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FUORI CASA E TIPICITÀ, DUE LEVE PER IL MERCATO DEL BIO

FUORI CASA E TIPICITÀ, DUE LEVE PER IL MERCATO DEL BIO

Offerta locale, comunicazione e “away from home” sono le leve per mantenere il posizionamento del bio sul mercato interno e salvaguardare l’equilibrio con un’offerta destinata a crescere per l’effetto del Green deal. I riscontri dell’analisi di Nomisma

L’Italia, con oltre 2,3 milioni di ettari e la più alta percentuale di superficie bio sul totale (19% contro una media europea ferma al 12%), è ormai vicina all’obiettivo previsto dalla Strategia Farm to Fork per il 2030, cioè il 25% di superfici dedicate alle coltivazioni biologiche. Il mercato interno è cresciuto ancora nel corso del 2022 soprattutto in valore, mentre i volumi molto meno. Un fenomeno legato all’effetto inflazione che ha sollevato alcuni timori sulla possibilità di mantenere l’equilibrio tra domanda e offerta.

Sul fronte commerciale il bio ha però alcuni assi da giocare. Li ha individuati Silvia Zucconi, Chief Operating Officer di Nomisma, nella sua analisi per l’Osservatorio sana 2023 presentata in occasione di Rivoluzione Bio 2023, gli stati generali del biologico organizzati a Bologna Fiere in collaborazione con FederBio e AssoBio nel quadro del progetto Being Organic In Eu (ne abbiamo parlato qui).

Nomisma ha di recente pubblicato i risultati di quello studio (leggi qui).

Le dinamiche del primo semestre 2023

Emerge che sulle dinamiche del mercato interno sta incidendo soprattutto il traino dei consumi fuori casa (ristorazione commerciale e collettiva segnano un +18% rispetto al 2022), che risulta più vivace rispetto all’andamento dei consumi domestici (+7% in valore nell’anno terminante luglio 2023 rispetto all’anno precedente in cui si era registrata una leggera flessione).

Le vendite alimentari bio nel mercato interno (consumi domestici e fuori casa) hanno superato così i 5 miliardi di euro all’anno. «A trainare – spiega Zucconi- la crescita sono i consumi fuori casa che sfiorano 1,3 miliardi di euro». Una crescita da collegare soprattutto alla spinta inflazionistica dell’ultimo anno.

La Distribuzione Moderna rimane però il primo canale per gli acquisti di biologico e pesa per il 58% sul totale delle vendite legate ai consumi domestici.  Iper e supermercati sono i canali che, all’interno di questo canale, veicolano la maggior parte delle vendite bio: hanno infatti superato 1,5 miliardi di euro nell’anno Terminante a luglio 2023 (Fonte: NielsenIQ). Seguono per valori delle vendite i Discount e i Liberi Servizi.

Le preferenze dei consumatori: chi acquista sceglie in base all’origine

I risultati della consumer survey Nomisma, sviluppata su un campione rappresentativo di responsabili degli acquisti alimentari italiani, hanno mostrato come la consumer base di prodotti bio sia rimasta costante rispetto allo scorso anno: l’89% della popolazione di età compresa tra i 18 e i 65 anni ha acquistato consapevolmente almeno un prodotto alimentare bio nell’ultimo anno.

Chi compra bio sceglie principalmente in base all’origine, con preferenza verso prodotti bio 100% italiani,  per quelli di origine locale/km 0 e quelli a marchio Dop/Igp.

Anche la marca gioca da sempre un ruolo fondamentale nella scelta dei prodotti bio da mettere nel carrello, con orientamento verso la marca industriale e per quella del supermercato.

Bio e sostenibilità: il collegamento è sempre più stretto, ma attenzione al greenwashing

Ma perché il consumatore acquista prodotti bio? Innanzitutto perché li ritiene più sicuri per la salute rispetto a un prodotto convenzionale, ma anche perché sono sostenibili: quasi 1/4 degli intervistati li considera più rispettosi dell’ambiente; il 10% del benessere animale e un ulteriore 10% fa riferimento alla sostenibilità sociale e intende aiutare i piccoli produttori.

Il framework delle scelte di consumo -commenta Zucconi – conferma l’interesse nei confronti della sostenibilità per i prodotti agroalimentari: il consumatore da un lato è preoccupato per l’emergenza ambientale e i cambiamenti climatici, dall’altro valuta la sostenibilità di un prodotto attraverso la provenienza, ricercando prodotti italiani e locali o le caratteristiche del packaging.

