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VERTICAL BIO, GIUSTIZIA È FATTA

VERTICAL BIO, GIUSTIZIA È FATTA

Assolti dal Tribunale di Pesaro tutti i 23 imputati e le sei aziende messe sotto accusa per importazione e commercio di derrate che la Procura ipotizzava falsamente bio. Termina nel migliore dei modi una vicenda giudiziaria ultradecennale che aveva innescato un’immotivata gogna mediatica. Alessandro D’Elia (Suolo e Salute): «Da vicende come questa si traggano utili insegnamenti per tutelare meglio, in futuro, la reputazione del biologico italiano». Maurizio Cannistraro (Avvocato del Foro di Siracusa): «Il castello accusatorio è crollato alla prova dei fatti»

«Giustizia è fatta: il buon nome del biologico italiano è salvo».

«Ora però serve un maggiore impegno in comunicazione per tutelarne la reputazione all’estero, macchiata dalla gran cassa suonata attorno a vicende che hanno determinato oltre 10 anni di accanimento contro aziende e operatori biologici seri e motivati».

Lo afferma il direttore generale di Suolo e Salute Alessandro D’Elia in seguito all’esito positivo dell’inchiesta Vertical Bio.

Tutti assolti

Il collegio del Tribunale di Pesaro ha infatti assolto il 16 dicembre tutti i 23 imputati e le 6 società coinvolte nell’indagine avviata nel lontano 2013 dalla Procura del capoluogo marchigiano che ipotizzava una truffa addirittura da 32 milioni di euro.

Sotto l’attenzione del pool coordinato dal Pubblico Ministero Silvia Cecchi era finita l’importazione e il commercio di 350 mila tonnellate di mais, soia, grano, colza e semi di girasole destinati principalmente all’alimentazione zootecnica. Derrate falsamente bio secondo l’accusa.

Una vicenda che risale a oltre 13 anni fa

I fatti contestati risalgono al periodo dal 2009 a gennaio 2014 e riguardavano l’importazione di derrate alimentari certificate biologiche da alcuni Paesi dell’Est Europa e Asia per un fatturato complessivo di 126 milioni di euro. Il provento illecito era stato calcolato in 32 milioni, dei quali 23 sequestrati dalla Finanza e che ora dovranno essere restituiti ai legittimi proprietari.

Al termine dell’udienza preliminare erano stati rinviati a giudizio 23 operatori per l’ipotesi di reato di associazione a delinquere transnazionale finalizzata alla frode nell’esercizio del commercio. Sul banco degli imputati era stata messa un’intera filiera produttiva che comprendeva due enti di certificazione italiani e sei aziende di trasformazione bio che avrebbero dovuto rispondere anche di illecito amministrativo, perché il reato sarebbe stato commesso nel loro interesse.

Il buon nome del biologico

Operatori e società che hanno dovuto affrontare un lungo periodo di difficoltà economiche e finanziarie e di crisi personali a causa della gogna mediatica accesa attorno a questa vicenda. Un castello accusatorio crollato la scorsa settimana in seguito alla sentenza di assoluzione emessa dal Tribunale di Pesaro.

«Abbiamo sempre avuto fiducia nella Giustizia – commenta Angelo Costa, presidente di Suolo e Salute – la storia del nostro ente di certificazione affonda le radici nelle profonde motivazioni etiche e ambientali dell’omonima Associazione creata nel 1969 dal professor Francesco Garofalo, docente di fitoiatria dell’Università di Torino». «Raccogliamo l’eredità di uno dei primi movimenti che hanno portato alla nascita della virtuosa esperienza dell’agricoltura biologica italiana. Il buon nome del bio italiano e la nostra reputazione non potevano essere messi in discussione procedimento giudiziario».

