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PATUANELLI: «L’AGRICOLTURA BIO È STRATEGICA PER L’ITALIA»

PATUANELLI: «L’AGRICOLTURA BIO È STRATEGICA PER L’ITALIA»

«Siamo primi per numero di operatori, ai primi per incidenza e abbiamo anticipato al 2027 l’obiettivo del 25% di superfici coltivate, ma lo stesso deve capitare per le quote di mercato». L’intervento in difesa del settore biologico del ministro delle Politiche agricole

«L’agricoltura biologica è nei fatti è strategica per il nostro Paese». Il ministro delle Politiche agricole Stefano Patuanelli ha le idee chiare nei confronti di questo modello di agricoltura e lo ribadisce nel momento in cui il conflitto in Ucraina e il rischio di una crisi alimentare nei Paesi del terzo mondo dipendenti dall’import di grano dal Mar Nero spingono alcuni a mettere in discussione gli impegni ambientali della prossima politica agricola comune.

Fare crescere assieme produzioni e domanda

«Sono i numeri a dimostrare il forte legame dell’Italia con l’agricoltura bio, dobbiamo impiegare le risorse di cui possiamo disporre anche per far crescere il valore dei prodotti e lavorare sulla comunicazione nei confronti del consumatore». Una presa di posizione espressa dal ministro in occasione del convegno romano organizzato dalle associazioni del bio per fare il punto sulla legge e sul piano d’azione per il biologico in fase di “assemblaggio” presso il ministero. Il ministro ha quindi enunciato i numeri del successo del bio in Italia.

Il Ministro dà i numeri

«Siamo primi in Europa per numero di operatori con 81.731 e un incremento dell’1,3% rispetto al 2019, terzi per superficie dopo Francia e Spagna; la nostra superficie risulta aumentata rispetto al 2019 di 5,1 punti percentuali, centomila ettari in più, in base ai dati 2021».

La Sicilia è la regione più bio d’Italia, a seguire Puglia, Calabria e Toscana che assieme raccolgo il 51% dell’intera superfice.

«Siamo al primo posto per numero di produttori, 71.590, la Francia ne ha poco più di 53.000, la Spagna 44.500». «Ai primi posti, ha detto ancora Patuanelli, anche come incidenza, al 16,6% e per questo abbiamo anticipato al 2027 l’obiettivo del green deal di arrivare al 25% di Superficie agraria.

Promuovere un messaggio chiaro e condiviso

L’export dei prodotti biologici nazionali ha un valore di 2,9 miliardi di euro, cresciuto degli ultimi due anni nonostante la pandemia. «I consumatori chiedono cibi sostenibili – ha spiegato Patuanelli – una domanda che dobbiamo assecondare non generando fratture ma puntando su un messaggio chiaro e unico». «Il nostro obiettivo non è solo quello di raggiungere il 25% di superfici coltivate a bio ma anche il 25% di quote di mercato».

«CHI ATTACCA IL BIOLOGICO, VUOLE COLPIRE L’ITALIA»

«CHI ATTACCA IL BIOLOGICO, VUOLE COLPIRE L’ITALIA»

Lo afferma il presidente di Coldiretti Ettore Prandini stigmatizzando l’intervento del Ceo di Syngenta Erik Fyrwald che in un’intervista a un quotidiano svizzero ha chiesto «lo stop dell’agricoltura biologica».

«L’attacco della multinazionale Syngenta al biologico colpisce direttamente l’Italia». Coldiretti non usa mezzi termini contro la “sparata” della società dell’agrochimica acquisita nel 2017 dal colosso cinese ChemChina.

La “sparata” di Fyrwald

In un’intervista rilasciata al quotidiano svizzero The Neue Zürcher Zeitung (“Il nuovo giornale di Zurigo”, clicca qui per accedere alla versione digitale) l’amministratore delegato Erik Fyrwald aveva infatti invocato lo stop del biologico perché «è dannoso per il clima e determina un maggiore uso del suolo».

