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L’OTTIMISMO DELL’AMBIENTALISMO

L’OTTIMISMO DELL’AMBIENTALISMO

Produrre in maniera sostenibile sprecando meno risorse: una semplice formula resa possibile dall’affermarsi di movimenti come quello dell’agricoltura biologic ache stanno rendendo molto più leggero l’ impatto sul nostro Pianeta. Alcune cifre

Fiato alle trombe. La concomitanza della crisi sanitaria da Covid, della crisi geopolitica Ucraina e della crisi energetica per le sanzioni contro la Russia ha dato l’occasione a molti detrattori di mettere in discussione l’efficacia delle azioni intraprese dai movimenti ambientalisti in difesa dell’ambiente e di un’agricoltura pulita. La celebrazione della Giornata della Terra offre l’occasione per un’approfondita analisi. E il risultato fornisce solide basi per confutare il pessimismo dei detrattori.

Più con meno

Negli Stati Uniti, nel suo libro “More From Less” Andrew McAffee del MIT di Boston ammette che grazie alla maggiore attenzione all’ambiente abbiamo imparatoa camminare più alla leggera sul pianeta.

Negli anni ’70 previsioni come quelle di Pete Gunter, un professore universitario del Texas, stimavano che entro l’anno 2000 «il mondo intero, ad eccezione dell’Europa occidentale, del Nord America e dell’Australia, sarà in carestia». A quel tempo, infatti, il 34% dei Paesi in via di sviluppo era denutrito. Ora la percentuale è scesa al 13%,  nonostante la popolazione mondiale sia raddoppiata. Cosa è successo? Secondo McAffee, invece di abbandonare la crescita economica abbiamo fatto qualcosa di più profondo: la crescita economica disaccoppiata dall’uso delle risorse grazie all’attenzione al produrre meglio, ma con meno.

Quattro progressi nel Regno Unito

Un’analisi che non vale solo agli States, ma può essere applicata anche all’Europa. Mary Wakefiels, editorialista del settimanale inglese The Spectator ci ha provato con la realtà economica del suo Paese (con considerazioni applicabili anche all’Italia), scoprendo che le cose dal punto di vista ambientale vanno bene o per lo meno stanno decisamente migliorando:

  1. Crollo dell’inquinamento atmosferico nel Regno Unito. L’aria è più pulita oggi che mai dall’era preindustriale. Il peggior inquinante, il biossido di zolfo, è diminuito del 98% dalla Giornata della Terra del 1970. I PM (particolato inquinante, ovvero NO2, PM2,5 e PM10) sono in calo dell’80%. Un effetto legato alla Maggiore attenzione ambientale (ma anche alla Maggiore delocalizzazione in Cina);
  2. Agricoltura più sostenibile. L’utilizzo di mezzi tecnici è stato notevolmente contenuto. Fertilizzanti come il nitrato ammonico, ad esempio, costituivano un grosso problema, potendo inquinare I fiumi attraverso le percolazioni. Il suo utilizzo ha raggiunto il picco negli anni ’80 e da allora la quantità totale di azoto immesso nei campi è diminuita del 39% e quella di fosfato addirittura del 66%. Nel complesso la produttività agricola inglese è rimasta più o meno costante e anzi la produzione agricola complessiva è in realtà aumentata del 5%;
  3. Minori consumi energetici. Il consumo annuo di energia nel Regno Unito è diminuito del 31% dal 2001 e l’economia del Regno Unito è cresciuta del 33% nello stesso periodo di tempo. Questo è un classico esempio di disaccoppiamento: si fa di più ma con molta meno energia tanto che il consumo interno totale di energia primaria è sceso dall’equivalente di 236 milioni di tonnellate di petrolio equivalente nel 2001 a 191 milioni di tonnellate nel 2018 (meno 19%);
  4. Minore impronta di carbonio. In Inghilterra e negli altri paesi europei si viaggia meno: il ​​numero di miglia percorse in questo Paese ha raggiunto il picco nel 2002 e da allora è diminuito del 9% con un ulteriore calo post Covid per effetto di innovazioni come il lavoro digitale e nel frattempo le automobili sono diventate più efficienti, macinando più chilometri con meno carburante;

Grazie a questi risutati le emissioni di carbonio procapite , dopo avere raggiunto il picco nel 1973, sono progressivamente scese tanto che oggi in Inghilterra sono al di sotto del livello del 1860.

Un merito da attribuire alla maggiore attenzione dei consumatori che oggi possono scegliere cosa mangiare e cosa fare produrre grazie all’affermazione di movimenti come quello dell’agricoltura biologica.

