Suolo e Salute

Category: Agricoltura

Il bio russo, attualità e prospettive

Potrebbe essere la Russia una delle prossime, più promettenti frontiere per il mercato del biologico. In un paese caratterizzato ancora da forti contraddizioni e disequilibri, il mercato del bio ha fatto segnare nel 2012 un totale di vendite di 148 milioni di dollari (pari a circa 166 milioni di euro), con un incremento del 7,8% rispetto al 2011. Valori che, secondo le proiezioni di Euromonitor, potrebbero raggiungere i 167 milioni di dollari nel 2013 e addirittura i 225 milioni nel 2015 (+30% nel periodo 2010-2015).

A farla da padrone i prodotti importati dai paesi europei quali Germania, Francia, Italia, dato che ben il 90% dei prodotti biologici russi proviene direttamente dalle importazioni. Una sfida che, nel prossimo futuro, si giocherà anche sul fronte delle certificazioni se, com’è vero, in Russia ancora non esiste un ente che certifichi le produzioni biologiche. A complicar ulteriormente il quadro, l’estrema confusione del mercato globale, in cui mancano molte delle garanzie oramai acquisite per il consumatore occidentale. Secondo una ricerca effettuata da AgriCapital,ben il 45% dei produttori russi definisce in etichetta “bio”, “naturale” o “ecologico” il proprio prodotto pur non avendo alcuna certificazione in merito. L’esigenza di maggiore trasparenza e sicurezza per l’acquirente russo potrà essere senza dubbio una chiave di svolta strategica per penetrare questo promettente mercato, dato che al momento i prodotti russi che varcano le frontiere devono ottenere la certificazione europea o americana per poter essere esportati come biologici a tutti gli effetti. Nel frattempo il Governo russo si sta muovendo: è prevista infatti per il 2015 l’approvazione di una normativa nazionale di settore e, in questa direzione, esperti governativi stanno approfondendo la conoscenza dei modelli di certificazione europeo, americano e giapponese per giungere ad una necessaria armonizzazione delle future norme russe con quelle internazionali.

Fonte: Fresh Plaza, SINAB

Una nuova fotografia dell’agricoltura europea

Due recenti pubblicazioni, a cura rispettivamente della Commissione Europea (Rural Development in the EU – Statistical and Economic Information Report 2012) e dell’ Eurostat (Agriculture, fishery and forestry statistics 2010-2011), restituiscono un quadro piuttosto dettagliato del settore agricolo europeo e dei cambiamenti che lo riguardano. Le aziende, nel tempo, sono diminuite di numero, ma cresciute in dimensioni. Oggi, nell’Europa a 27 Membri, il totale di aziende sfiora la quota di 12 milioni, interessando 170 milioni di ettari di SAU. Interessante e, per certi versi, stupefacente, il dato riguardante la distribuzione delle aziende in Europa: quasi quattro milioni (3.859.000 per l’esattezza, corrispondenti circa ad un terzo del totale) nella sola Romania, e 1.506.000 in Polonia. Questi due paesi, insieme, detengono quasi la metà di tutte le aziende agricole europee. Solo l’Italia, con 1.620.000, si inserisce tra i due stati dell’est europeo, mentre sono molto più staccati tutti gli altri stati dell’unione: al quarto posto infatti la Spagna con “solo” 989.000 aziende, la Grecia con 674.000, l’Ungheria con 576.000 e la Francia con 516.000. In questa classifica, la Germania può contare su un totale di “sole” 299.000 aziende. A parte il nudo dato numerico, interessante anche il trend. Come detto, in media i numeri sono in calo, a fronte di un aumento medio delle dimensioni (a volte eclatante, come la Scovacchia che dai 28 ettari del 2007 è passata ai 77 del 2010, con una crescita del 176%). In controtendenza solo l’Irlanda, con una crescita del 9,1%, insieme a Malta (+13,7%) e Portogallo (+11%). Altrove, cifre negative, pur con qualche differenza. In Italia il calo è stato del 3,5%. Radicale anche il mutamento degli occupati agricoli: nel periodo 2007-2010 i lavoratori a tempo pieno sono calati di circa 2 milioni di unità, portando il numero attuale a 9,7 milioni complessivi. Cresce invece la produzione, con risultati “esorbitanti” in alcuni paesi dell’est europeo.  Slovacchia (+285%),  Repubblica Ceca (+85%), Polonia (+77%) e  Lettonia (+68%) segnano crescite record che, in altri paesi, risultano assai meno eclatanti, per quanto significative. Il nostro paese segna un  +26.4%, la Francia +12,7%, la Spagna +8%, la Germania +16,3%. Cresce, come già detto in numerosi articoli, il biologico, con un aumento della SAU coltivata a bio del 42% nel periodo 2005-2010, ed una crescita media annuale del 7,23%. In questa speciale classifica, Spagna, Italia e Germania detengono rispettivamente il 18%, il 12,1% e il 10,8% del totale della superficie bio europea. E l’Italia, con quasi 48.000 aziende, continua a mantenere saldamente il primo posto per aziende biologiche a livello continentale.

