Suolo e Salute

Category: Ecologia – Ambiente – Territorio

22 marzo – Giornata Mondiale dell’acqua

Si celebra oggi, 22 marzo, la Giornata Mondiale dell’Acqua, istituita dalle Nazioni Unite nel 1992. In questa occasione ll’ONU invita a ricordare il tema dell’acqua anche attraverso eventi concreti volti a sensibilizzare l’opinione pubblica sull’argomento.
Quest’anno la ricorrenza assume un significato particolare, dato che il 2013 è stato proclamato Anno Internazionale sulla cooperazione idrica.
Proprio per questo motivo, Suolo e Salute ha dedicato al tema dell’acqua la propria Agenda 2013 ed il calendario fotografico.
Per questo 2013, obiettivo primario è accrescere la consapevolezza della necessità di una cooperazione fattiva ed efficiente per affrontare le sfide che pone la gestione delle acque, a cominciare dalla continua crescita dei consumi e dagli sprechi, ancora troppo elevati.
Al centro dell’attenzione saranno in particolare tutte le iniziative di cooperazione di successo, l’uso sostenibile delle risorsa e i conflitti legati direttamente o indirettamente all’accesso alla risorsa idrica.
Per la giornata di oggi, sono in programma in tutto il mondo attività, iniziative ed eventi. In Italia, in particolare, a Firenze la rete fiorentina per l’Educazione ambientale ha lanciato un “flash mob” virtuale coinvolgendo tutte le scuole della città. Gli alunni realizzeranno azioni legate al tema della giornata e a partire dalle ore 10 tutta la documentazione fotografica verrà pubblicata in rete in contemporanea.
A Roma l’Accademia Nazionale dei Lincei dedicherà invece la giornata al tema “Calamità idrogeologiche: aspetti economici”.
A Bologna invece visite guidate, caccia al tesoro e “Urban Rafting” nel tratto cittadino del Reno per conoscere più da vicino lo stretto legame con l’acqua del capoluogo felsineo.
A Bari infine CIHEAM-Bari ha organizzato un convegno su Water Cooperation, con lo scopo di approfondire le tematiche legate all’uso dell’acqua in agricoltura e alla cooperazione internazionale nel settore della gestione delle risorse idriche non convenzionali nel Mediterraneo.

Pesticidi, indagine-shock francese

Interessante (e inquietante) studio francese quello che ha preso in esame gli effetti dell’esposizione ai pesticidi su lavoratori agricoli impegnati nel settore viticolturale e persone che vivono nelle immediate vicinanze dei vigneti, messi a confronto con un gruppo di controllo senza esposizione. L’indagine era stata avviata dopo che l’attenzione dell’opinione pubblica era stata richiamata dal caso di un lavoratore della regione viticola di Listrac-Médoc (situata a 30 km a nord-ovest di Bordeaux) la cui morte per cancro nel 2009 era stata dichiarata sospetta dai familiari, che chiedevano di conoscere la causa ultima della malattia del congiunto. I risultati dei test di laboratorio sono inequivocabili: la contaminazione registrata nel caso dei vignaioli (tutti volontari dello studio) era di circa undici volte superiore a quella nel gruppo di controllo, mentre le persone che vivono nei pressi dei vigneti hanno fatto registrare cinque volte il livello di residui rispetto al controllo.

Fonte: Le Monde

Oggi è la Giornata internazionale delle foreste

Si celebra oggi 21 marzo la prima Giornata internazionale delle foreste, proclamata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite con lo scopo di sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema della tutela e salvaguardia del patrimonio forestale del Pianeta. Dopo la celebrazione, nel 2011, dell’Anno Internazionale delle Foreste, un nuovo richiamo dell’ONU affinché si preservino tutti i tipi di foreste, indispensabili per il mantenimento della biodiversità terrestre.

Grazie alla produzione di ossigeno, al prelievo di anidride carbonica atmosferica e al rilascio di vapore acqueo, le foreste di fatto costituiscono un elemento essenziale per il mantenimento degli equilibri su cui si basa l’intero sistema-Terra. Purtroppo, nel corso degli ultimi anni, le foreste primarie, ovvero quelle non intaccate dall’attività dell’uomo, costituiscono ad oggi poco più di un terzo dell’intera superficie forestale del pianeta, e solo negli ultimi anni sono andati perduti oltre 40 milioni di ettari. Considerando invece anche altre tipologie forestali, più o meno modificate dall’intervento umano, la loro superficie sale ad oltre 4 miliardi di ettari, pari ad una “disponibilità” teorica di circa 0,6 ettari per abitante.