EARTH OVERSHOOT DAY 2021: SIAMO OSPITI INGOMBRANTI CHE POSSONO (ANCORA) AGIRE

EARTH OVERSHOOT DAY 2021: SIAMO OSPITI INGOMBRANTI CHE POSSONO (ANCORA) AGIRE

Siamo ospiti, recita il titolo di una canzone contemporanea, ma se potessimo aggiungere un aggettivo che qualifica il nostro modo di esserlo, sarebbe ingombranti.

Siamo ospiti ingombranti che il 29 luglio hanno già esaurito le risorse biologiche che gli ecosistemi del pianeta possono rinnovare nell’arco dell’intero anno.

Ad annunciarlo è la consigliera Susan Aitken, leader del consiglio comunale di Glasgow, portavoce per la Global Footprint Network e per SEPA – Agenzia scozzese per la protezione dell’ambiente.

Siamo già in debito di risorse alimentari, CO2, spazio occupato e di tantissimo altro.

Siamo ospiti bizzarri anche, perché a questa faccenda dell’esaurimento delle risorse, abbiamo dato un nome: Earth Overshoot Day. Letteralmente, Giorno dell’over sfruttamento della Terra.

Nomi che servono, come a ricordare: “che siamo nella morsa di un’emergenza climatica ed ecologica”, sottolinea Susan Aitken.

Ma la storia si ripete, poiché nel 2019 l’Overshoot day era scattato esattamente lo stesso giorno. Come monito questa volta, che due anni e una Pandemia non sono stati sufficienti a contenere il nostro modo di essere ospitati da questo pianeta, o addirittura comprendere, che non ne siamo i padroni.

Nel 2020 infatti, la biocapacità forestale complessiva è calata dello 0,5%.
4,2 milioni di ettari di foresta primaria tropicale umida – cruciale per la custodia della biodiversità –, sono andati distrutti. Foresta diffusa prevalentemente in Brasile e nella Repubblica Democratica del Congo.

La ripresa delle attività economiche principali nel 2021, ha comportato un aumento delle emissioni di CO2 legate al consumo di energia, quasi del 5%; si rende sempre più necessario il contenimento del carbone, combustibile fossile di grande impatto (40%) nel contributo alle emissioni di CO2.

Alcune varianti attuali rispetto al 2019, causate dalla Pandemia ancora presente, sono: la riduzione delle emissioni legate ai voli soprattutto internazionali (33% in meno) e più in generale, ai trasporti di tipo stradale (5 % in meno).

Se proviamo a stilare una classifica dei paesi “più ingombranti”, ovvero quelli che consumano maggiormente su questo pianeta: in pole position troviamo gli Stati Uniti, che hanno esaurito le risorse annue già il 14 marzo 2021. Lo seguono Australia, Corea del Sud, Russia e Italia.

Secondo un calcolo effettuato, servirebbero ben 1,7 pianeti per soddisfare la voracità con cui gli esseri umani consumano risorse primarie all’interno dell’universo.

Di contro, esistono paesi che riescono in qualche modo a contenere i consumi: tra questi spicca la Colombia, Cuba e il Nicaragua. Una concentrazione di stati del centro e sud America, che con i suoi dati, contribuisce all’emersione del divario delle modalità di utilizzo delle risorse e del procedere delle economie dei paesi.

E a proposito di dialogo tra differenti modelli, forte è l’attesa per la Conferenza delle Parti sul cambiamento climaticoCop 26, appuntamento in programma a Glasgow, atteso come momento di occasione prezioso per la finalizzazione di un’azione collettiva contro i cambiamenti climatici.

In quest’ottica, il 29 luglio, ha visto il lancio della campagna dal titolo “100 days of possibility”.

L’iniziativa prevede la pubblicazione, sul sito dell’Earth Overshoot day, di una soluzione concreta al giorno per invertire la rotta del sovrasfruttamento delle risorse.

L’obiettivo è ritardare così, la data dell’overshoot – annualmente registrata, a mo’ di campanello d’allarme del nostro modo di “consumare” il pianeta -.

Azioni tangibili dunque, per prevenire fenomeni frequenti come lo spreco alimentare. Piccole grandi iniziative rivoluzionarie, quali la produzione di cemento low carbon, la promozione dell’ecoturismo, una rivisitata gestione dei gas refrigeranti.

Siamo ospiti agenti, che possono farsi trovare preparati. Determinante, sarà la velocità d’organizzazione che dimostreremo da questo momento in poi.