Nell’intervista il Ceo di Syngenta si è spinto a dire che «le rese dell’agricoltura biologica possono essere inferiori fino al 50% e la conseguenza indiretta è che le persone muoiono di fame in Africa, perché stiamo mangiando sempre più prodotti biologici».

Una semplificazione tutta da dimostrare, un’evidente forzatura a cui risponde il presidente di Coldiretti Ettore Prandini: «Viviamo in un’economia di mercato dove a decidere cosa produrre non può essere di certo la cinese Syngenta».

Speculare sulla guerra

Speculare sulla crisi ucraina per invocare il ritorno a un modello iperintensivo che ha mostrato tutti i suoi limiti non è un modo razionale per rispondere al rischio di carenze alimentari nei Paesi in via di sviluppo e può diventare un boomerang per Paesi sensibili al tema della sostenibilità della produzione agricola come l’Italia. Dove anche il gruppo con sede a Basilea in Svizzera si è impegnato negli ultimi anni investendo in soluzioni a basso impatto come biostimolanti e agenti di biocontrollo autorizzati nel biologico.

«L’intervento di Fyrvald – continua Prandini – è offensivo per un modello produttivo come quello dell’Italia, leader europeo nel numero di imprese agricole bio con ben 70mila produttori  ed oltre 2 milioni di ettari coltivati».

Il caso Verisem

«Un parere inopportuno – mette in evidenza il presidente – perché espresso dal massimo esponente della multinazionale del settore dell’agro-industria, specializzata nella produzione di mezzi tecnici per l’agricoltura e nelle attività nel campo delle sementi, acquistata nel 2017 per 43 miliardi di dollari dal colosso cinese ChemChina, il quale nel frattempo si è unito con Sinochem, dando vita a una holding petrolchimica da 150 miliardi di dollari».

«Un intervento che arriva -sottolinea – dopo il tentativo fallito dalla multinazionale cinese di acquisire in Italia la ditta sementiera Verisem, per la quale ha ricevuto lo stop dal Governo italiano attraverso l’espressione della golden share riservata alle attività strategiche come appunto la produzione di semente».

Coldiretti ricorda che l’Italia ha dato il via libera alla legge sul biologico ed è impegnata ad elaborare il relativo piano strategico, oggi i prodotti bio finiscono nel carrello della spesa di quasi due italiani su tre (64%) con le vendite totali che nell’ ultimo decennio sono più che raddoppiate tanto che nel 2021 hanno sfiorato il record di 7,5 miliardi di euro di valore, tra consumi interni ed export.

«Nessun passo indietro sulla sicurezza alimentare»

«Oggi l’agricoltura italiana è la più green d’Europa, con 316 specialità Dop/Igp riconosciute a livello comunitario e 526 vini Dop/Igp, 5333 prodotti tradizionali regionali censiti lungo la Penisola, ha la leadership nel biologico e nella biodiversità ma anche il primato della sicurezza alimentare mondiale con il minor numero di prodotti agroalimentari con residui chimici irregolari».

«Un Paese come il nostro – conclude Prandini – non può accettare passi indietro sulla sicurezza alimentare: l’aumento quantitativo delle produzioni deve essere ottenuto solo salvaguardando con azioni concrete aziende agricole e stalle».

MERCATO BIO ITALIANO: OSSERVATORIO SANA REALIZZA UNA STIMA DELLE DIMENSIONI ATTUALI

MERCATO BIO ITALIANO: OSSERVATORIO SANA REALIZZA UNA STIMA DELLE DIMENSIONI ATTUALI

È nell’ambito della Terza edizione di Rivoluzione Bio – evento protagonista di SANA 2021 -, che sono stati presentati i dati dell’Osservatorio SANA, relativi alle dimensioni del mercato interno italiano per l’anno in corso (fino al mese di luglio).