Un castello accusatorio crollato alla prova dei fatti

«C’è da esprimere profonda soddisfazione – afferma l’avvocato Maurizio Cannistraro, del Foro di Siracusa e difensore di Suolo e Salute e di altri imputati – per l’esito positivo di una vicenda giudiziaria che ci ha tenuti impegnati negli ultimi anni anche con la celebrazione di due udienze a settimana».

«Si è chiusa – continua l’avv.  Cannistraro – una stagione (che ha avuto formale inizio il 10 aprile 2013) di aspro confronto che non è rimasto confinato nelle aule giudiziarie, ma che ha imperversato sugli organi di informazione non solo italiani ma di tutta Europa».

«L’inspiegabile – prosegue l’Avvocato – duplicazione del nome dell’indagine, denominata dapprima Green War e poi Vertical bio, ha finito infatti solo per raddoppiare l’attenzione mediatica sulla vicenda, danneggiando la reputazione del biologico italiano soprattutto all’estero».

L’avv. Cannistraro evidenzia anche come il procedimento giudiziario abbia avuto una fase di indagini preliminari abnormemente lunga, «con sequestri cautelari di ingente rilievo economico e di significativo impatto sulla vita degli indagati (basti considerare che due storiche aziende coinvolte nell’indagine sono state costrette in questo lungo lasso di tempo a dichiarare fallimento…), oltre alla gogna mediatica determinata da uno stillicidio di articoli, comunicati e conferenze stampa».

«Dopo 59 udienze istruttorie – stigmatizza l’Avvocato – tenutesi in circa 4 anni (covid incluso), l’impianto accusatorio ipotizzato dal Sostituto Procuratore Cecchi – che ha determinato i presupposti per avviare un vero maxiprocesso con tanto di implicazioni transnazionali – non ha retto al vaglio del Tribunale».

«L’assoluzione è piena»

In attesa delle motivazioni della sentenza, l’avv. Cannistraro mette comunque in evidenza la necessità di rigettare la tesi di chi minimizza l’esito processuale considerando l’assoluzione come “non piena” per la formula della cosiddetta “insufficienza delle prove”. «A me pare invece – ribadisce l’Avvocato- che lo scrutinio dibattimentale abbia rilevato non già la carenza delle prove a carico, ma abbia certificato l’insussistenza di evidenze e prove che il PM Cecchi avrebbe dovuto addurre a sostegno del suo teorema accusatorio».

«Se si pretende – conclude – di contestare un reato grave come quello di cui all’art. 416 cp (associazione a delinquere) per riceverne disponibilità di strumenti di indagine riservati ai processi di rilevante allarme sociale (nove arresti in questo processo e fiumi di intercettazioni) si deve poi fornire il supporto probatorio adeguato: l’organo dell’accusa non è riuscito ad adempiere a tale onere».

 

I numeri

  • 23 Gli imputati coinvolti nel processo
  • 13 Gli anni passati dall’epoca in cui si sono svolti i fatti
  • 96 Gli anni di carcere chiesti complessivamente dalla Procura di Pesaro.
  • 6 Le aziende biologiche coinvolte, di cui 2 enti di certificazione.
  • 23 I milioni di euro e valori immobiliari da restituire ora ai legittimi proprietari

 

CON L’AVVIO DEL GREEN DEAL IL PROGETTO CORE ORGANIC ENTRA IN UNA NUOVA FASE

CON L’AVVIO DEL GREEN DEAL IL PROGETTO CORE ORGANIC ENTRA IN UNA NUOVA FASE

Core Organic è un sistema di ricerca transnazionale attivo da 18 anni e sostenuto dall’Unione europea in favore del biologico. Appena terminato il progetto CORE Organic Cofund coordinato dall’Università di Aarhus in Danimarca, è partita a fine settembre la nuova esperienza di CORE Organic Pleiades che coinvolge 33 istituzioni europee tra cui i nostri ministeri dell’Università e dell’agricoltura.  Obiettivi: favorire i target bio del Green Deal e dare il via ad un partenariato europeo sull’agroecologia

Coltivare la ricerca transnazionale in agricoltura biologica. È l’obiettivo di CORE Organic (Coordination of European Transnational Research in Organic Food and Farming Systems) un consorzio di istituzioni e centri di ricerca nazionali europei che si è formato nel 2004.

