Suolo e Salute

Autore: admin

CRESCE IL VIGNETO BIO E AUMENTA LA PRESENZA DI API TRA I FILARI

CRESCE IL VIGNETO BIO E AUMENTA LA PRESENZA DI API TRA I FILARI

Una buona notizia che arriva dal Vinitaly: la presenza degli impollinatori cresce di pari passo con la diffusione della gestione bio. È la conferma che i vigneti biologici sono una risorsa preziosa per la salvaguardia dell’ambiente e della biodiversità

Cresce la quota di vigneti bio, arrivati al 19% della superficie vitata italiane e cresce la presenza di api e di impollinatori selvatici tra i filari. Una buona notizia, visto il valore dell’ape come bioindicatore della qualità dell’ambiente, diffusa nel corso dell’edizione numero 55 del Vinitaly.

La conferma che il vigneto biologico possa rivelarsi un ambiente idoneo per l’allevamento delle api e per la tutela della biodiversità è emersa a Verona nel corso dell’evento “Dove le api incontrano il vino”, promosso da Fedagripesca Confcooperative, con la partecipazione del sottosegretario al ministero dell’Agricoltura con delega al miele, Luigi D’Eramo.

In arrivo un Tavolo di filiera

«Consideriamo l’apicoltura – ha testimoniato D’Eramo – un settore di punta dell’agroalimentare italiano, che può offrire opportunità di crescita economica anche per i giovani».

«Abbiamo spinto per il raddoppio dei finanziamenti per le aziende apistiche ed è in via di definizione anche l’istituzione di un tavolo permanente sul miele».

La conferma del fatto che la gestione biologica rende il vigneto un ambiente favorevole all’apicoltura è stata in messa in luce nel corso dell’evento da Antonio De Cristofaro dell’Università del Molise e da Paolo Fontana, ricercatore della Fondazione Edmund Mach, entomologo e apicoltore.

«La loro presenza è in ascesa – hanno precisato – anche perchè il minimo comune denominatore di queste due attività è l’amore e il rispetto per il territorio».

Sottospecie italiane da preservare

Fontana è il promotore della Carta di San Michele all’Adige, l’appello scritto dai maggiori esponenti del mondo della ricerca e dell’apicoltura per la conservazione dell’Apis mellifera e delle sue 1758 sottospecie in Italia.

Le api e gli insetti impollinatori sono infatti investiti da gravi minacce ambientali per effetto del climate change, delle modificazioni del paesaggio, di un uso inappropriato di agrofarmaci in agricoltura, ma anche dalla diffusione di sottospecie ed incroci non autoctoni.

L’ininterrotta presenza dei vigneti da Nord a Sud e la sempre maggiore diffusione delle tecniche di gestione bio può così diventare una concreta risorsa per la salvaguardia della biodiversità apistica e in particolare per la sopravvivenza di due sottospecie endemiche a rischio come l’Apis mellifera ligustica, detta appunto ape italiana e considerata la migliore ape per fare apicoltura e l’Apis mellifera siciliana, detta ape nera sicula.

Generazione Honey

All’evento ha partecipato anche il direttore generale del Masaf Luigi Polizzi che ha sottolineato l’importanza di una campagna di comunicazione come quella di Generazione Honey che fa informazione sul settore apistico, per il quale il ministero ha istituito un fondo specifico.

CARNE SINTETICA, CE N’ERA PROPRIO BISOGNO?

CARNE SINTETICA, CE N’ERA PROPRIO BISOGNO?

Alcuni rischi per la salute e per l’ambiente connessi alla produzione di alimenti a base cellulare. Un’alternativa alla stretta interazione tra allevamento e agricoltura che, come evidenzia la Fao, non è futuribile ma è già realtà

Carne sintetica, ce n’era proprio bisogno? Mentre non si spegne l’eco delle critiche di alcuni esponenti del mondo della ricerca nei confronti del decreto che inibisce, con pesanti sanzioni, la produzione sul suolo nazionale di  bevande e mangimi costituiti a partire da colture cellulari o da tessuti derivanti da animali vertebrati, altri avanzano le prime obiezioni scientifiche su un modello produttivo che vuole svincolare la produzione di cibo dal legame con la natura e con il suolo.

Il rapporto della Fao

Dalle allergie ai tumori sono infatti 53 i pericoli potenziali per la salute individuati nel primo rapporto Fao-Oms sul “cibo a base cellulare”.

L’agenzia per la sicurezza alimentare delle Nazioni Unite mette in evidenza che non si può parlare di cibo “futuribile” ma già oggi di una concreta realtà. Sono infatti più di 100 le aziende o start-up che «stanno sviluppando, in tutto il mondo, prodotti alimentari a base cellulare pronti per la commercializzazione e in attesa di approvazione». «È quindi fondamentale valutare obiettivamente i benefici che potrebbero apportare, nonché gli eventuali rischi ad essi associati, compresi i problemi di sicurezza e qualità degli alimenti».

