di selettività nei confronti di una coltura ancora assente, sia localizzandone la distribuzione in presenza della coltura stessa. Tuttavia, l’impiego di maggiore innovazione potrebbe essere quello in città: dai marciapiedi ai bordi stradali, per finire a tutte le aree spesso colonizzate da specie indesiderate».

FONTI:

https://www.unipi.it/index.php/lista-comunicati-stampa/item/10981-dagli-oli-essenziali-delle-erbacce-un-erbicida-naturale-contro-le-erbacce

http://www.freshplaza.it/article/94545/Dagli-oli-essenziali-delle-infestanti-un-erbicida-naturale

http://onlinelibrary.wiley.com/journal/10.1111/(ISSN)1365-3180

Semi derivati da fusione cellulare: ecco come rimpiazzarli in agricoltura bio

Semi derivati da fusione cellulare: ecco come rimpiazzarli in agricoltura bio

Dopo un percorso interno all’organizzazione, IFOAM – Organics International, federazione che riunisce gli stakeholder del settore bio a livello mondiale, ha deciso di rivedere la propria posizione su determinate tecniche di ingegneria genetica. La prima definizione in materia creata dall’organizzazione, non includeva infatti le tecniche di fusione cellulare. Una discussione successiva ha invece portato alla revisione di tale assunto e all’inserimento di tali tecniche nella più ampia definizione di ingegneria genetica, da cui deriva come risultato la produzione di Organismi Geneticamente Modificati.

Questo pone un problema pratico ai coltivatori biologici. Come informa la stessa IFOAM, infatti, “l’utilizzo decennale di questa tecnologia per la riproduzione di determinate cultivar ha come conseguenza il fatto che l’intera catena commerciale delle sementi siano derivate da essa”. Sarebbero, quindi, scarse le alternative per i produttori bio.

Un problema che diventa ancora più acuto a causa di “molte aziende di sementi che sono poco trasparenti sulla storia riproduttiva dei propri prodotti”. Si impone quindi una strategia per ovviare a tali difficoltà. Ecco perché IFOAM ha diffuso un documento intitolato “Situation Analysis and Strategy for Replacing Cell Fusion Cultivars in Organic Systems”. Il report ha quindi l’obiettivo di analizzare la situazione attuale e implementare strategie per rimpiazzare le cultivar da fusione cellulare nei sistemi biologici.

Fusione cellulare: definizione

Come accennato, le tecniche di fusione cellulare non erano state inizialmente incluse da IFOAM tra quelle di ingegneria genetica. Questo perché il dibattito pubblico sugli OGM è stato spesso focalizzato più sul DNA ricombinante che sulle tecnologie cellulari. Ma la riflessione è stata recentemente capovolta:

«Da un punto di vista biologico – spiega IFOAM – le cellule sono la più piccola entità della vita auto-organizzata. Un intervento tecnologico al di sotto di tale soglia, come accade nelle tecniche di fusione cellulare, non è in linea con i valori dell’agricoltura biologica».

Tale tecnologia è infatti impiegata per “ibridare le piante attraverso la rimozione delle pareti cellulari di specie diverse”. Specie che, in condizioni naturali, non si accoppierebbero. La tecnologia invece, “impiegata dagli allevatori sin dagli anni ‘80” permette di fondere i contenuti delle loro cellule.

Fusione cellulare: il problema per i coltivatori bio

Una volta stabilita l’incompatibilità di tali sistemi con le tecniche agricole biologiche, si pongono una serie di problemi pratici per i coltivatori. La tecnica è stata infatti estremamente pervasiva. Nel corso di oltre 30 anni di applicazione, ha finito per essere estesa alla quasi totalità della fornitura di sementi a livello globale. In questo modo ha lasciato, anche agli agricoltori bio, scarse possibilità alternative.

«Il problema – sottolinea IFOAM – è particolarmente acuto a livello globale su determinate cultivar di crocifere: broccoli, cavolfiore, cavolo rapa, e altri tipi di cavolo, e per la colza».

