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UN QUINTO DELL’AGRICOLTURA ITALIANA È BIO

UN QUINTO DELL’AGRICOLTURA ITALIANA È BIO

I dati Sinab presentati da Ismea rivelano che le superfici bio arrivano a sfiorare il 19% della Sau del Belpaese con una crescita nel 2022 del 7,5%. Gli operatori toccano quota 93mila (+8,9%)

Balzo inatteso del biologico italiano nel 2022. A confermarlo sono le anticipazioni del rapporto “Bio in cifre 2023” curato per il Masaf dal Sinab, il Sistema di Informazione Nazionale sull’Agricoltura Biologica e presentate a L’Aquila al convegno Ismea “Appuntamento con il Bio”.

Colpo di coda della vecchia Pac

Risultati per molti versi inattesi, perché si riferiscono a un periodo, l’anno scorso, in cui il bio non ha potuto usufruire del favore concesso dalla Farm to Fork e dalla Pac 2023-2027 a questo metodo di produzione.

Lo conferma Fabio del Bravo di Ismea: «C’è molto più ottimismo – ha detto – sulla possibilità di raggiungere l’obiettivo F2F del 25% delle superfici agricole, che il nostro Paese ha anticipato al 2027». Alcune regioni sono infatti già oltre l’obiettivo, alcune sono vicine, altre tremendamente lontane.

Le superfici coltivate a biologico hanno infatti raggiunto l’anno scorso i 2.349.880 ettari, con un incremento del 7,5% rispetto al 2021, portando l’incidenza della superficie agricola utilizzata (Sau) nazionale al 18,7% (+1,3% sul 2021), che si conferma tra le più elevate nella Ue (nel 2021 eravamo al quinto posto dietro Austria, Estonia, Svezia e Portogallo.

Aumento significativo anche per il numero di operatori biologici che hanno toccato quota 92.799, di cui 82.627 è rappresentato da aziende agricole (+ 8,9% rispetto al 2021).

Sei Regioni già oltre il 25%

A livello regionale, da segnalare l’esplosione del biologico in Toscana, che con 35,8% è diventata la prima regione come incidenza di SAU bio, seguita da Calabria, Sicilia, Marche, Basilicata e Lazio, le prime 6 regioni ad aver superato l’obiettivo del 25% contenuto nelle strategie europee.

Anche la zootecnia bio ha evidenziato valori di crescita importanti: +22,5% per gli alveari, 10,5% per i caprini, 9,7% per gli ovini e 8,2% per i bovini.

La nota critica continua ad essere rappresentata da una domanda interna che, nel 2022, ha registrato un incremento modesto del +0,5% rispetto l’anno precedente. Da segnalare però un calo dei volumi, considerando che l’aumento generalizzato dei prezzi a causa dell’inflazione ha determinato la riduzione della capacità di spesa delle famiglie.

In forte calo (-17,1%) risultano invece le importazioni da Paesi terzi. In particolare cala l’importi di cereali (-22%), colture industriali (-25,9%) e oli e grassi vegetali (-30,7%). Un dato che dimostra l’attualità della necessità di un marchio del bio made in Italy, tra gli obiettivi del Piano d’azione.

Consumi fuori casa sempre più green

Il rallentamento della domanda interna, almeno per i volumi, è però mitigato da due tendenze positive. Da un lato, nei canali on-trade, il guadagno di quote di mercato da parte del discount (+14,2% rispetto al 2021), in grado di dare una risposta all’attenzione di risparmio dei consumatori.

Dall’altro la crescita del bio nel canale off-trade, ovvero bar e ristoranti, con un’incidenza degli esercizi che acquistano almeno un prodotto bio che arriva rispettivamente al 54,5% e 68,4%.

Un colpo di coda del bio che riporta in alto il clima di fiducia delle aziende. Un indice Isma che dopo l’assottigliamento del differenziale rispetto al convenzionale registrato negli ultimi 5 anni, torna a pendere decisamente in favore delle aziende bio.