Quattro fasi a rischio

Una consultazione di 138 esperti condotta dalla Fao e tenutasi a Singapore nel novembre dello scorso anno ha elencato i pericoli per la sicurezza alimentare che riguardano quattro fasi del processo di produzione:

  • l’approvvigionamento delle cellule;
  • la crescita e la produzione delle cellule;
  • la raccolta delle cellule;
  • la lavorazione degli alimenti.

L’intervento di Vincenzo Gerbi

I dubbi non riguardano però solo l’impatto sulla salute, ma anche sull’ambiente. In un post sulla sua pagina facebook Vincenzo Gerbi, docente di enologie e scienze e tecnologie alimentari all’Università di Torino, mette in evidenza la differenza tra il processo di trasformazione di materie prime agricole in bioreattori (ad esempio per la produzione, attraverso fermentazione microbica, di yogurt, vino o birra) e la moltiplicazione cellulare. Nel primo caso i batteri o lieviti presenti in natura, addirittura già presenti nelle derrate da trasformare, «operano la trasformazione nutrendosi di una piccola parte degli zuccheri che trasformano, ma il loro numero non cresce illimitatamente, anzi al termine della trasformazione si riduce drasticamente». Vale il principio che nella trasformazione nulla si crea, tutto si trasforma.

Un modello per nulla circolare

Nel caso della produzione di carne sintetica occorre invece partire da cellule di un animale vivente e farle moltiplicare fino a formare una massa sufficiente, ma le sostanze nutritive devono essere tutte fornite come substrato, non derivano dalla materia prima da trasformare. «Occorre quindi mettere a disposizione almeno carboidrati, proteine, grassi, vitamine e tutto quello che serve a far crescere cellule animali». Un sistema di produzione molto lontano dalla sostenibilità di un modello di economia circolare basato dalla stretta relazione tra allevamento estensivo e agricoltura. La qualità del prodotto che si forma dipenderà dalla qualità e dall’origine dei nutrienti che mettiamo nel bioreattore. «Ognuno – conclude il professore – sceglierà al proposito liberamente e secondo i suoi principi etici, ma almeno facciamo chiarezza perché le fermentazioni naturali esistono da quando l’uomo trasforma gli alimenti, mentre la carne non si mai riprodotta spontaneamente».

L’ANELLO DEBOLE DEI CONSUMI FUORI CASA PENALIZZA IL BIO

L’ANELLO DEBOLE DEI CONSUMI FUORI CASA PENALIZZA IL BIO

Al Convegno di apertura di B/Open emerge il ruolo marginale di ristoranti, bar e hotel nella crescita del bio. Un sondaggio dell’app The Fork mostra però la forte sensibilità del canale on trade nei confronti della sostenibilità. Il sottosegretario D’Eramo «Il Governo è favorevole ad azioni di promozione che valorizzino questo canale di consumo del bio»

«Sono qui per confermare la grande attenzione del Governo nei confronti del biologico, un comparto che vogliamo sostenere all’interno di un Piano d’azione che stiamo elaborando con il contributo di tutte le associazioni che rappresentano le diverse espressioni di questo settore».

Lo ha chiarito il sottosegretario Luigi D’Eramo in occasione del talk show di apertura di B/Open, la manifestazione dedicata al biologico certificato. L’edizione 2023 si è tenuta alla Fiera di Verona all’interno dei padiglioni dedicati a Sol&Agrifood, in concomitanza con la 55a edizione di Vinitaly.

Sinergie per la sostenibilità a VeronaFiere

Il workshop era dedicato al tema de “La crescita del biologico e i consumi fuori casa: sinergie per la sostenibilità”, con gli interventi di Riccardo Cozzo, presidente di Assocertbio (Associazione degli Organismi di Certificazione del Biologico); Valentina Quattro, Industry Relations Director Italia e Spagna di “TheFork”, la più affermata app di prenotazione di ristoranti; Riccardo Uleri,  amministratore delegato di Longino & Cardenal, affermata società di distribuzione di prodotti agroalimentari  nel canale Ho.RE.Ca.

Nel corso dell’evento hanno portato i loro saluti Sergio Rossi, Chief Executive Officer di Fierecom & Events e Antonella Capriotti, project manager di Veronafiere. Presente anche Alessandro D’Elia, direttore generale di Suolo e Salute.

L’impegno del 25% entro il 2027

D’Eramo ha confermato che il Governo intende rispettare l’ambizioso obiettivo di portare il biologico europeo al 25% di superficie agricola entro il 2027, anticipando così di tre anni la Farm to Fork europea. Ma anche di favorire l’equilibrio tra domanda e offerta, per una crescita armoniosa del mercato del bio, e per questo sta collezionando, con una serie di incontri ufficiali vis a vis, le diverse proposte delle organizzazioni del settore. Tra le quali quella di promuovere i consumi attraverso azioni di promozione nel canale dei consumi fuori casa (ristoranti, bar, hotel).