Per tali verdure, gli agricoltori bio sono stati spesso lasciati “senza forniture alternative” rispetto a quelle ottenute tramite fusione cellulare. Le alternative vanno però via via instaurandosi, grazie anche a una nuova consapevolezza diffusa sul tema.

Fusione cellulare: le alternative dall’Europa

«Diversi progetti europei per rimpiazzare le cultivar da fusione cellulare nella catena del valore bio hanno creato modelli utili».

Gli esperti di IFOAM hanno raccolto nel documento le buone pratiche europee per la sostituzione di sementi proveniente da tali tecniche di ingegneria genetica. È il caso per esempio della Germania, dove già dal 2013 si è posto il problema: oggi i prodotti cell fusion free sono relativamente semplici da trovare. Anche perché le associazioni di categoria (Bioland, Demeter, Naturland e così via) hanno escluso tali cultivar dai propri standard produttivi.

Sono stati diversi i progetti europei in tema, che IFOAM cita come esempi di buone pratiche: da Fair Breeding, in cui alcuni dettaglianti hanno deciso di supportare in prima persona le produzioni biodinamiche, all’italiano Bioverita.

Da tali esempi, IFOAM ha tratto alcuni principi pratici su cui basare la propria strategia. In primo luogo, si punta alla creazione di network regionali per coordinare e spingere le azioni strategiche necessarie in specifiche catene valoriali bio; IFOAM può invece mantenere un ruolo globale nel supportare il movimento.

Nello specifico, i due network saranno impegnati nell’adozione di una serie di attività:

  • Stimolo della consapevolezza negli operatori di settore
  • Creazione di coltivazioni alternative
  • Accesso degli agricoltori a tali alternative
  • Accettazione da parte dei consumatori
  • Revisione delle norme e dei regolamenti biologici

FONTI:

https://www.ifoam.bio/en/news/2017/10/19/ifoam-organics-international-releases-strategy-replacing-cell-fusion-cultivars

https://www.ifoam.bio/sites/default/files/cell_fusion_replacement_strategy_2017_for_website_upload.pdf

https://it.wikiversity.org/wiki/Organismi_geneticamente_modificati

 

Origine del pomodoro: arriva con decreto l’obbligo in etichetta

Origine del pomodoro: arriva con decreto l’obbligo in etichetta

Dopo latte e riso, anche l’ origine del pomodoro finisce in etichetta. I Ministri dell’Ambiente, Maurizio Martina, e dello Sviluppo Economico, Carlo Calenda, firmano il decreto interministeriale che sancisce l’obbligo in etichetta di indicare l’origine dei prodotti derivati dal pomodoro.

Come nei casi citati, nella prima fase di attuazione è previsto un periodo di sperimentazione. Due anni nel corso dei quali conserve e concentrato di pomodoro, così come i sughi e le salse composti per almeno il 50% da derivati del pomodoro, dovranno prevedere l’origine in etichetta.

Le diverse misure approvate sull’obbligo di origine in etichetta nascono da un’esigenza espressa dai cittadini. Secondo un’indagine svolta dal Ministero delle politiche agricole sul proprio sito web, l’82% dei cittadini italiani considera infatti importante conoscere l’origine delle materie prime. In ballo, infatti, ci sono gli standard di sicurezza alimentare e trasparenza.

Vediamo le ultime novità.

Origine del pomodoro: tutte le novità del decreto

Come nei casi citati di riso e prodotti lattiero-caseari, anche per il decreto sull’ origine del pomodoro c’è una sorta di “data di scadenza”. Il governo italiano, infatti, sottolinea ancora una volta come l’articolo 26, paragrafo 3, del regolamento 1169/2011 Ue non sia ancora pienamente attuato.

La norma comunitaria prevede infatti i casi obbligatori in cui vanno espressamente indicati in etichetta il Paese d’origine o il luogo di provenienza dell’ingrediente primario dei prodotti agroalimentari. Ma gli atti di esecuzione del regolamento, che ne darebbero piena attuazione, non sono ancora stati emanati. I decreti italiani, dunque, decadrebbero nel caso in cui la Commissione approvasse definitivamente tali provvedimenti.

Nel frattempo, scopriamo le novità introdotte dalla normativa italiana.