«L’agricoltura biologica – spiega Ivana Trkulja, coordinatore biologico presso l’International Center for Research in Organic Food Systems (Icrofs) dell’Università danese di Aarhus – è uno dei percorsi meglio definiti di produzione alimentare sostenibile». «Ma per usufruire in pieno dei benefici di questo modello virtuoso di produzione, occorre implementarlo su larga scala. Quello a cui mira CORE Organic è quindi la costruzione, assieme alle realtà aziendali, di un vero e proprio ecosistema di agricoltura biologica di dimensione continentale». Il progetto è passato attraverso diverse fasi di programmazione: CORE Organic I (2004-2007), CORE Organic II (2010-2013), CORE Organic Plus (2013-2018) e CORE organic Cofund (2016-2022), concluso lo scorso maggio e CORE Organic Pleiades, partito in settembre e che arriverà fino al 2026.

Una rete virtuosa di collaborazioni

«Unendo le forze – continua Trkulja – tra organizzazioni e Stati membri, siamo in grado di sostenere meglio i progetti di ricerca transnazionali che affrontano alcune delle sfide più importanti lungo la catena del valore del biologico». Negli ultimi 18 anni il programma ha infatti lanciato otto bandi transnazionali di ricerca e ha fornito finanziamenti per 61,9 milioni di euro a 62 progetti di ricerca. Questi inviti hanno coinvolto ricercatori di tutti i paesi partner toccando argomenti di agroecologia per migliorare i sistemi di coltivazione e di allevamento degli animali, sviluppando filiere di economia circolare e a zero rifiuti.  «Progetti che hanno dimostrato come il bio sia un fattore chiave per un sistema alimentare sostenibile, resiliente ai cambiamenti climatici e circolare».

I 29 progetti del bando appena concluso

Nel corso della fase CORE Organic Cofund appena conclusa, la rete ha lanciato tre bandi di ricerca transnazionali. Da una collaborazione con SUSFOOD2 Cofund sono stati sviluppati nel 2019 e nel 2021 due ulteriori bando sui sistemi alimentari sostenibili e biologici. Questa fase di cofinanziamento ha coinvolto 29 organizzazioni finanziatrici di 21 Paesi membri che hanno sostenuto 29 progetti.

Tra giugno e novembre si sono tenuti i seminari conclusivi che hanno presentato i risultati su 18 progetti focalizzati su: mutualismo tra rizobia e legumi; Sottoprodotti di semi oleosi come potenziale fonte di antiossidanti e acidi grassi essenziali; Benefici dell’integrazione alimentare di larve vive sul microbiota intestinale dei polli biologici; Prodotti biologici freschi pronti da mangiare (un nuovo metodo di pastorizzazione degli alimenti bio freschi ready to eat); ottimizzazione dei prodotti a base di frutta bio minimamente trasformati; sviluppo di “living lab” per rendere i sistemi alimentari più diversificati e sostenibili; Servizi ecosistemici della produzione di alimenti biologici; l’aggiornamento del database Organic eprints.

La sfida del Green Deal

«Nonostante l’ormai raggiunta maggiore età – evidenzia Trkulja  – siamo ancora solo all’inizio».

Ci sono infatti ancora sfide decisive da affrontare, in particolare con l’ambizioso obiettivo del Green Deal europeo di rendere biologico il 25 % dei terreni agricoli dell’UE entro il 2030.«Per raggiungere questo obiettivo, CORE Organic Pleiades , la fase del programma lanciata nel settembre 2022 nell’ambito del progetto OrganicTargets4EU finanziato dall’UE si concentra completamente sulla comprensione delle implicazioni degli obiettivi di agricoltura biologica del Green Deal». Un nuovo progetto arrivato a interessare 33 unità di ricerca (per l’Italia il ministero dell’Università e quello della sovranità alimentare).

