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LA RIVOLTA DEL BIO FRANCESE CONTRO LE ETICHETTE CHE FANNO GREENWASHING

LA RIVOLTA DEL BIO FRANCESE CONTRO LE ETICHETTE CHE FANNO GREENWASHING

Alla 59° edizione del Salon International de l´Agriculture di Parigi va in scena la contestazione di produttrici bio motivate come Rosélène Pierrefixe contro scelte politiche che sfruttano il boom dei consumi bio degli anni scorsi per favorire protocolli alternativi come quelli marchiati Hve (High Environmental Value)

«Se non ci fossero gli agricoltori biologici finireste per mangiarvi solo le unghie!». A Parigi, Porte de Versailles, fino al 5 marzo va in scena la 59° edizione del Salon International de l´Agriculture. Un’edizione che si sta caratterizzando per la riscossa dell’orgoglio bio. Rosélène Pierrefixe è una giovane imprenditrice bio bretone. Dieci anni fa ha investito assieme al marito i suoi pochi averi, ma massima volontà di fare, in una minuscola azienda orticola a Monterblanc, vicino a Vannes, nel dipartimento del Morbihan, in Bretagna. Nel 2019 ha conquistato la copertina del mensile francese di agricoltura biologica “Symbiose” in un numero dedicato alle piccole realtà bio, giustificando il titolo: “microaziende, maxi fierezza”.

L’impatto del climate change

Una fierezza oggi piegata dall’impatto del climate change. «La scorsa estate – racconta-, il sud della Bretagna ha registrato temperature record, fino a 41 gradi». «Ondate di caldo e di siccità che hanno reso più impegnativo, anche dal punto di vista fisico, il nostro lavoro». «Ma quello che più indigna è come le autorità hanno mal governato la grave carenza idrica».

«Abbiamo infatti dovuto conquistarci ogni goccia d’acqua litigandocela con chi gestisce campi da golf o autolavaggi». «Eppure noi produciamo cibo. E con l’agricoltura biologica siamo in grado di immagazzinare nel suolo più carbonio di quanto ne emettiamo, contribuendo a mitigare gli effetti del climate change».

Una crisi climatica che si sta riproponendo, ma in maniera decisamente anticipata, quest’anno. «In Bretagna non piove da più di un mese, l’emergenza delle colture è rallentata e le espone al rischio delle gelate». «Gli eventi meteo estremi sono ormai diventati la norma: se arriva una gelata quando le patate sono alte 20 centimetri perdiamo tutto».

La contestazione va in scena a Parigi

Una situazione allarmante che l’ha spinta a recarsi a Parigi per contestare la consueta sfilata di politici al Salon International de l´Agriculture: «State sbagliando tutto: create confusione per sfavorire i consumi di cibo biologico e locale. Vorrei che il marchio del bio fosse riconosciuto, che i suoi agricoltori fossero ascoltati, non solo la Fnsea (Fédération nationale des syndicats d’exploitants agricoles, la federazione ombrello che riunisce le maggiori sigle di agricoltori francesi convenzionali)..».

Ecoscore e Hve, messaggi fuorvianti

Sotto accusa, non solo da parte di Rosélène, è il marchio Hve (High Environmental Value), voluto dal ministero dell’agricoltura francese. Dopo la denuncia di Ifoam Organics Europe contro il marchio francese eco-score (ne abbiamo parlato qui) perché favorisce la produzione intensiva a discapito di quella biologica,  un gruppo di associazioni, agricoltori e aziende ha seguito l’esempio facendo ricorso all’alto Consiglio di Stato in gennaio 2023 contro l’etichetta francese di Alto Valore Ambientale (HVE) asserendo che ha ingannato il consumatore per più di dieci anni. «Viene spacciata come molto rispettosa dell’ambiente, ma il disciplinare che c’è dietro non è più esigente della media delle pratiche agricole francesi, secondo gli studi condotti dall’Ufficio francese per la biodiversità e dall’Istituto per lo sviluppo sostenibile e le relazioni internazionali».

Dopo il boom registrato in Francia nel 2020 e 2021 il consumo del bio in Francia è rallentato anche a causa della confusione innescata da queste etichette e alla retromarcia del Governo francese sui promessi aiuti nazionali agli agricoltori bio. Le referenze bio sugli scaffali della grande distribuzione stanno così calando a discapito di etichette che fanno greenwashing.

La riscossa del bio

Le evidenze scientifiche confermano però che è l ‘agricoltura biologica a preservare la biodiversità, proteggere la qualità dell’acqua, del suolo e dell’aria e adattarsi meglio ai cambiamenti climatici. Tanto che anche il gruppo intergovernativo di esperti sui cambiamenti climatici (IPCC) raccomanda di espandere rapidamente questo modello agricolo.

Al Salone di Parigi è così scattata la riscossa del bio: associazioni come Fnab (Federazione nazionale dell’agricoltura biologica) o Terre de Liens hanno avviato campagne informative per spingere i consumatori a guardare meglio le etichette e riconoscere il marchio del bio. In più dal 20 al 30 marzo è stata indetta “la Settimana delle alternative ai pesticidi”. Perchè il contrasto al cambiamento climatico ha bisogno di produttori responsabili, ma anche di consumatori consapevoli.