Derivati del pomodoro, sughi e salse prodotte in Italia dovranno avere, obbligatoriamente, in etichetta queste diciture:

  • Paese di coltivazione del pomodoro;
  • Paese di trasformazione del pomodoro.

Solo nel caso in cui tutte le operazioni avvengano nel nostro Paese, allora potrà utilizzarsi la dicitura “Origine del pomodoro: Italia”. Se invece le due fasi, coltivazione e trasformazione, avvengono in più territori, i produttori possono utilizzare una delle seguenti diciture:

  1. Paesi UE
  2. Paesi NON UE
  3. Paesi UE E NON UE

Tali indicazioni saranno poste in etichetta in punti evidenti, in modo tale da essere facilmente riconoscibili, chiaramente leggibili e indelebili.

Origine del pomodoro in etichetta, Martina: “Norma da estendere in Ue”

Maurizio Martino, ministro alle Politiche Agricole, ha commentato l’adozione del provvedimento lanciando un nuovo appello alla Comunità europea:

«Rafforziamo il lavoro fatto in tema di etichettatura in questi mesi – ha dichiarato – Come ho ribadito anche oggi al Commissario europeo Andriukaitis crediamo che questa scelta vada estesa a livello europeo, garantendo la piena attuazione del regolamento europeo 1169 del 2011. Il tema della trasparenza delle informazioni al consumatore è un punto cruciale per il modello di sistema produttivo che vogliamo sostenere. L’Italia ha deciso di non attendere e fare in modo che i cittadini possano conoscere con chiarezza l’origine delle materie prime degli alimenti che consumano. Soprattutto in una filiera strategica come quella del pomodoro, l’etichetta aiuterà a rafforzare i rapporti tra chi produce e chi trasforma».

Origine del pomodoro in etichetta: favorevoli i produttori

Molti sono stati i pareri favorevoli al decreto interministeriale, anche da parte dei produttori.

Giorgio Mercuri, presidente dell’Alleanza Cooperative Agroalimentari, ha sottolineato come “l’obbligo di etichettatura sia un ottimo strumento per la tutela dell’eccellenza Made in Italy”. Ribadisce inoltre l’importanza dei controlli:

«Bisogna alzare i livelli di controllo nel settore agroalimentare. C’è ancora una fetta di irriducibili delinquenti che sfuggono e raggirano i controlli con pesanti penalizzazioni per i lavoratori e per le imprese che rispettano le regole. Non possiamo condannare chi rispetta le regole a pagare ingiusti tributi economici e reputazionali per colpa di chi alimenta lavoro nero e caporalato».

Positivo anche il parere di Coldiretti che spiega come l’etichettatura d’origine obbligatoria sia una strada ormai “tracciata per tutto quello che arriva sugli scaffali”. Mauro Tonelloparla, presidente dell’associazione per l’Emilia Romagna, rivendica l’approvazione come un “successo dell’azione Coldiretti per contrastare l’incremento di pomodoro cinese sulle tavole italiane”.

Per Antonio Ferraioli, presidente di Anica, il decreto “completa il percorso già avviato dalle aziende Anicav in materia di trasparenza e sicurezza alimentare, rendendo obbligatorio ciò che volontariamente, nella quasi totalità dei casi, le imprese già fanno”.

Soddisfatta anche Simona Caselli, assessore regionale all’Agricoltura in Emilia Romagna e presidente Areflh:

«Garantire la provenienza e il processo di lavorazione del pomodoro significa tutelare i consumatori e dare ulteriore valore ad una filiera che, nella nostra regione, rappresenta un’importante realtà produttiva».

FONTI:

https://www.politicheagricole.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/11834

http://www.italiafruit.net/DettaglioNews/41656/non-solo-fresco/indicazione-dorigine-sui-derivati-del-pomodoro-coro-di-si

Il biologico nel mondo: in crescita superfici e aziende specializzate

Una fotografia dell’agricoltura sostenibile dell’intero pianeta. È stata appena pubblicata l’edizione 2017 del quaderno “La Bio dans le monde”, il biologico nel mondo. Il testo è stato redatto attraverso l’elaborazione di dati di FIBL e dell’Ue, e realizzato da Agence Nio, l’Osservatorio francese dell’agricoltura biologica.