 

Fonte: Lifegate

NUOVA PAC: RAGGIUNTO L’ACCORDO PROVVISORIO, EMERGE LO SCONTENTO DI AMBIENTALISTI E AGRICOLTORI BIOLOGICI

NUOVA PAC: RAGGIUNTO L’ACCORDO PROVVISORIO, EMERGE LO SCONTENTO DI AMBIENTALISTI E AGRICOLTORI BIOLOGICI

Sono contrastanti le reazioni generate dall’esito dell’intesa per la formulazione della nuova PAC europea, che andrà in vigore nel 2023.

L’accordo, non ancora definitivo, è stato raggiunto per collaborazione della Commissione, del Consiglio e del Parlamento europeo. Parlamento, che dovrà accordare una conferma finale affinché l’intesa diventi ufficiale.

Il Ministro italiano delle Politiche Agricole, Stefano Patuanelli, ha espresso sostegno e soddisfazione, rispetto agli esiti e ad alcune conquiste realizzate all’interno della nuova PAC; dello stesso parere si è manifestata Julia Klöckner, ministra tedesca, condividendo il sicuro apporto di miglioramento, da parte dei nuovi standard raggiunti in tema ambientale, all’interno dell’accordo.

Meno entusiasta è stato il fronte ambientalista, che sottolinea una distanza minima della nuova proposta di PAC, rispetto ai modelli precedenti, su temi cruciali quali: le facilitazioni destinate all’agricoltura intensiva a discapito delle piccole realtà, che tentano un’impronta agricola sostenibile, portata avanti a fatica.

L’accordo non rende giustizia all’urgente necessità di agire nella crisi ecologica e in agricoltura, afferma il Presidente dell’organizzazione per la conversazione della natura, J.A.Krüger.

Sono di idea similare, gli europarlamentari Verdi, speranzosi in un marcia indietro del Parlamento, rispetto all’ok finale sull’accordo. Questi denunciano uno slegamento tra il perseguimento degli obiettivi del Green Deal e un terzo del bilancio dell’UE della nuova PAC, per quanto riguarda il minor uso di pesticidi, la tutela della biodiversità e altre misure necessarie.

Già a partire dalla creazione degli Ecoschemi, l’architettura verde della nuova PAC si rivela un’operazione di greenwashing: in cui le azioni green legate alla protezione dell’ambiente, vengono snaturate nei contenuti e marginalizzate, sottolinea Eleonora Evi, parte del gruppo dei Verdi.

A proposito degli Ecoschemi, gli agricoltori biologici denunciano l’impossibilità per la loro attività di accedere a tutte le tipologie previste, come invece accade per le altre aziende agricole.

Inoltre, la natura volontaria degli ultimi regolamenti biologici introdotti, fa sì che la loro applicazione, sia determinata dal modo in cui, gli Stati membri, definiranno le misure dei regolamenti a livello nazionale.

 

Fonte: Cambia la terra

LA TERRA SANA AL CENTRO, UNA PIANIFICAZIONE A PARTIRE DALLA GIORNATA PER LA LOTTA ALLA DESERTIFICAZIONE E ALLA SICCITÀ

LA TERRA SANA AL CENTRO, UNA PIANIFICAZIONE A PARTIRE DALLA GIORNATA PER LA LOTTA ALLA DESERTIFICAZIONE E ALLA SICCITÀ

Con l’intento di rispondere alla domanda sempre più incalzante di cibo, beni materiali, abitazioni e strade su cui costruire, l’essere umano ha finito per trasformare in qualcosa di molto diverso dalla natura originaria, quasi tre quarti della superficie terrestre.

A ricordarlo è il segretario generale dell’Onu, António Guterres, in occasione del 17 giugno, giornata scelta per onorare la Lotta alla desertificazione e alla siccità nel mondo.

“Dobbiamo fare pace con la natura  a partire da oggi, in cui mettiamo la terra sana al centro della nostra pianificazione”, è questo il messaggio fondamentale di Guterres, che racconta come sia il degrado del suolo, causato dall’agricoltura intensiva  e dall’espansione delle città, a minare il benessere di 3,2 miliardi di persone nel mondo e a favorire l’insorgere delle zoonosi: quelle malattie che passano dagli animali all’uomo e che tanto ci stanno condizionando; provocate soprattutto dall’alterazione della biodiversità originaria.

Fenomeni come desertificazione e siccità aumentano anche la scarsità d’acqua, effetto che potrebbe provocare la migrazione di 135 milioni di persone nel mondo, entro il 2030. Un evento non privo di sollecitazioni di conflitto e di instabilità; per questa ragione, mettere al centro la terra sana per evitare la desertificazione, è un’azione che ha a che fare con la ricostituzione di un assetto di pace oltre che di salvaguardia ambientale del pianeta.