A questi fattori si affiancano anche valutazioni collegate alla presenza di certificazioni bio/equo solidali che consentono l’identificazione della sostenibilità di un prodotto. A questo proposito, Nomisma rileva che una quota significativa degli acquirenti risulta confuso dalla presenza di molti green claim in etichetta, che non permettono di decifrare l’effettivo profilo di sostenibilità di un prodotto alimentare. Sono tutti dati a conferma dell’importanza della proposta di Direttiva Green Claims della Commissione Europea volta a combattere le pratiche di greenwashing e a regolare in modo chiaro tutte le auto dichiarazioni volontarie riguardanti gli impatti, gli aspetti o le prestazioni ambientali di un prodotto». «Alle aziende si chiede di fornire prove scientifiche sulla veridicità delle dichiarazioni green, prendendo in esame l’intero ciclo di vita del prodotto»”.

La conquista del “fuori casa”

Offerta, comunicazione e “away from home” sono le leve per mantenere il posizionamento del bio sul mercato interno. Se si analizza il livello di soddisfazione per l’offerta di prodotti bio, emergono infatti aree di miglioramento soprattutto per quanto riguarda la categoria dei prodotti BIO gourmet / premium (linee di prodotti di alta qualità con prezzi più alti), quella dei prodotti BIO pronti da mangiare /ready to eat e, in generale, la presenza di offerte/promozioni.

Migliorabile è considerata anche l’offerta nel canale fuori casa: ad oggi circa 7 italiani su 10 hanno consumato pasti con alimenti/bevande biologiche o ingredienti biologici fuori casa, ma più della metà delle famiglie vorrebbe trovare più piatti/ricette bio nelle mense ospedaliere, aziendali e scolastiche, ma anche bar e ristoranti.

«La promozione di efficaci azioni di informazione verso i consumatori con l’obiettivo di rafforzare conoscenze e consapevolezza sui valori del biologico e sulle garanzie sottostanti la certificazione è un aspetto determinante per l’affermazione ulteriore del settore. Così come il consolidamento del posizionamento distintivo del bio come modello agricolo in grado di rafforzare la transizione ecologica e contrastare il progressivo cambiamento climatico».

Dal sondaggio di Nomisma emerge che ben 9 consumatori su 10 non hanno sufficienti informazioni o vorrebbero saperne di più riguardo le innovazioni e le tecnologie impiegate nel bio, sui controlli a cui sono sottoposti i prodotti biologici e sul contributo del metodo biologico alla sostenibilità. Gli italiani mostrano di avere le idee molto chiare sulle indicazioni che vorrebbero ricevere, in particolare relativamente alla distintività del biologico rispetto al convenzionale, ai benefici apportati dal bio a dieta e salute e alla tracciabilità dei prodotti bio.

Un ulteriore punto fermo per mantenere il posizionamento del bio sul mercato interno ed estero è rappresentato dalla garanzia della provenienza italiana delle materie prime. Per la maggioranza degli italiani è importante trovare prodotti alimentari biologici realizzati con materie prime 100% Made in Italy, ma vorrebbe anche che i prodotti BIO avessero un logo che certifichi la provenienza italiana degli ingredienti. «L’interesse del consumatore per il biologico – sostiene Zucconi – è confermato, ma l’attuale contesto economico, i consumi in forte revisione per lo scenario inflattivo e gli stili di vita e alimentari in continuo mutamento rappresentano fattori di condizionamento del mercato, dove la crescita a valore è confermata ma a fronte di un rallentamento dei volumi venduti. È dunque fondamentale promuovere efficaci azioni di informazione verso i consumatori».

BIOLOGICO A GONFIE VELE: LA TENDENZA DEI MERCATI IN ITALIA E ALL’ESTERO

BIOLOGICO A GONFIE VELE: LA TENDENZA DEI MERCATI IN ITALIA E ALL’ESTERO

Gli interessi ricreativi che il 2020 ha dato la possibilità di esperire, in quanto anno della pandemia da Covid-19, sono stati pochi, ma tra questi spicca certamente l’attenzione alla salute e alla qualità, riservata da parte dei consumatori alla spesa alimentare e alla preparazione degli alimenti.

A confermarlo sono i dati raccolti da Nomisma e Nielsen, pubblicati sulla rivista Food, in merito alla crescita del consumo di prodotti biologici.

Il settore ha conosciuto un’impennata del 20% durante l’anno 2020, crescita che alla fine del primo semestre dell’anno, rappresentava il 3,9% della vendita totale di cibi e bevande.

Tra i prodotti alimentari più consumati durante il periodo di pandemia, troviamo le uova, la cui quota ha raggiunto i 110 milioni di euro. L’incremento economico non è stato l’unico risultato, infatti i consumatori hanno mostrato maggiore sensibilità riguardo alla provenienza delle uova e al tipo di allevamento da cui provengono.