Attualmente, sono Russia, Brasile, Canada, USA e Cina gli stati che ospitano le superfici forestali più importanti rispettivamente con 809, 520, 310, 304 e 207 milioni di ettari.

Continua, anche se con una flessione che apre qualche spiraglio di speranza per il futuro, la deforestazione del pianeta: solo negli ultimi dieci anni abbiamo perduto 13 milioni di ettari di foreste l’anno, 3 milioni in meno  rispetto al  decennio 1990/2000 ma pur sempre troppi. Aumentano invece le foreste (e gli alberi) piantati dall’uomo: oggi costituiscono circa il 7% dell’area totale forestale, per una superficie complessiva di  264 milioni di ettari. Tra il 2000 e il 2010, la superficie di foreste piantate è aumentata di circa 5 milioni di ettari all’anno,, soprattutto in seguito agli imponenti rimboschimenti effettuati in Cina.

Nel nostro paese, nell’ultimo ventennio il patrimonio forestale è cresciuto di circa 1,7 milioni di ettari, raggiungendo oltre 10 milioni e 400 mila ettari di superficie. In Italia attualmente crescono circa  12 miliardi di alberi che ricoprono un terzo dell’intero territorio nazionale, secondo quanto riportato dall’ultimo “Inventario Nazionale delle Foreste e dei serbatoi forestali di carbonio” del Corpo forestale dello Stato (Cfs), realizzato con la consulenza scientifica del Cra. Un patrimonio in grado di assorbire  1,2 miliardi di tonnellate di carbonio, pari a 4 miliardi di tonnellate di Co2, e che viene costantemente minacciato da incendi, fenomeni erosivi, piogge acide e dalla crescente presenza di specie alloctone (ovvero aliene, estranee alla nostra flora autoctona).Una minaccia particolarmente seria soprattutto nell’Italia meridionale e nelle isole, che mette a rischio intere formazioni forestali e l’enorme carico di biodiversità che esse custodiscono.

Fonte: AIOL

Watson (ex Ipcc): prepariamoci ad un mondo sensibilmente più caldo

La sfida ai cambiamenti climatici è persa: non siamo più in tempo per evitare che le temperature del pianeta salgano di oltre due gradi, e dobbiamo prepararci ad un mondo più caldo anche di 5 gradi. Queste parole, che hanno il sapore di un vero e proprio de profundis, sono state recentemente pronunciate da Sir Robert Watson, ex presidente dell’Ipcc (l’ Intergovernmental panel on climate change), intervenuto recentemente ad un convegno  organizzato dalla London School of Hygiene & Tropical Medicine. Secondo lo scienziato britannico, abbiamo ancora il 50% di possibilità di impedire un aumento delle temperature medie mondiali superiore ai 3 gradi rispetto all’epoca pre-industriale, ma di certo «un aumento di 5 gradi è altrettanto possibile”. Secondo Watson (e con lui l’oramai totalità degli scienziati che hanno studiato le dinamiche complesse legate ai cambiamenti climatici)  “ciò significherebbe un riscaldamento della Terra maggiore di quanto sia mai stato dalla fine dell’ultima era glaciale. In ogni caso, nonostante tutte le promesse fatte al mondo, non saremo in grado di realizzare un mondo con un aumento di soli  2 gradi centigradi. Tutte le prove, secondo la mia opinione, suggeriscono che siamo sulla strada per un mondo fra  3° C e 5° C in più.” Le soluzioni, secondo Watson, non sono a buon mercato: “abbiamo certamente bisogno di un sacco di ricerca. Non ci sono soluzioni economiche ed eque per affrontare il cambiamento climatico, ma sono necessarie volontà politica e leadership morale, i cambiamenti di  politiche, prassi e  tecnologie necessari devono essere sostanziali e attualmente non stanno  avvenendo».In un’intervista a Climate News Network, Watson ha sottolineato che «”ora sappiamo che non possiamo escludere un possibile aumento della temperatura di 5° C, e abbiamo bisogno di iniziare a prepararci. Quando presiedevo l’Ipcc eravamo tutti molto ottimisti sul fatto che avremmo raggiunto un accordo globale per limitare le emissioni, anche se sapevamo che sarebbe stato difficile. Ma eravamo fiduciosi che le emissioni non sarebbero salite al livello tremendo dell’attuale aumento”.