L’Osservatorio, a cura di Nomisma, ha riportato elaborazioni su dati Nielsen, ASSOBio, Ismea e Agenzia ICE, dove si è registrato l’ammontare delle vendite alimentari bio in Italia a 4,6 miliardi di euro, con una crescita del +5% rispetto all’anno 2020.

Sono certamente i consumi at home a rappresentare la porzione più importante, con un valore di 3,8 miliardi di euro. L’away from home, risente, nel contempo, delle riaperture progressive di locali e esercizi pubblici, riportando un aumento del 10% rispetto allo scorso anno nello stesso periodo.

Per quanto riguarda i canali a cui attinge il mercato domestico, il primo a distinguersi come canale di riferimento, è quello della Distribuzione organizzata, che ha raggiunto nel 2021 i 2,2 miliardi di euro di introito; presentando una crescita del 2% rispetto all’anno 2020. Tra le differenti tipologie di canali è tuttavia l’eCommerce a registrare l’incremento più rivelante, con il 67% in più rispetto all’anno precedente; 75 milioni di euro in termini di vendite.

I negozi tradizionali e specializzati vantano una ripresa del +7%, determinata certamente dalla riduzione delle restrizioni dettate dall’emergenza sanitaria.

Se poniamo l’attenzione sulla tipologia di prodotti bio più venduta, tra i primi tre compaiono: uova di gallina, confetture e spalmabili a base di frutta e bevande vegetali. Tuttavia la tipologia varia a seconda del canale di acquisto: la Distribuzione sottolinea per esempio come i prodotti, presso di loro, più acquistati risultino carni e drogheria alimentare bio.

Secondo i dati presentati dall’Osservatorio, anche il trend dell’export bio italiano non delude: compare infatti al secondo posto nella classifica globale degli exporter bio, subito dopo gli Stati Uniti.

Da quanto riportato attraverso un’indagine diretta sulle imprese, intervistate da Nomisma nell’ambito del progetto ITA.BIO, la crescita delle vendite dei prodotti nazionali all’interno dei mercati esteri risulta aumentata dell’11% rispetto al 2020, con una vendita di 2,9 miliardi di euro.

L’ultimo focus passato in rassegna dall’Osservatorio riguarda i consumatori italiani di prodotti biologici e la trasformazione che questi operano attraverso l’esercizio della loro domanda.

L’identikit dell’utilizzatore abituale di questi prodotti, può variare a seconda del reddito e del titolo di studio: l’acquisto appare più accessibile per persone con un reddito a cadenza mensile e un titolo di studio medio-alto.

La composizione del nucleo familiare è un altro dei fattori incidenti: la presenza di figli e minori sotto i 12 anni, può infatti generare un’impennata nell’acquisto di prodotti di tipo biologico.

La presenza inoltre di vegetariani e vegani in famiglia, rappresenta un’altra determinante che incentiva l’acquisto.

Considerato ciò, la spinta maggiore (57%) è definita dalla composizione degli ingredienti di origine dei prodotti e dalla provenienza di questi, locale o a km zero; spesso elementi di garanzia per la salute, perché privi di chimica di sintesi e perché aderenti a criteri di produzione rispettosi dell’ambiente e dei lavoratori parte della filiera.

Anche l’occhio vuole la sua parte, infatti tra le ulteriori caratteristiche che possono fare la differenza per il consumatore attento, vi è senz’altro la confezione: il packaging che avvolge il prodotto. Il 52% degli acquirenti predilige involucri sostenibili, interamente riciclabili o altrimenti, compostabili.

 

Fonte: Ismea mercati

PAC EUROPEA 2023/27: L’OBIETTIVO DI UN FUTURO PIÙ VERDE, EQUO E SOSTENIBILE

PAC EUROPEA 2023/27: L’OBIETTIVO DI UN FUTURO PIÙ VERDE, EQUO E SOSTENIBILE

Risale a pochi giorni fa, l’accordo raggiunto tra il Consiglio e il Parlamento europeo, sul futuro della Politica Agricola Comune relativa al periodo 2023/27.