In occasione de l’High level Dialogue on Desertification, Land Degradation and Drought, sono state definite alcune priorità per quello che riguarda il prossimo decennio: tra queste, l’obiettivo di porre fine al fenomeno della deforestazione illegale, affrontare la crisi climatica e rafforzare le soluzioni di recupero dalla pandemia da Covid-19.

L’approccio che sottende la risoluzione di queste problematiche, è quello incentrato sulla terra e sulle risorse territoriali pensate come capitale naturale.

16 trilioni di dollari sono stati finora investiti nei programmi di ripresa dalla pandemia: se la collettività investisse annualmente anche solo un quinto di tale importo, si potrebbero trasformare entro dieci anni le economie globali in economie verdi – che pongano come valore di base, la sostenibilità – , creando 400 milioni di nuovi posti di lavoro green e oltre 10 trilioni di dollari di valore aziendale annuo.

L’abitudine ormai acquisita ad un consumo e a una produzione alterati, va modificata, le conseguenze potrebbero altrimenti condurre ad un aumento della produzione agricola nell’Africa subsahariana e in America centrale e meridionale, in risposta a un incremento della crescente richiesta alimentare.

Ciò comporterebbe 300 milioni di ettari di terra da disboscare entro 30 anni e un declino della biodiversità globale del 6%; un’emissione di 32 gigatoni di carbonio nell’atmosfera e un declino della salute del suolo con conseguenze climatiche importanti.

A sostenere questa visione è il rapporto The global potential for land restoration: Scenarios for the Global Land Outlook 2”, realizzato dalla PBL Netherlands Environmental Assessment Agency, che tuttavia fornisce un piano di risoluzione e recupero.

Il rapporto sottolinea infatti che un miglioramento della gestione del territorio consentirebbe il ripristino di più di 5 miliardi di ettari di terreno; questa operazione condurrebbe a un aumento del 9% dei raccolti, a una buona capacità di ritenzione idrica del suolo e a una riduzione importante di rilascio di gas serra e maggiore stoccaggio del carbonio.

Il piano proposto, potrebbe ridurre la perdita di biodiversità di quasi un terzo, ma la sua realizzabilità potrà verificarsi solo attraverso una incisiva azione e coesione da parte dei principali leader mondiali.

Fonte: Green report

RIPRISTINIAMO LA NOSTRA TERRA: IL RUOLO DELLE AZIENDE AGRICOLE NELLA SALVAGUARDIA DEL PIANETA

RIPRISTINIAMO LA NOSTRA TERRA: IL RUOLO DELLE AZIENDE AGRICOLE NELLA SALVAGUARDIA DEL PIANETA

È appena trascorsa la Giornata della Terra, la data scelta per onorare l’ambiente e la salvaguardia del pianeta, che ricorre ogni 22 aprile, un mese e un giorno dopo l’Equinozio di Primavera.

Il tema di quest’anno è stato significativo. La parola chiave è stata Restore, in particolare, “Restore Our Earth” cioè ripristiniamo la Nostra Terra e assumiamoci la responsabilità della sua cura come del suo equilibrio.

Ma che peso e che ruolo hanno le aziende agricole nella gestione e salvaguardia del pianeta?

Più del 65% della superficie italiana è affidata alla gestione delle imprese, tra superficie agricola utilizzata (42% ovvero 12,8 milioni di ettari) e superficie forestale (36% ovvero 11 milioni di ettari); quest’ultima in forte crescita.

Il settore primario, racconta Confagricoltura, viaggia nella consapevolezza del ruolo centrale che l’impresa agricola assume, attraverso produzioni nutrienti e nel mantenimento di superfici sane, di fronte a fenomeni quali il cambiamento climatico e nella lotta verso la sua mitigazione. In assenza di quest’ultima, vi sarebbero conseguenze quali l’aridità dei suoli, cioè la perdita di fertilità e sostanza organica, risorse fondamentali sempre meno disponibili, e l’inasprirsi dei fenomeni metereologici. In tutto questo l’agricoltura biologica gioca un ruolo di primo piano.

L’ISPRA segnala nel suo ultimo rapporto che l’agricoltura ha ridotto le emissioni di ammoniaca di circa il 25% tra il 1990 e il 2019, del 17% quelle di gas serra, del 30% quelle di PM10.

Altro settore d’interesse legato all’agricoltura riguarda il fronte delle tecnologie verdi, con investimenti legati alla bioeconomia, nella produzione di biomateriali e bioprodotti, evolvendo le tecniche di gestione dei suoli per esempio nella gestione forestale sostenibile e nell’assorbimento di CO2, al fine di contribuire alla prevenzione del dissesto idrogeologico e al presidio delle aree rurali e interne italiane.

