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CONSERVE “ROSSE” BIO: CRESCONO SUPERFICI, PRODUZIONI ED EXPORT

CONSERVE “ROSSE” BIO: CRESCONO SUPERFICI, PRODUZIONI ED EXPORT

Cala il mercato interno nel 2022 per effetto della crisi inflattiva, ma il comparto dei trasformati di pomodoro bio è indirizzato per oltre il 75% all’export, sostenuto dal doppio plus di tipicità made in Italy e sostenibilità. I dati diffusi da un’analisi Anicav

Calano del 6% i consumi di conserve di pomodoro bio nel 2022, un dato purtroppo in linea con la tendenza generale del mercato interno registrata l’anno scorso.

A tenere saldi i conti del comparto è però l’export: dove il 75% della produzione è destinato all’estero e rappresenta il 9,6% del totale. Sono alcuni dei principali dati emersi dall’indagine conoscitiva sul pomodoro biologico passato alla trasformazione condotta da Anicav, Associazione Nazionale Industriali Conserve Alimentari e Vegetali.

Un comparto fortemente export oriented

Nel 2022 il peso delle vendite nel mercato interno di conserve di pomodoro bio sul totale dei derivati è stato del 4.6% in valore e del 3.2% in volume. Il comparto delle conserve rosse si conferma, dunque, fortemente export oriented anche per quanto riguarda la produzione certificata bio.

Produzione al galoppo

Al calo nei consumi interni da additare alle crescenti difficoltà economiche dei consumatori, si contrappone una leggera crescita rispetto al 2021, sia nella produzione che nella quantità di ettari messi a coltura. Durante la campagna di trasformazione 2022 sono state prodotte circa 458 mila tonnellate di conserve bio (circa l’8% del totale) su una superfice di 6.524 ha.

Analizzando le differenze tra i due principali bacini si registra una produzione maggiore al Nord con circa 266 mila tonnellate di prodotto trasformate (poco più del 9% del totale), rispetto alle 192 mila provenienti dal Centro Sud (7,4% del totale).

«Le conserve di pomodoro bio giocano un ruolo importante per il nostro comparto – dichiara Giovanni De Angelis, direttore generele Anicav – nell’ultimo quinquennio, per rispondere alle esigenze di un consumatore sempre più attento alla qualità si è registrata una crescita del 66,5% degli ettari messi a coltura e del 65,70% delle quantità trasformate di pomodoro bio».

BRANDEBURGO, ISOLA FELICE PER IL BIO

BRANDEBURGO, ISOLA FELICE PER IL BIO

Il primo rapporto sul mercato biologico della regione che ingloba la capitale tedesca indica il forte squilibrio tra produzione bio, comunque in crescita, e domanda. Con ampie possibilità per il nostro export in particolare ortofrutticolo

La domanda di prodotti biologici a Berlino e nel Brandeburgo è molto più alta di quanto i produttori agricoli della regione possano coprire. Il dato emerge dal primo rapporto sul mercato biologico pubblicato in febbraio dal ministero dell’Agricoltura di questo land tedesco.

Sei milioni di abitanti motivati

Il Brandeburgo (in tedesco Brandenburg) è uno dei sedici Stati federati della Germania. La capitale e città maggiore è Potsdam. Questa regione ingloba interamente la città-stato di Berlino e insieme ad essa forma la regione metropolitana di Berlino/Brandeburgo, in cui vivono più di sei milioni di persone. Più di un terzo della superficie del Brandeburgo è occupata da parchi naturali, foreste e laghi.

Riguardo alla superficie agricola, la quota di bio, secondo i dati federali, ha raggiunto il 15,5% della superficie agricola (nel 2019 era 12,3%) una frazione che colloca il Brandeburgo al quarto posto in Germania dopo Saarland, Assia e Baden-Württemberg. Il totale della superficie bio tedesca è arrivata nel 2022 a 1,9 milioni di ettari (10,9 %).

Avena e ortofrutta

La forte domanda di bio degli abitanti di Berlino, che da sola assorbe circa tre quarti della spesa questa regione, crea un forte squilibrio aprendo ampie prospettive anche per l’export italiano. . Secondo il ministro dell’Agricoltura Axel Vogel (Verdi) la produzione locale deve crescere soprattutto per quanto riguarda l’ortofrutta e l’avena (a causa della crescente domanda di latte d’avena biologico), referenze di cui c’è una forte carenza. L’eccezione è rappresentata dalla patata biologica, per la quale il rapporto indica una forte  produzione locale.