La GDO si è mossa di conseguenza ampliando l’offerta di uova biologiche. Infatti, le uova certificate biologiche mantengono oltre il 10% dei volumi venduti, mostrando incrementi del 4% rispetto al 2019.

Le farine bio, sono diventate un “tormentone” della spesa durante il lockdown. Favorite dalla preparazione di dolci e alimenti fatti in casa, la loro vendita ha riscontrato un aumento del 44% durante l’anno 2020, cioè circa 25 milioni di euro in più rispetto alla media dell’anno precedente; con un consequenziale calo commerciale del 10% rispetto a prodotti come biscotti e merendine, penalizzati dal ritrovato gusto dell’hand made.

Anche frutta e verdura biologica sono stati tra gli alimenti più acquistati, con un incremento del 12% della prima e del 7% rispetto agli ortaggi.

I discount, gli e-commerce e i negozi specializzati si distinguono invece per essere stati i canali preferenziali di acquisto durante il periodo di pandemia.

La vendita nei discount è cresciuta del 12% circa, mentre quella online è risultata strategica per i produttori che vi hanno abbinato la consegna a domicilio, favorendo una relazione diretta con il consumatore, in queste circostanze meno scontata da realizzare.

I negozi specializzati sono stati agevolati dall’impossibilità allo spostamento da parte delle persone, costrette a rivolgersi ai commercianti nelle immediate vicinanze per l’acquisto di beni primari.

Se poniamo lo sguardo alla percentuale di suolo coltivato a metodo biologico in Italia, questo si aggira intorno al 15%. Di cui almeno la metà è distribuito tra Sicilia, Puglia, Calabria ed Emilia Romagna. La regione che accoglie la più alta concentrazione di terreno coltivato a bio è la Sicilia, con circa 400 mila ettari coltivati dedicati prevalentemente ad agrumi e olivi.

Fuori dal confine italiano, l’Italia emerge per essere il primo esportatore di alimenti bio in Europa, per un ammontare di 2 miliardi e mezzo di euro – di cui il 30% commercializzati attraverso le private label dei distributori stranieri -.

Tra i prodotti maggiormente esportati: frutta e verdura e bevande vegetali alternative al latte tradizionale. Seguono il riso, la pasta, gli oli, le carni e il vino. L’80% del fatturato del settore, deriva proprio dall’export.

Per quanto riguarda il vino, quest’ultimo nella produzione a metodo biologico ha conosciuto un’ulteriore crescita non soltanto in termini quantitativi. Chianti Classico e Franciacorta sono tra le maggiori produzioni, che ammontano relativamente al 30 e 50%.

Ad essere importate invece, sono materie prime come caffè, tè, cacao, spezie, banane, ananas, zucchero di canna, riso basmati proveniente dall’India e grano tenero di derivazione canadese.

Poco distante da noi, con un giro economico di 12 miliardi di euro, vi è la Germania, dove un consumatore su due acquista quotidianamente prodotti bio.
Durante il lockdown la vendita attraverso i discount è stata la corsia preferenziale, questi – Lidl è un esempio – si coordinano sul lavoro con l’associazione Bioland, nota per sottoporre i prodotti a un controllo di certificazione estremamente rigoroso. Controllo che attrae a sé fette di consumatori inedite.

La Francia è tra i paesi più attivamente impegnati nella transizione ecologica. Si prevede che nei prossimi anni il mercato bio incrementerà notevolmente, grazie alla strategica fusione tra la GDO e alcuni marchi specializzati. Supermercati e Ipermercati infatti, detengono il 55% del dominio sul mercato bio d’Oltralpe.

Oltre i confini europei: il Regno Unito ha registrato un aumento nel settore durante il 2020 del 6%, percentuale che durante il lockdown ha raggiunto il 18,7. Tra gli alimenti più venduti in questo paese, le banane Fairtrade e le uova biologiche.

Oltreatlantico il mercato biologico non delude: in Canada la quota dei prodotti bio ha superato i 3 miliardi di euro, di cui 780 milioni derivano dalla vendita di alimenti importati dall’estero, come caffè, pomodori, spinaci e fragole.

Negli Stati Uniti ad avere il controllo delle vendite sono le multinazionali come Walmart e i discount, che puntano sulle promozioni per favorire l’ampliamento della clientela. Il settore biologico in America, equivale oggi al 5,8% della vendita alimentare.