(box) Bio in cifre

  • 2,35 i milioni di ettari (+ 7,5% sul 2021)
  • 800 gli operatori (+8,9%)
  • 3,7 milioni di € (+0,5%) il giro d’affari
  • 54,5% la quota dei bar con prodotti bio
  • 68,4% quella dei ristoranti
  • -17,1% l’import da Paesi terzi
IL BIO CRESCE NEI CONSUMI FUORI CASA

IL BIO CRESCE NEI CONSUMI FUORI CASA

Secondo le indagini Ismea il 50% dei bar e il 70% dei ristoranti propone prodotti certificati

Bio meglio fuori casa che in casa. Mentre i consumi domestici dei prodotti bio segnano per la prima volta una leggera flessione, si scopre, a sorpresa, che nell’ultimo anno oltre il 50% dei bar italiani e quasi il 70% dei ristoranti hanno proposto o impiegato nelle proprie preparazioni culinarie cibi, bevande e materie prime biologiche.

Questo al fine di garantire ai propri clienti una scelta più ampia, servire cibo più salutare e qualificare la propria offerta.

I dati emergono da un’indagine Ismea realizzata in collaborazione con Fipe e Assobio e presentata lo scorso 26 maggio in occasione del convegno “Il biologico nella ristorazione commerciale”.

L’analisi, condotta nei mesi di settembre e ottobre 2022 su un campione rappresentativo di bar e ristoranti nazionali, ha raccolto oltre 2.000 interviste telefoniche ed è – come spiega Fabio Del Bravo, responsabile della direzione servizi per lo sviluppo rurale di Ismea – «La prima di questo genere, che ci ha dato però l’opportunità di allargare il nostro sguardo anche al fuori casa».

«Si tratta di un filone di indagine estremamente interessante, da approfondire periodicamente, perché’ il monitoraggio dell’horeca, anche su aspetti di natura prettamente qualitativa, può fornire, preziosi elementi per orientare le scelte della politica e della filiera».

I dati emersi

Entrando nel dettaglio dell’indagine – presentata da Antonella Giuliano dell’ismea -, dei circa 111 mila bar attivi sul territorio italiano, uno su due ha in parte orientato la propria offerta verso referenze ottenute con metodo biologico, con un’incidenza più elevata nei punti vendita delle città del Centro e Nord Italia e con un numero di addetti superiore a 6.

Mediamente quasi il 20% di alimenti e bevande proposti da questi esercizi è costituito da prodotti bio, con una rappresentatività maggiore per quanto riguarda la frutta, il latte e il vino.

La colazione e l’aperitivo sono stati indicati dagli operatori come le occasioni di consumo più adatte all’inserimento di proposte bio, mentre sul fronte di prezzi, il prodotto biologico viene venduto a quasi il 15% in più rispetto all’omologo convenzionale, a causa dei più alti costi per l’approvvigionamento. dal lato ristorazione.

I dati mostrano un’elevata penetrazione dei prodotti biologici che trovano impiego nei due terzi degli oltre 157 mila ristoranti attivi in Italia.

Percentuali ancora superiori si rilevano al Centro Italia (oltre il 76%) e nel Nord-Ovest (69%), con un progressivo aumento dell’incidenza al crescere del numero degli addetti (dal 60% nei ristoranti con un solo addetto all’81% di quelli con un numero superiore a 49 addetti).

All’interno di questi esercizi, il bio rappresenta oltre il 30% del valore degli acquisti, con punte del 42% nel caso delle verdure e del 34% dell’olio extravergine di oliva.

Differenziale di prezzo al 17%

Anche in questo caso il prodotto bio genera un sovrapprezzo di quasi il 17%, giustificato sempre da un surplus nei costi. contorni e antipasti sono i piatti in cui la presenza di prodotti biologici riesce ad essere più significativa, ma in linea generale, rivelano i ristoratori intervistati, in quasi tutte le portate il biologico riesce ad essere impiegato nel migliore dei modi.

Riguardo alle prospettive dei prossimi due anni, oltre l’80% di ristoranti e quasi la totalità dei bar intervistati dichiara di essere intenzionato a confermare l’attuale politica di acquisto di prodotti bio in termini quantitativi.

Tra i primi il 13,5% potrebbe anche prendere in considerazione, nel lungo periodo, la scelta di diventare un locale esclusivamente biologico, quota che nel caso dei bar si riduce al 6%.

La presentazione dell’indagine è stata l’occasione per dibattere sulle potenzialità e le opportunità offerte dalla ristorazione per lo sviluppo dell’agricoltura biologica, obiettivo fissato dalle politiche europee e nazionali, e della necessaria crescita dei consumi per dare sbocco alle produzioni.