LA RICERCA DI NATURALEZZA SPINGE LA RIPRESA DEL COMPARTO ENOLOGICO

LA RICERCA DI NATURALEZZA SPINGE LA RIPRESA DEL COMPARTO ENOLOGICO

Cresce del 10% la domanda di vino bio, spinta soprattutto dalle preferenze delle consumatrici e soprattutto dal Centro Sud. Lo rileva il rapporto di Sace, Mediobanca e Ipsos

Anche la domanda, interna e internazionale, premia il vino bio. Dopo il calo nel 2020 per la pandemia, nei primi sette mesi del 2021 il comparto del vino in generale ha registrato infatti una crescita robusta con un +14,5% (addirittura +23,2% quella degli spirits). Lo attesta il rapporto elaborato da Sace, Mediobanca e Ipsos, illustrato a Verona nell’ambito del Vinitaly Special Edition.

Export a gonfie vele

Per i vini, il traino è dato dai mercati extraeuopei, in particolare gli Usa. A livello regionale, la ripresa dell’export è ben diffusa, con tassi a doppia cifra nelle prime 5 Regioni produttrici, capeggiate dal Veneto, che rappresenta da solo un terzo delle esportazioni totali. Dall’analisi del mercato emerge che la pandemia del 2020 ha consolidato alcune tendenze in atto.

L’exploit del vino bio

Il rapporto elaborato dai tre colossi finanziari stigmatizza infatti la forte crescita del vino biologico (+10,1%), ma anche di particolarità come i vini vegani e naturali (il 2% del mercato). Forte anche la tendenza all’acquisto di prodotti locali, con un aumento dell’attenzione online.

L’identikit dei consumatori

Particolare la dinamica di crescita del vino bio. Secondo Sace, Madiobanca e Ipsos la spinta alla naturalezza e l’attenzione al vino ‘bio’, viene infatti in maggioranza delle donne residenti nei territori del CentroSud. È forte però anche l’impatto della crisi economica post covid: le tendenze riscontrate al settembre 2021 indicano una spinta maggiore verso la convenienza rispetto alla qualità, che riguarda per il 25% dei consumatori di vini fermi e il 31% degli spumanti. E il tasso di “infedeltà” riguarda il 65% dei consumatori per i fermi e il 72% per gli spumanti, segno che la voglia di cambiare è molto alta.

Fonte: ANSA

IL BIOLOGICO ITALIANO CHE PIACE ALLA CINA

IL BIOLOGICO ITALIANO CHE PIACE ALLA CINA

Che le eccellenze italiane siano apprezzate nel mondo non è una novità. Ma nel biologico, in particolare, l’attenzione per il made in Italy non era affatto scontata. Non solo a causa delle abitudini e degli stili di consumo tipici di ciascun Paese, ma anche per gli scogli burocratici e i requisiti in vigore tra i diversi Stati che impongono controlli severi alle frontiere del pianeta, talora più stringenti di quelli europei. Ita.Bio, ha messo in luce, nel webinar dal titolo “Internazionalizzazione del bio made in Italy: focus Cina”, come le prospettive dei prodotti “organic” siano molto promettenti per i mercati internazionali, quello cinese su tutti.  Un comparto, quello del bio, che ha registrato vendite in crescita del 233% tra il 2013 e il 2018, e che nell’Impero di Mezzo si rivolge in particolare ai consumatori cosiddetti “di prima fascia”, ovvero con una elevata capacità di acquisto, abitanti nelle grandi città: Pechino, Shanghai, Canton.

 

Un Paese dal ricco potenziale, la Cina, che con un valore di 8 miliardi di euro, vanta il quarto posto del globo per consumi bio, con 3 milioni di ettari dedicati a tali coltivazioni (+188% in 8 anni). Otto prodotti biologici su 100 venduti nel mondo sono inoltre destinati allo Stato asiatico, che con una rete di 230 ispettori certificati per il controllo Cofcc (China Organic Food Certification Centre, il principale organismo ministeriale di controllo e certificazione per il bio in Cina), assegna a 4323 prodotti il marchio cinese del biologico. Oltre sette milioni le etichette bio autorizzate dallo stesso Cofcc, la metà di quelle presenti nel Paese.