ASSOBIO E IAP CONTRO IL GREENWASHING

ASSOBIO E IAP CONTRO IL GREENWASHING

Alleanza tra l’associazione delle imprese di trasformazione e distribuzione del biologico e l’Istituto di autodisciplina pubblicitaria per tutelare la corretta informazione sul bio

Assobio, l’associazione nazionale delle imprese di produzione, trasformazione e distribuzione dei prodotti biologici e naturali si impegna nella difesa della corretta comunicazione dei valori del biologico.

Adesione votata dal Consiglio direttivo

Il Consiglio direttivo dell’associazione ha infatti deliberato l’adesione ufficiale all’Istituto dell’autodisciplina pubblicitaria (Iap) allo scopo di incrementare la conoscenza del sistema autodisciplinare e dei suoi strumenti e di favorire lo scambio di informazioni e best practices nella comunicazione commerciale.

Il contrasto del fenomeno del greenwashing

I due enti sono già impegnati a promuovere e organizzare iniziative di formazione, informazione e approfondimento su tematiche condivise tra cui il contrasto al fenomeno del cosiddetto greenwashing, rivolte sia alle imprese socie Assobio, che ai consumatori.

SOSTENIBILITÀ, LA STRADA MAESTRA DELLA CERTIFICAZIONE

SOSTENIBILITÀ, LA STRADA MAESTRA DELLA CERTIFICAZIONE

Per sgombrare il campo da affermazioni false o dubbie, che potrebbero aprire la strada a equivoci e contenziosi, la Commissione europea sta pensando alla necessità di regolamentare le dichiarazioni green in etichetta imponendo la certificazione obbligatoria

La politica agricola comunitaria si tinge di green come non mai. Dal primo gennaio 2023 entra infatti in vigore una nuova Pac fortemente condizionata dalla strategia Farm to Fork dell’European Green deal che mette al centro la sostenibilità come strumento per conciliare sicurezza alimentare e tutela dell’ambiente.

Un concetto poco definito

La sostenibilità è però ancora un concetto poco definito, mancando a livello normativo un chiaro elenco di requisiti minimi e condivisi, utili per poter rivendicare tale condizione in maniera chiara ed inequivocabile come avviene già per il biologico (unico metodo di produzione la cui cornice è pienamente regolamentata a livello europeo).

Il mensile VVQ, Vigne, Vini & Qualità, in un articolo scritto da Stefano Sequino, dà quindi conto delle riflessioni dell’Esecutivo comunitario sulla necessità di riformare il quadro normativo sulle autodichiarazioni green.

Oggi infatti sono applicati numerosi schemi volontari di sostenibilità caratterizzati da indicatori e obiettivi che, con proprie peculiarità, prevedono un sistema di certificazione affidato ad enti terzi per verificare la conformità dei requisiti indicati dagli standard.

Il rischio greenwashing

Una pluralità di interpretazioni che, secondo la Commissione Ue, non mette al riparo il consumatore dal rischio di essere confuso e condizionato dal bombardamento di indicazioni ambientali poste soprattutto sulle etichette dei prodotti agroalimentari che rischiano di costituire un mero greenwashing.

Uno screening recentemente promosso dalla Commissione in tutta Europa ha messo in evidenza la frequenza di affermazioni di sostenibilità dubbie:

  • nel 50% dei casi il venditore non fornisce informazioni sufficienti per valutare la veridicità dell’affermazione;
  • 37% presenza di formulazioni vaghe e generiche come “cosciente”, “rispettoso dell’ambiente”, “sostenibile” finalizzate a suscitare nei consumatori l’impressione, priva di fondamento, di un prodotto senza impatto negativo sull’ambiente;
  • 59% mancanza di elementi facilmente accessibili a sostegno delle affermazioni di sostenibilità;
  • 42% affermazioni giudicate falsa o ingannevoli dalle autorità preposte, potenzialmente in grado di configurare una pratica commerciale sleale

 

Prove attendibili e verificabili

Alla fine dell’anno scorso la comunicazione 2021/C 526/01 della Commissione europea – documento di orientamento che analizza la direttiva 2005/29/CE sulle pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori – aveva dato ampio risalto al rischio greenwashing, fenomeno definito come una indebita appropriazione di “virtù ambientaliste” finalizzata alla creazione di un’immagine verde.

La Commissione pone quindi l’accento sulla necessità che le dichiarazioni ecologiche in etichetta debbano essere basate su prove attendibili e verificabili, che tengano conto dei metodi e dei risultati scientifici, utili per dimostrare alle autorità competenti l’esattezza e la veridicità di quanto dichiarato. In altri termini, le informazioni sono credibili solo se verificabili: l’onere della prova – precisa il documento – è a carico dell’operatore che rivendica in etichetta indicazioni di sostenibilità.

La strada maestra per sgombrare il campo da equivoci e contenzioni è quella della certificazione e una nuova proposta di direttiva europea punta a migliorare il regime di tutela delle pratiche sleali, vietando l’utilizzo di marchi di sostenibilità che non siano basati su un sistema di certificazione o non siano stabiliti da autorità pubbliche.