Il pregio della continuità

Nel frattempo, CORE Organic mantiene la sua missione di coordinare gli investimenti di ricerca necessari per facilitare l’ulteriore innovazione nel settore dell’agricoltura biologica. «Il pregio maggiore della rete CORE Organic – conclude la ricercatrice – è stata la continuità. Un elemento che sta garantendo un impatto duraturo e che la comunità della ricerca nel bio sia ben posizionata per affrontare le sfide attuali e quelle emergenti».

GIUSEPPE DE NOIA È NUOVO PRESIDENTE ANABIO-CIA

GIUSEPPE DE NOIA È NUOVO PRESIDENTE ANABIO-CIA

L’impegno del neo presidente: tutelare il primato italiano nel bio e raggiungere gli obiettivi del Green deal e sostenendo l’impegno delle aziende bio

Giuseppe De Noia è il nuovo presidente di Anabio, l’associazione per il biologico promossa da Cia-Agricoltori Italiani.

L’identikit

Imprenditore pugliese, di Terlizzi, 51 anni, Di Noia è stato votato dall’Assemblea elettiva nazionale riunita il 7 dicembre a Roma. Possiede un’azienda olivicola e vitivinicola biologica a cui affianca la coltivazione di ciliegie e di fico fiorone Domenico Tauro, prodotto tutelato in biodiversità.

Attualmente è presidente di Cia Levante (Bari e Bat), oltre a far parte del Comitato di gestione e amministrazione del Distretto Florovivaistico e del Cibo di Puglia e del Consiglio della Camera di Commercio di Bari in rappresentanza del settore primario. Resterà alla guida di Anabio-Cia per i prossimi quattro anni, succedendo a Federico Marchini, al vertice negli ultimi due mandati.

I numeri

«L’Italia oggi è chiamata a difendere un primato prestigioso nel settore biologico -ha detto De Noia-. Il nostro Paese vanta la più alta percentuale di superfici bio sul totale (17%), a fronte di una media europea ancora ferma al 9% e ben lontana dall’obiettivo del 25% indicato dal Green Deal per il 2030».

«Un target importante che, invece, noi possiamo centrare, arrivando a toccare i 3 milioni di ettari coltivati a bio dai 2,2 milioni attuali».

Per farlo secondo Di Noia occorre però informare e sostenere le aziende agricole affinché beneficino appieno di tutti i nuovi strumenti, normativi ed economici, necessari per affrontare la crisi globale e diventare davvero protagonisti e custodi della transizione verde in agricoltura.

AIAB: «IL BIO È IL VERO MODELLO VINCENTE DI SOSTENIBILITÀ»

AIAB: «IL BIO È IL VERO MODELLO VINCENTE DI SOSTENIBILITÀ»

Lo dichiara il Presidente Giuseppe Romano che propone una convergenza di interessi per fare diventare il biologico come modello riferimento per il nostro sistema produttivo

«Parlare di agricoltura biologica oggi significa parlare di futuro e di sostenibilità, perciò i riflettori sono sempre più puntati verso questo tipo di attività che ha fatto tanta strada».

Una rete virtuosa

È quanto ha dichiarato Giuseppe Romano, presidente di Aiab (Associazione Italiana Agricoltura Biologica), intervenuto all’evento “C’era una volta il BIO”, promosso da Slow Food Roma, presso il Mercato Centrale. «Aiab – ha aggiunto Romano – ha fatto la storia del biologico italiano, mettendo in rete le tante realtà bio d’Italia e promuovendone gli interessi».

Un modello di riferimento

«Sicuramente – ha continuato – siamo soddisfatti della strada che abbiamo percorso e di dove siamo arrivati, ma sappiamo bene che ora come ora non possiamo fermarci, dobbiamo far sentire sempre di più la voce dei produttori biologici affinché questo modello di agricoltura che rispetta l’ambiente in modo certificato e garantito possa affermarsi sempre di più come modello principale di produzione agricola».