 

Qualità da vendere, dunque, quella dei prodotti alimentari italiani, ritenuti al top della classifica mondiale per il consumatore cinese, sia per quanto riguarda il food & beverage in generale (il 17% indica l’Italia e il Giappone quando pensa ad un paese produttore di eccellenze del settore) che per i prodotti a marchio bio (18%). È il risultato di una cultura crescente per la buona alimentazione e per la sicurezza a tavola, che fa rima con salute, artigianalità e rispetto per l’ambiente, e che ha portato all’Italia esportazioni bio nel mondo per un valore di 2,61 miliardi di euro nel 2020, al secondo posto dopo i 2,98 miliardi degli USA (dato 2018).

 

Un ventaglio di preferenze, quelle che la Cina esprime verso il segmento “organic” made in Italy, che potrebbe affondare, almeno in parte, le proprie radici nello scandalo del latte contaminato da melamina, sostanza chimica normalmente utilizzata per produrre materie plastiche, aggiunta al latte stesso per mantenerne il contenuto proteico artificialmente alto. Lo dimostrerebbero le ricerche effettuate proprio su alimenti lattiero-caseari, compreso il latte per l’infanzia, e il baby food in generale, tra le referenze più cliccate assieme a carne e derivati, pasta e prodotti da forno.

 

Sempre maggiore, inoltre, in Cina, la sensibilità per la spesa online: gli acquisti in rete sono passati dal 3,4% del 2014 all’8,3% del 2019, con una quota del 26% che acquista agroalimentare bio made in Italy. Ma i margini di crescita, rispetto all’Occidente, sono ancora praterie. Un cinese spende infatti non più di 5,5 euro, contro i 57 euro dell’Italia, i 125 euro degli Stati Uniti e i 312 euro a testa della Danimarca, per il proprio carrello di prodotti biologici.

 

Ma quali sono i principali canali di vendita del bio in Cina? I supermercati fanno la parte del leone, con una distribuzione di oltre otto prodotti su dieci. Ciò non toglie che “in alcune grandi città – spiega Giampaolo Bruno di Ice Cina e Mongolia – i prodotti biologici siano venduti anche attraverso la vendita diretta con la consegna a domicilio e i servizi di ristorazione. È presente anche il canale dei negozi specializzati, che offrono naturalmente una gamma più ampia di prodotti rispetto ai produttori con vendita propria”.

 

Grande la propensione all’acquisto del nostro bio per chi ha assaggiato un pezzo di Stivale visitando la penisola italiana. Per loro, l’interesse ai prodotti biologici del Belpase raddoppia, come sottolinea Evita Gandini di Nomisma: “Il 19% dei consumatori cinesi dichiara di aver acquistato almeno una volta nell’ultimo anno alimentari o bevande made in Italy a marchio bio. E tra i turisti che negli ultimi anni sono stati in Italia, la quota di bio-users raggiunge il 28%”.

 

Fonte: Agronotizie

Export agroalimentare: il Made in Italy supera i 40 miliardi

Export agroalimentare: il Made in Italy supera i 40 miliardi

+ 16%: è questo il dato sulla crescita del valore aggiunto della filiera del food in Italia. Una crescita guidata sia dal consolidamento della ripresa dei consumi alimentari interni che dall’export agroalimentare.

Gli ultimi dati, infatti, parlano di un comparto in ottima salute, anche in questo 2017. Nei primi 9 mesi dell’anno, le vendite alimentari in Italia sono incrementate dell’1,1% rispetto al 2016. Le esportazioni fanno segnare un risultato positivo ancora più consistente.

Complessivamente, dal 2008, anno della crisi finanziaria globale, a oggi la filiera agroalimentare italiana ha visto appunto una crescita del 16%. Visti i risultati del manifatturiero – + 1% – e dell’economia italiana nel suo complesso – +2% –, si conferma ancora una volta centrale il ruolo del comparto food.

Ecco gli ultimi dati, con un focus sulle esportazioni.