L’agenzia Agrapress ha riportato gli interventi di Pietro Gasparri (masaf), Roberto Zanoni (assobio), Michele Manelli (Salcheto srl), Massimo Lorenzoni (Biotobio srl), Daniela Gazzini (Vivi Bistrot), Luciano Sbraga (Fipe-Confcommercio), Maria Grazia Mammuccini (Federbio).

Un marketing più creativo

È emersa l’esigenza di comunicare al pubblico in modo nuovo il mondo biologico, con idee più creative e veicolate utilizzando molto i social.

Canali di comunicazione devono essere creati anche per informare e formare il mondo della ristorazione, oltre che per ricevere informazioni su gusti e tendenze dei consumatori. inoltre, occorre potenziare la distribuzione per rendere disponibili con continuità i prodotti bio, al fine di migliorare l’offerta della ristorazione, specie per quanto riguarda le carni, ma anche creare alleanze e un’interprofessione che dibatta i temi e presenti le istanze dell’intera filiera ai decisori.

Da parte sua, la ristorazione può svolgere un ruolo attivo nella creazione di tendenze di consumo fuori casa che possono poi trasferirsi nelle abitudini di consumo domestiche.

La presentazione dell’indagine ismea è stato uno dei numerosi appuntamenti del calendario de “La settimana del bio”, prima edizione di un’iniziativa annuale promossa da Assobio che, con finalità di valorizzazione e informazione sul biologico, coinvolge produttori, gdo e le altre associazioni del comparto.

CRESCE IL VIGNETO BIO E PURE L’EXPORT

CRESCE IL VIGNETO BIO E PURE L’EXPORT

La superficie vitata bio è oltre un quinto del totale del vigneto Italia ma Spagna e soprattutto Francia ci tallonano da vicini grazie al migliore tasso di crescita. Di 626 milioni il valore dell’export secondo l’indagine Nomisma -Ice-Federbio

Crescono, in Italia, le superfici dedicate alla produzione di vino biologico, un settore che vede il Paese tra gli attori principali a livello internazionale. È quanto emerge da “Vinobio”, piattaforma online di dati e informazioni per l’internazionalizzazione del vino biologico Made in Italy curata da Nomisma e promossa da Ice Agenzia e FederBio.

Incidenza record

Nel dettaglio con 126mila ettari di vite coltivata con metodo biologico nel 2021, l’Italia detiene il primato per incidenza di superficie vitata biologica, pari al 21% del totale. Nel giro di un decennio – tra il 2010 e il 2020 – le superfici bio in Italia sono cresciute del 141% ma la Spagna ha fatto meglio con un +148% e la Francia addirittura +218% arrivando a tallonarci sui mercati di riferimento.

Il peso nell’export

Il ruolo del vino bio italiano rimane comunque rilevante sui mercati internazionali: secondo le stime di Nomisma ammonta a 626 milioni il valore dell’export nel 2021 (+18% rispetto al 2021) e un peso sul totale dell’export vitivinicolo italiano (bio + convenzionale) pari all’8%.

Germania e Scandinavia destinazioni top

Per quanto riguarda i mercati presidiati, dall’ultima indagine condotta da Nomisma per Ice Agenzia e FederBio su 110 imprese vitivinicole italiane, è quello della Germania il mercato di destinazione principale (67% delle aziende vitivinicole bio lo indica come primo mercato di riferimento), seguita dai Paesi Scandinavi (61%). Al di fuori dei confini comunitari, invece, la fanno da padrone Svizzera, Stati Uniti e Regno Unito, seguiti da Canada e Giappone. Negli ultimi tre mesi, in particolare, Nomisma ha condotto due indagini sui consumatori svedesi e giapponesi: nel Paese scandinavo, in base ai numeri raccolti, l’Italia è leader assoluto con un peso sul totale delle vendite di vino bio del 42% sia a valore che a volume mentre in Giappone il dato si attesta sul 10%. Tuttavia l’Italia si trova al secondo posto, dietro la Francia, tra i produttori di vino di maggiore qualità a giudizio dei consumatori nipponici.

IL BIOLOGICO CONTINUA A CRESCERE

IL BIOLOGICO CONTINUA A CRESCERE

Operatori e controlli: i dati tendenziali italiani relativi al 2022 presentati in anteprima da Assocertbio a B/Open danno segnali di ripresa, ma il ritmo è ancora insufficiente per rispettare gli obiettivi della Farm to Fork. Le proposte per evitare l’impasse

Segnali positivi per il comparto del biologico da B/Open. La kermesse dedicata al biologico certificato, ospitata per la prima volta all’interno del salone Sol&Agrifood, in concomitanza con Vinitaly, ha infatti esordito con il workshop “La crescita del biologico e i consumi fuori casa: sinergie per la sostenibilità”.