ASSOBIO E IAP CONTRO IL GREENWASHING

ASSOBIO E IAP CONTRO IL GREENWASHING

Alleanza tra l’associazione delle imprese di trasformazione e distribuzione del biologico e l’Istituto di autodisciplina pubblicitaria per tutelare la corretta informazione sul bio

Assobio, l’associazione nazionale delle imprese di produzione, trasformazione e distribuzione dei prodotti biologici e naturali si impegna nella difesa della corretta comunicazione dei valori del biologico.

Adesione votata dal Consiglio direttivo

Il Consiglio direttivo dell’associazione ha infatti deliberato l’adesione ufficiale all’Istituto dell’autodisciplina pubblicitaria (Iap) allo scopo di incrementare la conoscenza del sistema autodisciplinare e dei suoi strumenti e di favorire lo scambio di informazioni e best practices nella comunicazione commerciale.

Il contrasto del fenomeno del greenwashing

I due enti sono già impegnati a promuovere e organizzare iniziative di formazione, informazione e approfondimento su tematiche condivise tra cui il contrasto al fenomeno del cosiddetto greenwashing, rivolte sia alle imprese socie Assobio, che ai consumatori.

PIANO STRATEGICO ITALIANO, ARRIVA L’OK DA BRUXELLES

PIANO STRATEGICO ITALIANO, ARRIVA L’OK DA BRUXELLES

Dopo la bocciatura dell’anno scorso passa senza richieste di modifiche il piano strategico per l’applicazione della politica agricola comune post 2022. Ma rimangono i limiti che non favoriranno il raggiungimento del 25% di superficie agraria biologica entro il 2030

La Commissione Europea ha approvato lo scorso venerdì 2 dicembre il Piano strategico italiano (Psp), un documento importantissimo poiché definisce le scelte nazionali della politica agricola dei prossimi cinque anni (2023-2027) e quindi come saranno impiegati i 33,5 miliardi di euro assegnati all’Italia, pari a 7,3 miliardi di euro l’anno.

La visione della Commissione

«L’Italia – spiega il comunicato della Commissione – è uno dei maggiori produttori agricoli e trasformatori di alimenti dell’Ue con un settore agricolo molto diversificato». «Il piano italiano introdurrà un importo massimo per ettaro per il sostegno al reddito di base degli agricoltori. Le piccole e medie aziende agricole riceveranno un pagamento redistributivo per ottenere un sostegno finanziario più equo».

Un piano strategico che trascura l’importanza del biologico come abbiamo già scritto su queste pagine. Nonostante il parziale risarcimento da 90 milioni all’anno spostato dagli aiuti diretti all’intervento SRA29 dello Sviluppo Rurale (l’ex misura 11 in favore del bio). Un intervento che compensa solo parzialmente la decisione di sopprimere l’ecoschema dedicato nel primo pilastro anche perché molte Regioni hanno annunciato scelte differenti riguardo a questo “tesoretto” premiando maggiormente la produzione integrata. Non arriverà da qui la soluzione per raggiungere il 25% di superficie agraria bio entro il 2030.

Potenziata la gestione del rischio

«Circa 800mila agricoltori – ha osservato la Commissione Ue – riceveranno inoltre in Italia finanziamenti specifici (da una dotazione totale di quasi 3 miliardi di euro) per partecipare a strumenti di gestione del rischio, in modo da affrontare meglio il crescente impatto degli eventi climatici avversi».

Condizionalità sociale

«L’Italia sarà inoltre tra i primi paesi dell’Ue ad attuare la nuova condizionalità sociale della Pac per garantire la sicurezza sul lavoro e combattere lo sfruttamento della manodopera. Infine 1,1 miliardi di euro saranno dedicati ad aiutare i giovani agricoltori ad avviare e garantire la loro attività».