Sebbene l’intesa non sia ancora stata ufficializzata – il Parlamento europeo dovrà confermare la sua posizione in seduta plenaria -, si affaccia la prospettiva di una PAC più equa, green e sostenibile.

Da quanto emerso, il quadro dipinto per l’Italia è piuttosto favorevole.
A partire dal 2023 infatti, per i sette anni successivi, dei 340 miliardi di bilancio europeo destinati alla Pac, 38 miliardi di euro saranno a favore dello stato italiano.

Un pacchetto di “compromesso” da sostenere, commenta il Ministro delle Politiche Agricole, Stefano Patuanelli, in quanto i motivi per essere soddisfatti sono superiori a quelli di frustrazione.

L’accordo raggiunto tra il Consiglio e il Parlamento europeo, prevede alcune novità: prima tra tutte, l’introduzione di Piani strategici nazionali per il quale gli Stati membri avranno potere e responsabilità di attuazione diretti.

L’autonomia aumenterà dunque e così la possibilità di tenere conto delle effettive condizioni locali. La nuova PAC intende supportare ciascuna realtà nazionale, nella creazione di Piani strategici “su misura”, in linea però con gli obiettivi dell’Unione europea verso una transizione green e sostenibile.

La seconda novità introdotta dalla nuova Politica Comune sarà quella degli Ecoregimi; strumenti chiave per il raggiungimento del Green Deal europeo.
Circa 49 miliardi di euro infatti, saranno a questi, destinati; nell’arco dei cinque anni successivi al 2023.

Gli Ecoregimi consistono di pratiche agronomiche rispettose dell’ambiente, tra queste: l’agricoltura a metodo biologico, le pratiche di allevamento che tutelano il benessere degli animali e le pratiche agricole a bassa emissione di carbonio.

L’intenzione è quella di incentivare queste buone pratiche, destinando inoltre il 35% dei fondi per lo sviluppo rurale alla loro promozione.

I beneficiari della Pac, dovranno rispettare una condizionalità sociale, in altre parole, considerare il diritto sociale e del lavoro europeo, se desiderano ricevere i fondi.

Ogni azienda dovrà impegnarsi a rispettare l’obbligo di dedicare almeno il 3% dei suoli coltivabili alla biodiversità e ad elementi non produttivi. Con la possibilità ulteriore di ricevere, attraverso gli ecoregimi, un sostegno per raggiungere il 7%.

Gli Stati dovranno inoltre, ridistribuire il 10% dei fondi ricevuti a favore delle aziende agricole di più piccole dimensioni, descrivendo nel Piano strategico nazionale, la pianificazione di questa ridistribuzione.

Un altro 3% dei fondi destinati a ciascuno stato, dovrà essere impegnato per il sostegno dei giovani agricoltori.

Per coloro che non rispetteranno la condizione sociale, il Parlamento europeo ha messo in campo la penalizzazione attraverso sanzioni maggiori di quelle fino ad ora esistite. Circa il 10% dei diritti degli agricoltori verrà quindi sacrificato, al fine di una maggiore trasparenza richiesta dall’UE.

Un’ulteriore riserva agricola pari a 450 milioni di euro, sarà messa in campo, col fine di rafforzare la posizione sul mercato delle piccole e medie imprese e dei giovani aspiranti agricoltori. La finalità è quella di contrastare l’abbandono dei campi e il direzionamento verso le grandi agricolture intensive.

Una nuova intesa dunque, sembra essere sulla via della conquista.
Un accordo mirato a una transizione green, a tutela della biodiversità, che intende consolidare le realtà agricole più fragili e incentivare quelle che si propongono di nascere; per favorire la prospettiva di un futuro più verde, equo e sostenibile.