Da non sottovalutare è l’impatto che la transizione verso l’agricoltura biologica giocherà sull’agricoltura mondiale in un momento storico che non ha precedenti dal punto di vista dei rischi che il pianeta sta correndo. Ben oltre la metà dei terreni agricoli del mondo è a rischio di contaminazione da chimica di sintesi.

Lo ha dimostrato lo studio elaborato dall’Università di Sydney: questo riporta che il 64% dei terreni agricoli nel mondo (24,5 milioni di km quadrati) sono a rischio di inquinamento da pesticidi, il restante 31% risulta già ad un livello di rischio avanzato. Quest’ultima percentuale, comprende regioni ad alta biodiversità, aree con scarsità d’acqua e nazioni con un reddito medio basso. Analizzando il rischio di inquinamento, sarebbe causato da 92 sostanze chimiche utilizzate solitamente nei pesticidi agricoli (59 erbicidi, 21 insetticidi, 19 fungicidi) per il suolo, l’atmosfera, le acque superficiali e sotterranee in 168 paesi. Il risultato dell’analisi ha dimostrato che il 61,7% dei terreni agricoli europei rientra tra quelli a rischio elevato.

È necessario dunque passare all’azione di Ripristino della Terra con forte urgenza, tenendo bene a mente, che se l’Agricoltura cosiddetta convenzionale ha per obiettivo il nutrimento della pianta, al fine di aumentare la resa dei prodotti; l’Agricoltura biologica invece, lavora per nutrire la Terra, tutelarne la fertilità, la biodiversità presente al suo interno, per garantire cibo sano e una stabilità di produzione che soddisfi il presente tenendo conto però di chi verrà dopo, nel futuro.

In questa seconda ottica, è opportuno agire tempestivamente, o come dicevano gli antichi romani: Nulla interposita mora (Senza frapporre indugio).

 

Fonte: Wine News

RISCALDAMENTO GLOBALE, ANCORA LUNGA LA STRADA VERSO L’ACCORDO DI PARIGI

RISCALDAMENTO GLOBALE, ANCORA LUNGA LA STRADA VERSO L’ACCORDO DI PARIGI

Secondo il dossier “Running hot: accelerating Europe’s path to Paris” stilato attraverso una ricerca condotta da Cdp Europe – organizzazione no profit finanziata dall’Unione Europea – e Oliver Wyman – società di consulenza strategica globale controllata dal gruppo Marsh & McLennan – , meno di un’azienda europea su 10 ha obiettivi di riduzione dell’emissione di gas serra, tali da rispettare l’impegno preso dagli Stati Membri dell’Ue nell’accordo di Parigi, ovvero sotto i 2 °C.

La ricerca si basa sui dati forniti da un campione di 974 imprese europee. Più della metà di queste (56%) dichiara di avere già in atto un piano di transizione ecologica. Di questa porzione, il 75% delle imprese fa parte del settore energetico. Le aziende più avanti nel processo e più virtuose dal punto di vista della decarbonizzazione, hanno riportato riduzioni del 15% rispetto allo scorso anno.

Ma, uno dei perni centrali relativi alla questione, riguarda il fronte economico e in particolare il rapporto tra le banche, gli istituti finanziari e le imprese in oggetto.

La ricerca stima che il 95% di tutti i prestiti alle imprese in Europa provengono da istituti finanziari che intendono allinearsi all’Accordo di Parigi.

È tuttavia stato registrato un divario di 4 trilioni di euro tra i finanziamenti che le banche e le società finanziarie hanno stimato di emettere in linea con l’accordo di Parigi (offerta) e la richiesta reale di finanziamenti da parte delle aziende (domanda).

Questi 4 trilioni comprendono le aziende che non raggiungono i requisiti di emissione minimi per accedere ai finanziamenti, quelle che probabilmente li raggiungono ma non dichiarano i dati realivi è infatti un grosso problema di trasparenza all’interno del settore – e altre ancora, che ottengono i finanziamenti attraverso vie alternative, più vantaggiose rispetto ai tassi di interesse previsti dall’accordo di Parigi.

La questione è complessa, ma in uno scenario di accelerazione e raggiungimento degli obiettivi previsti dall’Accordo di Parigi entro il 2030, è necessario mutare il passo in uno più adeguato alle tempistiche ed eventualmente rendere accessibili i finanziamenti a tasso agevolato. Quest’ultima azione al fine di indurre le aziende europee ad incentivare il cambiamento green, condizionato a un livello di trasparenza relativo ai dati di emissione all’interno del settore.

 

Fonte: Cambia la terra