Durante l’incontro il presidente Riccardo Cozzo ha presentato i dati tendenziali relativi al 2022 elaborati da Assocertbio.

Il polso della situazione nei dati Assocertbio

La base sociale dell’Associazione nazionale degli Organismi di Controllo e Certificazione del Biologico, di cui Suolo e Salute è membro fondatore, è attualmente composta da 13 Organismi di controllo, che rappresentano il 94% del totale del settore.

Gli operatori certificati dei membri di Assocertibio sono stati 86.277 nel 2022, di cui 63.566 produttori esclusivi, 12.888 produttori/preparatori; 9.290 preparatori esclusivi e 533 importatori. I controlli totali sono stati 108.852; 13.150 le visite in loco non annunciate; 7864 i campionamenti.

I numeri

La proiezione di questo importante campione sul totale dell’universo bio italiano spinge a stimare un totale di:

  • 784 operatori presenti in Italia nel 2022,
  • con una crescita rispetto all’anno precedente di 5.640 unità;
  • che in percentuale rappresenta una crescita del 6,55%.

L’incremento maggiore è quello dei produttori esclusivi (+8,29%); mentre i preparatori rimangono pressochè stazionari (+1,7%).

Superfici ancora insufficienti per l’obiettivo

L’incremento di superficie stimato è però contenuto al 4,31% di sau bio. Si tratta di un incremento decisamente superiore rispetto a quello registrato nel 2021, ma secondo Cozzo ancora insufficiente e rispettare gli impegni dichiarati dal nostro paese di anticipare di tre anni il target del 25% fissato dalla Farm To Fork. Con questo ritmo di crescita a dicembre 2027 mancherebbero infatti ancora circa 300mila ettari per centrare l’obiettivo.

Effetto concentrazione

Anche perché, a pesare sulle performance del settore, incide la tendenza alla fuoriuscita dal sistema delle aziende più piccole. «Si assiste – commenta Cozzo – ad una concentrazione del bio, con una crescita della quota di operatori controllati con superfici  oltre i 15 ettari (pari oggi al 27%, mentre l’anno scorso erano fermi al 25%) e alla stabilità delle realtà oltre i 50 ettari (26%)».

Il peso di una burocrazia eccessiva

Calano invece gli operatori con superfici aziendali inferiori ai 15 ettari (dal 49 al 47% del campione in un solo anno). È il presumibile effetto delle crisi internazionali ma soprattutto di un peso burocratico che incide particolarmente sulle realtà meno strutturate.

Secondo Cozzo, «la revisione del Dlgs 20/2018 e i Decreti attuativi previsti dalla legge nazionale sull’agricoltura biologica possono quindi rappresentare non solo una opportunità per un miglioramento dell’efficienza del Sistema di Controllo e Vigilanza, ma anche l’occasione per individuare azioni di semplificazione per ridurre un carico burocratico che frena l’ingresso (e la permanenza) di operatori nel Sistema». «Una tendenza su cui incide anche la stretta dell’apparato sanzionatorio previsto sempre dal Dlgs 20/2018».

Il Governo sta elaborando uno specifico Piano d’azione in favore del settore del biologico. «Può essere l’opportunità – conclude Cozzo – per individuare delle strategie atte ad aumentare i consumi di ingredienti e prodotti biologici nel nostro Paese (vedi articolo precedente riguardo ai consumi fiori casa), ma anche per mettere in atto degli strumenti utili ad innalzare i tassi di crescita e rendere meno lontani gli obiettivi del 25% della Sau bio».

BIO, GODIAMOCI I DATI DEL 2021

BIO, GODIAMOCI I DATI DEL 2021

Il report “The World of Organic Agriculture” di Fibl e Ifoam testimonia la crescita degli indicatori di superficie e di mercato anche in questo anno. Si sa già però che nel 2022 il bioritmo del bio ha rallentato.  Quello in corso è però l’anno della prima attuazione della strategia Farm to fork e dell’auspicato avvio del piano d’azione di settore, in attesa che arrivino notizie positive dal “fronte orientale” per rivitalizzare i consumi

Godiamoci i dati del 2021. Il quadro che emerge del 24° report “The World of Organic Agriculture ” (clicca qui per scaricare il rapporto), curato dall’Istituto svizzero di ricerca sull’agricoltura biologica Fibl in collaborazione con Ifoam, la Federazione delle associazioni del biologico a livello mondiale son infatti tutti estremamente positivi.