Fonte: Agronotizie

BIO IN ITALIA, IL RITMO DI CRESCITA DECELERA: DIVERSE LE OPPORTUNITÀ DI RIPRESA

BIO IN ITALIA, IL RITMO DI CRESCITA DECELERA: DIVERSE LE OPPORTUNITÀ DI RIPRESA

Il trend di crescita degli operatori e delle superfici bio in Italia, da gennaio 2020 a maggio 2021, è positivo, ma meno dinamico rispetto al passato.

È quanto riportato dal Presidente di Assocertbio, Riccardo Cozzo, nel webinar organizzato in collaborazione con B/Open. Un appuntamento che ha visto la partecipazione del Ministero delle Politiche Agricole, di Ismea e di altre importanti realtà del settore.

Nell’anno 2020 il numero di operatori certificati è cresciuto del +1,57% (81.913 unità) e l’Italia è arrivata a 1.994.904 ettari di superficie agricola coltivata a bio.

I primi cinque mesi del 2021 non sono stati da meno, l’aumento degli operatori certificati è stato dell’1,84% (1.431 unità).

Un incremento positivo, segnalano gli addetti ai lavori, ma non sufficiente, nella prospettiva della strategia “Farm to Fork” e degli obiettivi prefissati entro il 2030.

Le cause del calo del ritmo di crescita, potrebbero essere riconducibili al sistema sanzionatorio istituito dal decreto legislativo 20 del 2018, piuttosto severo nei confronti delle realtà minori e meno organizzate del settore.

Rivolgendo uno sguardo ai possibili scenari di crescita del comparto, diverse sono le opportunità di ripresa e slancio dell’agricoltura biologica e numerosi i versanti su cui si può ancora lavorare per operare un miglioramento.

Prima tra tutte la nuova legge italiana sul biologico, che prevede l’adozione di un Piano d’azione nazionale per la produzione biologica e la creazione di un Tavolo tecnico istituzionale. Scendendo più nel dettaglio, la legge mette in risalto punti chiave, per dare una spinta di segno positivo al settore, come: la garanzia di un giusto prezzo agli attori delle filiere; l’applicazione della fiscalità ridotta ai prodotti che assicurano benefici ambientali come nel caso del biologico; e infine portare a credito d’imposta i costi per la certificazione al fine di non essere disincentivanti per chi intende operare la transizione.

Anche la PAC – Politica Agricola Comune, potrebbe essere d’aiuto per uno sviluppo del comparto, ma solo se si insiste affinché investa in tutti i componenti della filiera biologica, senza dimenticare il fronte della ricerca e dell’innovazione in ambito di agricoltura digitale, afferma Francesco Torriani, Coordinatore per il settore biologico di Alleanza delle Cooperative italiane.

Antonio Sposicchi, Direttore di Anabio-CIA, riporta invece la crescita repentina del caso francese, passato nel giro di pochi anni da 4 a 12 miliardi di consumi interni; Sposicchi aggiunge che la politica italiana dovrà svolgere un fondamentale ruolo di promozione dell’agricoltura biologica, nei confronti delle filiere, dei produttori e della cittadinanza.

Il quadro generale del settore è articolato e significativo il lavoro ancora da fare, ma le occasioni di incentivo allo sviluppo non mancano. La crescita può, in alcune fasi decelerare, ma non intende arrestarsi.

 

Fonte: Green Planet

BIO-DISTRETTI, UNA LEVA PER LO SVILUPPO (ANCHE OLTRECONFINE)

BIO-DISTRETTI, UNA LEVA PER LO SVILUPPO (ANCHE OLTRECONFINE)

Sostenibilità come obiettivo e come impegno comune tra produttori, cittadini, operatori turistici e pubbliche amministrazioni: nasce da qui il concetto di bio-distretto, area dedicata al biologico e finalizzata alla gestione congiunta delle risorse a tutela dell’ambiente e dei territori: un’oasi di efficienza ed ecocompatibilità, in un equilibrio di rispetto per il pianeta ed efficacia socio-economica, che traina oggi lo sviluppo del comparto bio.