Export agroalimentare: vola il Made in Italy

La fotografia è stata scattata da Nomisma Agrifood Monitor. Che certifica come l’export agroalimentare italiano crescerà, in questo 2017, di più del 6% rispetto all’anno precedente. In termini assoluti, le vendite all’estero dei prodotti food Made in Italy arriveranno a 40 miliardi di euro.

Sono i prodotti ‘classici’ dell’eccellenza italiana, ancora una volta, a spingere le esportazioni: vino, salumi e formaggi, infatti, chiuderanno l’anno con una crescita compresa tra il 7 e il 9% sulle vendite sui mercati stranieri.

A trainare la crescita ci sono soprattutto Russia e Cina, se consideriamo i mercati di destinazione. E più in generale i Paesi extra-Ue. Nel dettaglio, le nazioni guidate da Putin e XiJinping hanno acquistato più prodotti agroalimentari italiani, facendo registrare una crescita a doppia cifra, che arriverà a oltre il 20% rispetto al 2016. La forte crescita non deve però ingannare: in termini assoluti,Nord America e Paesi Ue rappresentano ancora i principali mercati di destinazione dell’export agroalimentare italiano. I Paesi extra-Ue, infatti, registrano ad oggi meno del 35% del totale delle esportazioni del comparto. In particolare Cina e Russia assommano a meno del 2% del totale.

Complessivamente, la filiera dell’agroalimentare italiano – dalla produzione agricola al dettaglio – vale oggi più di 130 miliardi di euro di valore aggiunto, il 9% del Pil nazionale. Sono 3,2 milioni gli occupati nel settore, il 13% del totale, per 1,3 milioni di imprese (il 25% delle aziende attive oggi iscritte alle Camere di Commercio).

A commentare i risultati del comparto, Denis Pantini, responsabile dell’Area agroalimentare di Nomisma:

«L’aumento dell’export, unito a un consolidamento della ripresa dei consumi alimentari sul mercato nazionale (+1,1% le vendite alimentari nei primi 9 mesi di quest’anno rispetto allo stesso periodo del 2016) prefigurano un 2017 all’insegna della crescita economica per le imprese della filiera agroalimentare».

Export agroalimentare italiano: le 4 regioni più forti (e un punto debole)

Sono 4 le regioni italiane che si accaparrano più del 60% dell’export agroalimentare. E sono tutte al nord: Veneto, Lombardia, Emilia Romagna e Piemonte. La ragione del successo si spiega con la presenza di imprese più dimensionate, che operano grazie a infrastrutture maggiormente sviluppate. Le produzioni alimentari in queste 4 aree sono inoltre maggiormente “market oriented”. Il Sud resta invece al palo: oggi incide per meno del 20% sul totale delle esportazioni nel settore, malgrado le tante eccellenze.

«Un differenziale – spiegano da Nomisma – che rischia di allargarsi ulteriormente anche in quest’anno di trend favorevole ai nostri prodotti. Nel primo semestre 2017, infatti, mentre le regioni del Nord hanno messo a segno una crescita di oltre il 7% nelle vendite oltre frontiera, quelle del Mezzogiorno non sono riuscite a raggiungere il +2%».

I risultati dell’agroalimentare italiano sono risultati positivi malgrado un endemico punto debole: la frammentazione dell’offerta. Secondo il report, infatti, le imprese del settore con almeno 50 addetti sono appena il 2% del totale. Competitor diretti, come la Germania, vedono la quota salire invece al 10%.

Questo dato giustifica il fatto che l’export agroalimentare di prodotti italiani sia ancora indietro rispetto ai nostri ‘vicini’ europei: in Francia, il fatturato arriva a 59 miliardi di euro, mentre in Germania a 73 miliardi. Secondo l’indagine, infine, la propensione all’export delle aziende italiane nel comparto è ferma al 23%, contro il 33% delle imprese teutoniche.