Fonte: Sinab, Pianeta PSR

Premio Biol: tre aziende di Suolo e Salute tra i produttori migliori al mondo

Si è concluso nei giorni scorsi il 18° Premio Biol, che cpme ogni anno ha premiato i migliori oli biologici italiani. La giuria, composta da 24 esperti olivicoli provenienti da diverse parti del mondo, si è riunita ad Andria il 13 e 14 marzo 2013 scorsi per assaggiare e valutare  gli oli finalisti, scelti al termine della fase di pre-selezione pre-selezione. Alla fase finale hanno preso parte tutti gli oli con un punteggio pari o superiore a 75/100. Tra gli oli premiati, ben tre sono prodotti da aziende controllate da Suolo e Salute: il Biolio dell’Oleificio Trisaia di Rotondella (MT), il Sole di Cajani, dell’Azienda agricola omonima di Caggiano (SA) e l’Olivicola Titerno della Coop.Olivicola Titerno di San Lorenzello (BN), già vincitore dell’Ercole Olivario 2012. Tutti e tre hanno ricevuto sia la Gold Medal (per punteggi superiori a 71/100 e il riconoscimento “Extragold”, introdotto quest’anno in conseguenza dell’altissima qualità dei prodotti presentati alla selezione. L’Extragold, destinato agli oli con punteggio superiore a 77/100, è stato ottenuto da tutti e tre gli oli delle aziende controllate da Suolo e Salute. Tutti gli oli finalisti rientreranno nella Guida BIOL dei Migliori Oli Biologici del mondo 2013, che verrà pubblicata entro il 30 aprile di quest’anno.

Fonte: Suolo e Salute – Premio Biol

La vite ad alberello di Pantelleria candidata come Patrimonio dell’Umanità

Tra le candidature italiane presso l’Unesco per redigere la lista del Patrimonio culturale immateriale, la Commissione Nazionale Italiana ha deciso di candidate la pratica agricola tradizionale della vita ad alberello di Pantelleria. A comunicarlo, il Ministro delle Politiche Agricole Mario Catania che ha dichiarato che si tratterebbe, nel caso l’iter andasse a buon fine, della prima pratica agricola al mondo a far parte della lista. “La candidatura dell’Unesco – ha dichiarato Catania – rappresenta un riconoscimento molto importante. Questa pratica agricola e’ diventata infatti un vero e proprio simbolo di una comunità che, grazie al duro lavoro nei campi, riesce a rinnovare quotidianamente il profondo legame tra l’uomo e la natura, in una terra difficile che nei secoli e’ diventata fonte di vita e sostentamento”. “l’italia – prosegue catania – ha candidato, nelle scorse settimane, i ‘paesaggi vitivinicoli del Piemonte: Langhe-Roero e Monferrato nell’altra lista, relativa dei beni materiali. “Per la prima volta – ha aggiunto- entrambe le candidature italiane nelle due liste prestigiose dell’UNESCO sono legate a paesaggi e pratiche agricole. Questo dimostra che il patrimonio rurale italiano e’ parte integrante dell’intero patrimonio culturale del nostro paese. Un’ulteriore riprova del fatto che l’agricoltura non può essere considerata solo un fattore meramente economico, ma piuttosto come parte essenziale della nostra storia”.