In Italia, esistono 40 bio-distretti, di cui 32 già operativi e 8 in fase di costituzione (fonte di IN.N.E.R), come emerge dalla pubblicazione “Distretti biologici e sviluppo locale. Linee guida per la programmazione 2021-2027” a cura della Rete Rurale Nazionale. Ma il loro numero è in continuo aumento, sull’onda delle attese per la programmazione 2021-2027 e dei progetti di legge in via di definizione.

Ma qual è l’identikit del bio-distretto? Si tratta di un modello agricolo e produttivo biologico, impiegato come strumento per valorizzare il territorio e dare impulso all’economia locale all’insegna di obiettivi ambientali e climatici. Tra questi, spicca la tutela della qualità del suolo, che subisce la minaccia dell’agricoltura intensiva e dell’uso massivo di fitofarmaci e fertilizzanti, responsabili del suo impoverimento. Un tema, la difesa del terroir, che è profondamente connesso alla salvaguardia delle specificità di ciascun territorio, e sta alla base dell’agricoltura biologica.

I bio-distretti sono dunque realtà nate dal basso, che vedono i produttori biologici protagonisti di una progettualità territoriale basata sulla creazione di reti di aziende biologiche. E nell’epoca del marketing territoriale e della valorizzazione delle aziende locali, rappresentano una concreta opportunità di sviluppo socio-economico, a tutto vantaggio della redditività su base – appunto – “distrettuale”.

Ma se i bio-distretti sono una realtà già consolidata e foriera di benefici per le aree in cui sono presenti, il loro quadro giuridico è ancora in fase di regolamentazione nel nostro Paese. È di alcune settimane fa infatti, l’avanzamento dell’iter della legge sul bio, quando il DdL 988 “Disposizioni per la tutela, lo sviluppo e la competitività della produzione agricola, agroalimentare e dell’acquacoltura con metodo biologico” è stato sbloccato in Commissione Agricoltura, al Senato, dopo uno stallo di oltre due anni. Dopo l’approvazione all’unanimità, il testo dovrà ora passare attraverso il voto in Aula, sempre a Palazzo Madama, e poi alla Camera per il vaglio definitivo. Tra le novità che saranno introdotte, quella sui bio-distretti (articolo 13) conferirà a tali realtà un riconoscimento formale importante all’attività di operatori, amministratori locali e cittadini coinvolti nei distretti biologici italiani. Si tratta di un contributo fondamentale per i territori locali, da arricchire con nuove filiere e prodotti di qualità che spingano verso la creazione di nuova occupazione. E il disegno di legge sul biologico va proprio in questa direzione, completo come è di misure essenziali volte a favorire lo sviluppo del settore, quella che riguarda l’introduzione di un marchio per il biologico italiano su tutte.

Occorre un incoraggiamento da parte del Governo e delle autorità regionali per l’istituzione dei distretti biologici in quanto rappresentano un valido strumento di governance territoriale e producono un impatto positivo in termini di sostenibilità ambientale, economica e sociale, anche nelle aree rivelatesi “insostenibili” con gli strumenti dell’economia convenzionale. In un’ottica di approccio condiviso alle produzioni e alle risorse agricole e artigianali, oltre che naturali e culturali, i bio-distretti permettono infine di ricomporre un tessuto sociale troppo spesso disgregato e di ridestare un rapporto di fiducia col cittadino, anche tramite la creazione di mercati di vicinato. Il loro è anche un ruolo educativo e didattico, che introduce, grazie alle mense pubbliche, ad esempio, un valido spunto di riflessione su abitudini alimentari sane. Ecco perché è importante, per il nostro Paese, sostenere lo sviluppo di queste realtà nate dall’aggregazione locale di soggetti della filiera, che offrono un elevato potenziale di competitività, anche nel rapporto con il mercato globale.

Fonte: Greenplanet