Secondo Alex Kirby, fondatore di Climate Network News, “in un mondo di 5° C più caldo di oggi potremmo  aspettarci raccolti fallimentari nei Paesi in via di sviluppo e sviluppati, un innalzamento del livello del mare che minaccerà  molte grandi città e significative carenze di acqua. Ancora più specie saranno a rischio di estinzione (il 10% delle specie sono considerati a rischio per ogni 1° C di riscaldamento), ci sarebbero più (e più intensi) eventi meteorologici estremi ed un crescente rischio di bruschi e rilevante cambiamenti irreversibili in termini di sistema climatico”.

Attualmente Watson è direttore scientifico del Tyndall Centre for Climate Change Research dell’Università di East Anglia e Chief Scientific Adviser  del Department of Environment, Food and Rural Affairs del governo britannico. Fu rimosso dalla presidenza dell’Ipcc nel 2002 e, come si è appreso da un articolo del New Scientist fu George W. Bush, fresco di elezione alla Casa Bianca, a ricevere da un dirigente della ExxonMobil (una delle più importanti compagnie petrolifere del mondo) il seguente messaggio : «Può sostituire immediatamente Watson, su richiesta degli Usa?»

Fonte: Greenreport

Innalzamento dei mari, uno studio italiano ed inglese prevede una crescita fino a un metro entro il 2100

Se da un lato giungono notizie di qualche conforto sul fronte dei grandi problemi ambientali globali (si veda a questo proposito l’articolo relativo allo studio australiano sugli ecosistemi della biosfera pubblicato sul nostro sito a questo indirizzo), notizie meno incoraggianti giungono da un lavoro tutto italiano. Lo studio del professor Giorgio Spada, docente del Dipartimento di Scienze di Base e Fondamenti (DiSBeF) dell’Università degli Studi di Urbino, che sarà a breve pubblicato sulla rivista americana Geophysical Research Letters, realizzato  in collaborazione con scienziati del Glaciology Centre di Bristol (UK), afferma che, in conseguenza dello scioglimento dei ghiacci continentali, nel 2100 si potrà raggiungere in alcune aree del pianeta un aumento del livello dei mari di circa 30 cm che, a causa del riscaldamento delle acque degli oceani, potrebbero raggiungere e superare i 60 cm. Valori decisamente superiori a quelli osservati nel corso del secolo scorso, su scala globale, di circa 20 cm. Scenari estremi, elaborati in base alle tante variabili da considerare in una ricerca di questo tipo, indicano addirittura che l’aumento di livello marino potrebbe essere ancora più elevato. Il lavoro costituisce uno degli esiti del progetto europeo di larga scala “ice2sea”, finanziato dalla UE nell’ambito del programma quadro FP7. L’obiettivo di “ice2sea” è una migliore comprensione degli effetti che le variazioni climatiche in atto hanno sulle masse glaciali continentali, e l’elaborazione di scenari di variazioni future del livello marino su scala regionale. Il progetto, che ha visto la partecipazione di altri 23 Istituti di Ricerca europei ed internazionali, è coordinato localmente dal prof. Giorgio Spada.

Il lavoro si basa sui modelli che il professor Spada ha sviluppato nel corso degli anni finalizzati a simulare le interazioni fra la criosfera (ovvero quella porzione della superficie terrestre coperta dall’acqua allo stato solido e che comprende le coperture ghiacciate di mari, laghi e fiumi, le coperture nevose, i ghiacciai, le calotte polari ed il permafrost), la terra solida e le masse oceaniche, in con lo scopo di elaborare previsioni attendibili sull’andamento futuro del livello marino globale. Secondo i modelli l’aumento nel livello dei mari sarà diverso nelle varie zone del pianeta, come conseguenza delle variazioni del campo di gravità causate dalla distribuzione non uniforme delle masse continentali sulla superficie del pianeta e dalle deformazioni ad esse associate, oltre che dalla complessa dinamica degli oceani. Senza dubbio, in ogni caso, esso sarà più significativo nelle coste equatoriali e conseguentemente costituirà un problema particolarmente grave per tutti i paesi compresi tra i due tropici.