Scopriamo i dati più interessanti.

Il biologico nel mondo: la panoramica mondiale presente nel documento

I dati presenti nel rapporto sono elaborati in riferimento al 2015. In quell’anno, la superficie mondiale coltivata seguendo tecniche sostenibili era stimata a circa 51 milioni di ettari. Un dato che porta a più 18,1 punti percentuale rispetto al 2014. Si tratta dell’1,1% del territorio agricolo totale presente nei 179 Paesi presi in esame.

Sempre in riferimento al 2015, le aziende biologiche certificate si attestavano a più di 2,4 milioni. Una crescita del 7% rispetto all’anno precedente. Il valore del mercato del bio nel mondo era infine stimato a 80,2 miliardi di euro.

Dati in crescita per il biologico globale

In 15 anni (dal 2000 al 2015) il biologico nel mondo è cresciuto a una velocità sempre maggiore. Anche in Asia e in Africa, aree dove lo sviluppo del settore è partito proprio agli inizi del nuovo millennio.

Dopo una crescita modesta di quasi 59.600 ettari tra il 2013 e il 2014 (+ 0,1%), l’areacoltivata seguendo i dettami del bio è aumentata di oltre 7,8 milioni di ettari tra il 2014 e il 2015 (+ 18,1%). Una crescita che ha interessato quasi tutti i continenti: le superfici coltivate hanno visto una diminuzione solo in America Latina (-86.639 ha).

Nel 2015, quasi il 76% delle superfici bio presenti nel Mediterraneo risultavano distribuite tra Spagna, Italia e Francia. La crescita maggiore si è avuta in Spagna. È la Polonia invece a essersi interessatada un maggior declino di territori (77.000 ha in meno).

Il posto dell’agricoltura biologica nel totale della superficie agricola utilizzata dei diversi paesi di quell’anno ha raggiunto la sua quota più alta in Italia con il 12%, seguita dalla Slovenia (9,0%) e dalla Grecia (8,4%).

Le coltivazioni che vanno più forte in Italia

Globalmente, nel 2015 sono stati stimati quasi 3,9 milioni di ettari coltivati a cereali biologici. I dati sono comunque sottostimati perché i valori presenti sulla superficie indiana non sono noti e quelli della zona russa sono parziali.

Il riso è una delle principali coltivazioni indiane. In Europa la produzione biologica si concentra principalmente in Italia (12.425 ha nel 2015).

Dal rapporto, emerge che il Bel Paese si è difeso bene anche nella coltivazione di uliveti biologici. Nella fotografia scattata dal documento, e ferma al 2015, il 79% degli uliveti biologici si trovava in Europa e il 19% in Africa(soprattutto in Nord Africa).

I principali produttori di olive biologiche erano Spagna(197.136 ettari), Italia (179.886 ettari) e Tunisia (127.250 ettari). Degli uliveti presenti in Italia, il 15,7% era coltivato secondo i principi dell’agricoltura biologica.

Nello stesso anno, circa 50 paesi avevano un vigneto biologico. I primi tre Paesiproduttori di uve biologiche erano la Spagna, l’Italia e la Francia (un totale del 79% dei vigneti biologiciMondiale).

È possibile scaricare la pubblicazione completa di “La Bio dans le monde – Il Biologico nel mondo” a questo link: http://www.agencebio.org/sites/default/files/upload/documents/4_Chiffres/BrochureCC/carnet_monde_2017.pdf

FONTI:

http://www.sinab.it/bionovita/bio-nel-mondo-edizione-2017

http://www.agencebio.org/sites/default/files/upload/documents/4_Chiffres/BrochureCC/carnet_monde_2017.pdf

Cimice asiatica: è invasione. In Piemonte catturati con le trappole 50mila esemplari

La Coldiretti lancia l’allarme. La cimice asiatica ha invaso il Nord Italia, arrecando danni ai raccolti dei frutteti. Ma le soluzioni esistono e il Piemonte ha attuato un progetto di lavoro per dare risposte e soluzioni concrete.