FONTI:

http://www.informatoreagrario.it/ita/News/scheda.asp?ID=3574

http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2017-11-13/boom-dell-export-agroalimentare-oltre-40-mld-euro-2017-105021.shtml?uuid=AES20GAD

http://www.askanews.it/cronaca/2017/11/13/export-agroalimentare-italiano-oltre-i-40-miliardi-nel-2017-pn_20171113_00062/

OSSERVATORIO SANA, BOOM DEL BIOLOGICO E IL TRAINO DELL’EXPORT

La filiera biologica italiana gode di ottima salute. Superfici, produttori, punti vendita della distribuzione al dettaglio e della ristorazione: tutti indicatori in crescita anche per il 2014. Il trend che più sorprende arriva dal mercato finale che giustifica l’impulso registrato sui numeri chiave della filiera: la domanda di prodotti a marchio bio cresce ininterrottamente dal 2005.

Il settore agroalimentare biologico continua a mostrare un grande potenziale che va anche al di là dei confini nazionali: i risultati dell’Osservatorio Sana 2015, indicano che l’export è in forte crescita

grafico-crescita-suoloesaluteNel 2014 le vendite di prodotti agroalimentari italiani certificati bio all’estero sono state pari a 1,4 miliardi di euro. Forte è la propensione all’export agroalimentare delle imprese del bio: il fatturato che raggiunge i mercati internazionali rappresenta il 24% (a fronte di un 18% registrato dalle imprese agroalimentari italiane nel complesso). Ciò che contraddistingue le imprese bio è anche la capacità di essere presenti sui mercati internazionali: l’80% delle imprese ha realizzato vendite all’estero nel corso del 2014.

Questi sono i risultati dell’indagine realizzata dall’Osservatorio SANA-Nomisma che ha coinvolto un campione di 150 imprese che esprimono un fatturato agroalimentare a marchio certificato biologico di 1 miliardo di €.

I risultati dell’Osservatorio Sana ed Ice saranno presentati agli operatori ed ai mezzi di informazione in un convegno che avrà luogo il 12 settembre in occasione dell’edizione 2015 di Sana, unitamente anche ai dati Sinab sulle superfici agricole coltivate con metodologie biologiche ed ai dati Ismea sui consumi dei prodotti bio nella distribuzione moderna organizzata.

OSSERVATORIO SANA 2015

Il monitoraggio dell’agroalimentare biologico italiano all’estero: questo l’obiettivo principale dell’Osservatorio SANA 2015, promosso dal Salone Internazionale del Biologico e del Naturale di BolognaFiere e da ICE (Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane), in collaborazione con FederBio (Federazione italiana Agricoltura Biologica e Biodinamica) e Assobio (Associazione nazionale delle imprese di trasformazione e distribuzione di prodotti biologici e naturali), e implementato da Nomisma, società di studi economici indipendente specializzata nell’analisi del settore agroalimentare, che da anni si occupa dello studio della filiera del biologico. L’Osservatorio si propone come strumento necessario per individuare i fabbisogni delle imprese che esportano prodotti agroalimentari a marchio biologico, le aree di miglioramento e gli strumenti più idonei a sostenere le imprese, attraverso la raccolta dei numeri chiave dell’export italiano di prodotti agroalimentari a marchio biologico, la definizione dei principali mercati di destinazione, le loro dimensioni e le loro caratteristiche in termini di consumo e il ruolo delle diverse categorie di prodotto esportati.

Nell’anno di EXPO, la grande vetrina internazionale che vede protagonista il biologico e le imprese bio italiane al Padiglione del Biologico e del Naturale all’interno del Parco della Biodiversità, l’area tematica in EXPO progettata e realizzata da BolognaFiere, e in concomitanza con un periodo di crescente sviluppo del biologico italiano, sinonimo di sicurezza alimentare e di qualità, sia nel nostro Paese che in numerose altre nazioni, il monitoraggio dell’agroalimentare biologico italiano all’estero rappresenta una vera e propria chiave strategica a favore degli operatori e delle imprese che avranno così a disposizione dati e analisi sulle opportunità di internazionalizzazione dei prodotti bio all’estero.

Attualmente l’assenza di una classificazione di codici doganali per i prodotti biologici certificati impedisce la rilevazione continuativa dei flussi di import-export; i dati raccolti e i risultati dell’Osservatorio SANA costituiscono un patrimonio informativo unico in grado di dare una risposta alle richieste delle imprese italiane interessate a valutare le opportunità di business che il settore biologico offre nel breve periodo sui mercati esteri e a definire azioni specifiche a sostegno delle imprese esportatrici italiane.

Fonte foto: Nomisma per Osservatorio SANA 2015.