Fonte: Agrapress

Da Silva (FAO): la piccola agricoltura fondamentale per vincere la fame

L’agricoltura su piccola scala è fondamentale per contrastare efficacemente fame e malnutrizione. Questo quanto ha dichiarato , Jose’ Graziano Da Silva , Direttore Generale della FAO, nel corso di un incontro con docenti e studenti dell’Università di scienze Gastronomiche di Pollenzo, fondata da Slow Food. “La produzione su piccola scala, i circuiti locali di produzione e di consumo e il recupero di colture tradizionali sono tutti fattori che giocano un ruolo importante nella lotta alla fame – ha detto Da Silva –  “esistono molte possibilità di cooperazione tra la FAO e l’ateneo stesso per realizzare la visione di un mondo libero dalla fame e sostenibile”.

Fonte: Agrapress

L’Italia? Il paese europeo più sicuro per il consumatore

Una recente indagine Coldiretti/Eurispes assegna al nostro paese il titolo di paese più sicuro da un punto di vista alimentare. Il risultato al termine di un’analisi svolta su oltre 77mila campioni di 582 alimentari differenti, pubblicate nel Rapporto annuale sui residui di pesticidi negli alimenti. Solo lo 0,3% dei prodotti italiani analizzati, infatti, presenta una percentuale di residui chimici superiore al consentito, un valore ben 5 volte inferiore alla pur bassa media europea (1,5%) e di gran lunga più basso della media dei prodotti provenienti da paesi extracomunitari, per i quali invece ben il 7,9% dei campioni ha rivelato valori fuori norma. Secondo quanto riportato dall’indagine  in Europa un prodotto su due è completamente privo di tracce di fitofarmaci, e il 98,4% presenta comunque residui entro i limiti. Percentuale che sale appunto al 99,7% nel caso dell’Italia. Diverso il caso dei Paesi extracomunitari, in cui oltre al 7,9% prima ricordato, balzano agli occhi alcuni casi particolarmente eclatanti. Il record negativo è detenuto dai cavoli cinesi,che nell’83% delle rilevazioni hanno fatto registrare valori oltre il limite ammesso; male anche i broccoli (77% fuori limite) e i pomodori (47%) provenienti dal gigante asiatico. Poco salubri anche uva e pepe indiani (65% e 47% rispettivamente i campioni irregolari), , i piselli sloveni, l’aglio argentino, le patate brasiliane. Un’analisi in cui per la prima volta l’Efsa ha utilizzato il criterio dell’analisi cumulativa del rischio, in grado di misurare gli effetti combinati dell’esposizione incrociata di diversi agenti chimici con proprietà tossicologiche analoghe.

Un risultato ambivalente, quello che emerge dallo studio, perché se da un lato è grande la soddisfazione per il livello qualitativo raggiunto dai nostri produttori, dall’altro aumentano le preoccupazioni relative ai prodotti provenienti dall’estero  spesso competitivi per il prezzo particolarmente basso. Secondo i dati Coldiretti la produzione agroalimentare venduta in Italia ed esportata per un volume d’affari annuo di 51 miliardi di euro proviene infatti anche  da  materie prime importate, trasformate e vendute con il marchio “Made in Italy”. Ben il 40% del frumento duro usato per produrre la pasta proviene infatti dall’estero  percentuale che sale al 60% nel caso del frumento tenero usato per produrre il pane, al  35% della carne suina da consumare fresca o da trasformare in salumi e prosciutti e il 45% del latte per prodotti lattiero caseari. Tra l’altro nel 2012 sono stati importati dalla Cina oltre 80 milioni di chili di pomodori conservati che, in seguito alla lavorazione industriale, sono divenuti prodotti Made in Italy”.

Fonte: AIOL