Cimice asiatica: il flagello che distrugge frutteti e orti

La cimice asiatica è un insetto infestante, altamente polifago. Appartenente alla famiglia dei Pentatonidae, è conosciuto con il nome scientifico di Halyomorpha Halys.

Proviene principalmente da Cina e Giappone. In Italia, il primo esemplare sembra sia stato ritrovato in provincia di Modena nel 2012.

Gli adulti hanno una caratteristica forma a scudo e una colorazione dal bruno al grigio, a tratti più scura nella parte superiore. La femmina deposita in media 250 uova, almeno due volte all’anno, e lo sviluppo degli esemplari adulti varia molto in base a temperatura e dieta.

La cimice asiatica causa gravi danni alla frutticoltura e all’agricoltura. L’elenco delle piante di cui si nutre è molto vasto: si parla di oltre 300 specie coltivate.

L’invasione in Italia

L’allarme lanciato da Coldiretti è chiaro: la cimice asiatica sta invadendo i campi settentrionali, con grosse perdite dei raccolti.

L’autunno particolarmente mite ha portato a una maggiore proliferazione dell’insetto che sta attaccando non solo i frutteti, ma anche le grandi coltivazioni di mais e soia del Nord Italia. Le regioni particolarmente colpite, quest’anno, sono state Friuli e Veneto. Riscontri della presenza dell’infestante sono stati trovati anche in altre zone dell’Italia, dalla Lombardia, all’Emilia, fino a toccare il Piemonte.

Si parla di oltre il 40% di perdite, nei raccolti di mele, pere e pesche nelle zone più colpite. Non solo. L’attacco della cimice causa un’impennata della percentuale di frutti deformi (in alcuni casi addirittura superiore al 50%). Questo genera a sua volta un forte deprezzamento del prodotto o la sua non commerciabilità.

La risposta del Piemonte all’invasione della cimice asiatica

Il Piemonte, unica regione in Italia, ha avviato un progetto coordinato, finalizzato a dare risposte concrete alle aziende interessate dall’invasione.

Secondo Coldiretti Torino, però, per combattere veramente la cimice asiatica è necessaria la collaborazione di tutti. Lo spiega Michele Mellano, direttore della sezione torinese:

«Occorre fare filiera, per attuare una corretta lotta integrata all’insetto, adottando metodi sostenibili, al fine di salvaguardare l’agricoltura del nostro territorio. Il primo passo è il monitoraggio del parassita. Sinora, con le trappole, sono già state catturate 50mila cimici asiatiche».

Il fatto che la cimice asiatica sia un insetto particolarmente prolifico, e che in Italia non ci siano antagonisti naturali, rende la lotta molto difficile. Gli esemplari adulti sono in grado di percorrere lunghe distanze in cerca di cibo.

FONTI:

http://www.italiafruit.net/DettaglioNews/41592/mercati-e-imprese/piemonte-50mila-cimici-asiatiche-catturate-con-le-trappole

http://www.italiafruit.net/DettaglioNews/41517/mercati-e-imprese/coldiretti-invasione-di-cimici-asiatiche-nei-frutteti

Diserbante glifosato: arriva il no definitivo del governo italiano

In vista del voto definitivo del Paff in Europa, gli Stati membri chiariscono la propria posizione in merito al rinnovo delle autorizzazioni per il diserbante glifosato.

La Francia ha più volte ribadito il proprio no. La Germania, invece, tentenna anche perché la coalizione che sosterrà il futuro governo non è stata ancora chiarita, dopo le elezioni del 24 settembre scorso.

Una buona notizia c’è: grazie alla pressione di Greenpeace e alle attività della coalizione #StopGlifosato arriva il no definitivo del governo Gentiloni. Tutte le ultime novità.

Diserbante glifosato: il no della Lorenzin

Un aperitivo al glifosato per il ministro. Con questa singolare protesta, gli attivisti di Greenpeace hanno manifestato di fronte al ministero della Salute per opporsi al rinnovo dell’autorizzazione dell’erbicida più utilizzato al mondo.