I dati presentati a Norimberga

I dati presentati all’ultima edizione del Biofach evidenziano trend di crescita in tutti i fondamentali del bio e ciò vale in particolare per il Vecchio Continente, dove il mercato cresce di quasi il 4%, raggiungendo i 54,5 miliardi di euro. Nel 2021, altri 0,8 milioni di ettari sono stati convertiti al biologico, +4,4% rispetto al 2020, portando la superficie agricola europea coltivata a bio a 17,8 milioni di ettari (nell’Unione europea: 15,6 milioni di ettari).

Italia al terzo posto

Su questo specifico parametro, l’Italia si posiziona al terzo posto con i suoi 2,2 milioni di ettari, dietro la Francia, salita al primo posto con quasi 2,8 milioni, seguita dalla Spagna con 2,6 milioni. I terreni agricoli biologici arrivano nel 2021 al 9,6% della Sau dell’Unione Europea. L’Italia si aggiudica il gradino più alto del podio per quanto riguarda il numero dei produttori bio con oltre 75mila operatori sui 440mila attivi in Europa.

Consumi inibiti

Sul fronte dei consumi, nel 2021, la spesa media per i prodotti bio è stata di 65,7 euro pro capite registrando un sostanziale raddoppio nel decennio 2012-2021. Le vendite 2021, tuttavia, hanno subito un rallentamento, evidenziando un incremento del 3,8%, molto inferiore rispetto al +15% registrato l’anno precedente e per quanto riguarda il 2022 sappiamo di doverci aspettare un ulteriore rallentamento, in attesa che le strategie Farm to Fork e Biodiversità 2030 producano i loro frutti riguardo alla struttura produttiva. E magari che il piano di azione di settore, accompagnato da notizie positive sul “fronte orientale”, producano importanti effetti distensivi sul lato della domanda.

«FATTO IL GOVERNO, SI ATTUI IL PIANO D’AZIONE SUL BIO»

«FATTO IL GOVERNO, SI ATTUI IL PIANO D’AZIONE SUL BIO»

Aiab chiede a ministro e sottosegretari di non indugiare sulla realizzazione delle attività di promozione sui mercati e di aiutare le aziende bio snellendo la burocrazia e favorendo l’accesso al credito

«Il biologico, settore in cui l’Italia è leader, è uno strumento fondamentale per uscire dalle diverse crisi, quella ambientale, quella economica e sociale». «È anche la strada da intraprendere per sostenere le crisi internazionali, come quella che stiamo fronteggiando con il conflitto in Ucraina, puntando su sistemi di produzione più indipendenti da input esterni e più resilienti e allo stesso tempo in grado di prendere con decisione la strada della transizione ecologica».

È quanto dichiara Giuseppe Romano, presidente dell’Associazione italiana agricoltura biologica (Aiab), evidenziando alcune proposte al neo-ministro dell’Agricoltura e della sovranità alimentare, Francesco Lollobrigida, e ai nuovi sottosegretari che hanno giurato il 2 novembre, «con l’intenzione di collaborare allo sviluppo del settore biologico».

L’impatto della crescita dei costi energetici

«Nonostante questo – aggiunge il presidente Aiab – le aziende bio sono in difficoltà, a causa dei costi energetici e dei costi di produzione che devono sostenere. Chiediamo perciò al nuovo ministro l’immediata attuazione del Piano d’azione nazionale sul bio, in particolare del marchio biologico italiano Made in Italy Bio, che può favorire la realizzazione di filiere di biologiche 100% nazionali e al giusto prezzo, per valorizzare la qualità italiana e affermarla verso l’export».

Sostenere le aziende

«Chiediamo inoltre di favorire il sistema di assistenza tecnica. innovazione, ricerca, formazione degli agricoltori, per aumentare in quantità e qualità le produzioni e favorire la conversione al biologico, snellendo la burocrazia e favorendo l’accesso al credito per gli investimenti».

«Rimane strategica inoltre- conclude Romano- l’attività di comunicazione e informazione ai cittadini sui valori ambientali dei prodotti bio, un altro modo per promuovere le eccellenze alimentari italiane e garantire la qualità del prodotto e l’etica nella filiera di produzione».