Fonte: Università di Urbino

Ambiente. Il “giorno del giudizio” è ancora lontano

Malgrado la grave crisi ambientale in cui versa il Pianeta, il pericolo di un improvviso “default ecologico” sembra al momento scongiurato. A sostenerlo un autorevole studio pubblicato pochi giorni fa da Trends in Ecology & Evolution, dal titolo Does the terrestrial biosphere have planetary tipping points? Più facile pensare che trasformazioni profonde su scala globale debbano richiedere un lungo periodo di tempo prima di compiersi. Secondo gli autori, infatti, i diversi ecosistemi terrestri non sono interconnessi al punto che si giunga ad un punto di non ritorno improvviso e drammatico. Questo a dispetto della situazione della biosfera, che per l’80% presenta ecosistemi condizionati e danneggiati dall’azione diretta o indiretta dell’uomo. Il lavoro, realizzato da un team di scienziati dell’Environment institute and school of Earth and environmental sciences dell’università di  Adelaide, ha analizzato in particolare quattro punti strettamente legati ai cambiamenti ambientali globali, i cambiamenti climatici, l’uso del suolo, i cambiamenti e la frammentazione degli habitat e la perdita di biodiversità , concludendo che è inverosimile che, malgrado tutto, essi possano diventare irreversibilmente drammatici. Secondo uno degli autori dello studio, Erle Ellis, i mutamenti della biosfera “dipendono da circostanze locali e quindi differiscono tra località.  Questa realtà dovrebbe incoraggiare le comunità a perseguire soluzioni di salvaguardia appropriate a livello locale e regionale, piuttosto che essere distratte da proiezioni di “morte e distruzione” su scala globale”. “Dato che fino a quattro quinti della biosfera sono oggi caratterizzati da ecosistemi a livello locale, che nel corso dei secoli e dei millenni hanno subito cambiamenti di sistema di uno o più tipo indotti dall’uomo, riconoscere questa realtà e ricercare azioni di conservazione appropriate a livello locale e regionale potrebbe essere un modo più fruttuoso di far progredire l’ecologia e la scienza del cambiamento globale”, ha proseguito Ellis.

Barry W. Brook, a capo del gruppo di ricerca, sottolinea l’importanza di questo studio non solo perché ci conforta rispetto alle ipotesi più catastrofiste, ma perché può costituire un preziosissimo strumento pratico per la governance ambientale prossima futura: “Questa è una buona notizia – ha dichiarato Brook – “ perché ci dice che potremmo evitare lo scenario “doom-and-gloom“ di un brusco e irreversibile cambiamento. Focalizzarsi sui punti critici planetari può distoglierci sia dalle vaste trasformazioni ecologiche che si sono già verificate che portare ad un fatalismo ingiustificato sugli effetti catastrofici di punti di non ritorno. Mettere l’accento sul punto di non ritorno non è particolarmente utile per realizzare le azioni di conservazione delle quali abbiamo bisogno. Dobbiamo continuare a cercare di ridurre il nostro impatto sull’ecologia globale, senza dare un’eccessiva attenzione al tentativo di evitare soglie arbitrarie“. Gli scienziati non escludono in assoluto che possa verificarsi un collasso ambientale repentino e globale, similmente a quanto è accaduto su scala locale e regionale a molti ecosistemi, ma ciò sarebbe possibile solo se effettivamente tutti gli ecosistemi terrestri fornissero risposte analoghe agli impatti dell’uomo, cosa che potrebbe verificarsi solamente se le interconnessioni tra gli ambienti fossero più strette di quelle che appaiono attualmente: “Questi criteri, tuttavia, è molto improbabile che possano essere soddisfatti nel mondo reale. In primo luogo, gli ecosistemi dei diversi continenti non sono strettamente connessi. In secondo luogo, le risposte degli ecosistemi alle pressioni umane, quali il cambiamento climatico o il cambiamento d’uso dei terreni, dipendono dalle circostanze locali e quindi differiscono tra località”. Una grande speranza per il futuro, che tutti noi ci auguriamo possa gettare le basi per un approccio meno angosciato ma al tempo stesso determinato per affrontare e risolvere le grandi sfide della conservazione e della sostenibilità.

Fonte: Greenreport