In Cina questo tipo di mercato è alimentato soprattutto dai Millennials, forti consumatori di spuntini freschi biologici. Si prevede che entro tre anni il mercato cinese del bio superi i 13 milioni di dollari di fatturato.

L’India ha visto schizzare alle stelle il consumo di riso e legumi bio durante il lockdown. Il fatturato di prodotti biologici del paese ammonta a circa un miliardo di dollari (860 milioni di euro). Inutile dire che Amazon ha alimentato l’attrazione delle persone per il settore, incentivando il consumo con generosi sconti su marchi di rilievo.

In uno stato come quello russo invece, il biologico è una categoria d’acquisto riservata alle élite, perché comporta rincari fino al 300%. Il mercato bio, rappresenta solo lo 0,1% delle vendite alimentari, sebbene negli ultimi dieci anni la catena healty VkusVill abbia aperto ben 1200 punti vendita all’interno del paese.

Il caso australiano è fuori dall’ordinario per regolamentazione: l’utilizzo della dichiarazione biologica del prodotto sembra infatti non essere ancora stato rigorosamente tarato secondo requisiti specifici. Tuttavia anche qui il settore risulta prolifico con prospettive di ampia crescita.

Il panorama generale legato alla tendenza dei mercati del settore bio nell’anno 2020 è stato sorprendente e seppure in condizioni attualmente differenti, ci auguriamo continui a prosperare per grandezza.

Fonte: Great italian food trade

CONVERSIONE ECOLOGICA: L’IMPATTO DEL PACKAGING SOSTENIBILE

CONVERSIONE ECOLOGICA: L’IMPATTO DEL PACKAGING SOSTENIBILE

Tra le scelte che le aziende produttrici di beni stanno affrontando, vi è senz’altro quella riguardante i rivestimenti di protezione dei loro prodotti, ovvero gli imballaggi.

Questo cambio di paradigma nasce dall’accentuarsi di minacce come il cambiamento climatico, l’inquinamento da plastica e lo smaltimento rifiuti, che non solo ha destato la sensibilità di consumatori e industrie, ma ha generato una vera e propria conversione ecologica, tale da condizionare nelle imprese, le scelte legate al packaging dei prodotti e favorire un direzionamento verso quelli ecologici o riciclabili.

Se dal punto di vista pratico, l’imballaggio è l’involucro che protegge e riveste il prodotto fino al suo utilizzo, dal punto di vista estetico questo è un’arma di marketing convincente nell’orientare il consumatore nella sua scelta.

Una nuova frontiera si è aperta: quella del packaging sostenibile. Un imballaggio composto da materie prime riciclate, minimale nel processo di produzione che comporta e in grado, attraverso il suo riutilizzo, di attivare un’economia di tipo circolare.

Ad oggi questo tipo di imballaggi è ancora poco diffuso, il 60% dei prodotti infatti, non presenta alcun riferimento rispetto al riutilizzo delle confezioni. Tuttavia è una direzione che si sta facendo spazio e che vedrà materiali di origine vegetale sempre più diffusi, con la possibilità di essere interamente riciclabili.

Sin Life in collaborazione con l’Osservatorio Packaging del largo consumo di Nomisma, ha rilevato all’interno di una ricerca conseguita, che la sostenibilità nei prodotti confezionati vale 6,5 miliardi di euro e che il rispetto per l’ambiente da parte di un’impresa, risulta essere un valore aggiunto a favore dell’acquisto, per il 36% degli italiani.

Secondo questo studio: nel 2019 solo il 21,5% delle aziende ha previsto di investire in tecnologie di tipo sostenibile, anche se il 13% ha investito in sistemi di economia circolare e il 56% delle imprese ha adottato comportamenti per ridurre l’impatto ambientale. Sempre nel 2019 l’utilizzo di imballaggi compostabili è arrivato a 101.000 tonnellate, comparate alle 39.250 dell’anno 2012.

Nell’anno 2020: gli italiani hanno investito in prodotti bio circa 3,3 miliardi di euro per un aumento del 4,4% rispetto all’anno precedente.

L’approccio verso una conversione ecologica si identifica sempre più come un perno centrale determinante nel mondo degli affari.

Una ricerca condotta da Nielsen rileva che il 48% dei consumatori è disposto a modificare le proprio abitudini di consumo al fine di produrre un impatto positivo sull’ambiente. E che le vendite di prodotti sostenibili negli Stati Uniti sono aumentate quasi del 20%, con un trand in costante ascesa.

Investire sull’utilizzo di packaging sostenibili e sulla stessa produzione di prodotti biologici, risulta ad oggi, la chiave di volta e successo per le imprese e l’ambiente che le circonda.

Fonte: B/Open Trade