Beatrice Lorenzin, titolare del dicastero, ha confermato la posizione più volte espressa dal ministro delle Politiche Agricole, Maurizio Martina.

«Non è un mistero – ha dichiarato Lorenzin –l’Italia vota no: noi abbiamo già votato due volte no, perché dovremmo votare sì questa volta?».

Riferendosi poi agli altri stati membri favorevoli all’approvazione, o ancora in forse, il ministro ha proposto ai manifestanti di “andare in Unione Europea: andate dai tedeschi, dai finlandesi, dagli svedesi, dagli spagnoli dai greci, dai portoghesi. Perché il no è sempre stata la nostra posizione”.

Federica Ferrario, responsabile della campagna agricoltura per Greenpeace Italia, ha commentato le dichiarazioni del ministro:

«Siamo molto soddisfatti: finalmente la posizione del Governo italiano è chiara e inequivocabile».

Monsanto diserta il dibattito

Proseguono intanto le discussioni a livello europeo, in attesa del voto definitivo sulla ri-autorizzazione del diserbante glifosato. L’11 ottobre, la commissione parlamentare europea Envi (Ambiente, sanità pubblica e sicurezza alimentare) ha fissato un’audizione sui cosiddetti “Monsanto Papers”, ovvero le presunte interferenze che la multinazionale avrebbe operato durante il processo di regolamentazione europeo. Un dibattito a cui i vertici dell’azienda hanno deciso di non partecipare.

Il confronto è stato quindi sostenuto dalla dottoressa Kathryn Guyton, specialista dell’Oms e quindi dello Iarc, che ha spiegato le basi su cui l’organismo ha affermato la possibile cancerogenicità dell’erbicida. Presente anche Jose Tarazona, dell’Efsa, Agenzia europea sulla sicurezza alimentare che aveva invece negato la connessione tra il diserbante glifosato e il cancro.

Su quest’ultima valutazione, però, sono emerse di recente novità che ne avrebbero messo in dubbio l’imparzialità. Secondo un’inchiesta del Guardian, il rapporto Efsa conteneva circa 100 pagine (su un totale di 4.300) copiate direttamente dai documenti presentati da Monsanto. Pagine che trattano il nesso tra glifosato e genotossicità, cancerogenicità e pericolosità per l’apparato riproduttivo.

Su questo e altre presunte ingerenze della multinazionale nel processo autorizzativo, Greenpeace ha richiesto l’istituzione di una commissione d’inchiesta di livello europeo.

Autorizzazione diserbante glifosato: si vota il 25 ottobre

Il 5 e 6 ottobre scorsi il Paff, il comitato Ue per i prodotti fitosanitari, si era riunito, creando una certa attesa su una possibile votazione per la ri-autorizzazione decennale del glifosato. Una votazione che era però stata escluso dall’ordine del giorno.

Il voto potrebbe ora arrivare il prossimo 25 ottobre, data in cui è stata fissata una nuova riunione del comitato. Per bloccare la nuova autorizzazione, sarà necessario il voto contrario del 45% degli Stati membri o di 4 Paesi che ospitano almeno il 35% della popolazione europea.

Il no dell’Italia va ad aggiungersi a quello di Francia, Lussemburgo e Austria. Ci sono però circa 12 Paesi membri orientati al voto favorevole. Sarà importante l’atteggiamento della Germania, che non ha ancora espresso una posizione chiara. Un sì al diserbante glifosato potrebbe ostacolare il cammino verso una coalizione con i Verdi, che insieme alla CDU di Angela Merkel e i liberali dell’Fpd dovrebbero formare il nuovo governo tedesco.

FONTI:

http://www.informatoreagrario.it/ita/News/scheda.asp?ID=3536

http://www.ow7.rassegnestampa.it/RassegnStampaCia/PDF/2017/2017-10-18/2017101837297852.pdf

https://altreconomia.it/glifosato/

http://www.slowfood.it/vietare-il-glifosato-e-una-questione-di-civilta/

https://www.theguardian.com/environment/2017/sep/15/eu-report-on-weedkiller-safety-copied-text-from-monsanto-study