Lo scarso apporto dell’Horeca

Veniamo infatti da un periodo particolare, che ha messo in evidenza una tendenza contrastante per il bio: quando siamo stati costretti a incrementare i consumi casalinghi a causa del lockdown pandemico, il bio ha manifestato un deciso trend di crescita. Quando è tornato forte il canale on-trade, il bio ha iniziato a rallentare. Come mai? Emerge con tutta evidenza il basso utilizzo di ingredienti biologici nel settore Horeca, eppure il ruolo e la responsabilità di bar e ristoranti riguardo alla diffusione di uno stile di consumo più sostenibile è fondamentale. Con quali strumenti possono essere stimolati?

Secondo Riccardo Uleri la ristorazione è attenta alla sostenibilità ma fatica a trovare ingredienti bio e soprattutto a indicarli nei menù «per non screditare gli altri piatti». Anche la certificazione, secondo Uleri, rappresenterebbe un vincolo a cui la ristorazione preferisce slegarsi per contenere i costi in un periodo di forte crisi inflattiva.

Gli ingredienti bio siano evidenziati nei menù

Argomenti a cui si è fortemente opposto Riccardo Cozzo, che ha ricordato che il settore della ristorazione non è sottoposto al vincolo della certificazione e che l’indicazione nei menù di ingredienti biologici potrebbe costituire un forte elemento di valorizzazione per gli esercizi che facessero uso. Una chance da promuovere e stimolare.

Dello stesso avviso Sergio Rossi, organizzatore di B/Open, che ha ricordato che le stesse obiezioni erano state avanzate, agli esordi del biologico, dal settore della produzione e trasformazione, superati poi dall’evoluzione del mercato.

Ristoratori sensibili alla sostenibilità

In realtà il rapporto tra ristoratori, biologico e sostenibilità è più complesso ed è stato messo in luce dalla survey presentata a Verona da Valentina Quattro di The Fork. Si tratta della piattaforma leader nella prenotazione online dei ristoranti, nata nel 2007 ed entrata nel 2014 nell’orbita di Tripadvisors detiene l’esclusività delle prenotazioni dei ristoranti stellati Michelin e oggi è presente in 12 paesi.

Dal sondaggio “Dalla terra alla forchetta” su un campione di 2.465 ristoratori e utenti in tutta Italia, realizzato nel mese di marzo, è emerso il forte approccio alla sostenibilità sia sul lato B2B che B2C.

In particolare:

  • l’86% dei ristoranti ha fatto scelte attente alla sostenibilità negli ultimi 2 anni;
  • l’85% dei ristoranti utilizza più del 25% di materie prime di provenienza locale,
  • il 65% propone almeno un pasto vegetariano;
  • il 22% a km zero;
  • solo il 2% mette in evidenza il bio;
  • anche se la maggior parte (46%) dichiara di acquistare più del 20% di prodotti con certificazione biologica (il  67% lo fa per la qualità; il 44% per la filosofia del ristorante);
  • Per il 61% dei ristoratori inflazione e aumento dei costi non hanno contribuito positivamente alla sostenibilità;
  • il 37% dichiara invece di spende il 10% in meno nei costi di gestione del ristorante dopo esser diventato più ecosostenibile.

Le richieste dei clienti

Sul lato degli utenti:

  • il 56% è propenso a scegliere ristoranti che adottano pratiche sostenibili;
  • l’83% ritiene che la sostenibilità dipenda dalle materie prime utilizzate nei piatti (83%);
  • il 44% dal recupero e riutilizzo del cibo avanzato;
  • il 39% è disposto a premiare i ristoratori attenti all’ambiente;
  • I ristoranti che utilizzano prodotti a km zero sono di gran lunga i più prenotati (64%) seguiti dai ristoranti bio (12%)

 

IL BIOLOGICO CONTINUA A CRESCERE

IL BIOLOGICO CONTINUA A CRESCERE

Operatori e controlli: i dati tendenziali italiani relativi al 2022 presentati in anteprima da Assocertbio a B/Open danno segnali di ripresa, ma il ritmo è ancora insufficiente per rispettare gli obiettivi della Farm to Fork. Le proposte per evitare l’impasse

Segnali positivi per il comparto del biologico da B/Open. La kermesse dedicata al biologico certificato, ospitata per la prima volta all’interno del salone Sol&Agrifood, in concomitanza con Vinitaly, ha infatti esordito con il workshop “La crescita del biologico e i consumi fuori casa: sinergie per la sostenibilità”.

Durante l’incontro il presidente Riccardo Cozzo ha presentato i dati tendenziali relativi al 2022 elaborati da Assocertbio.

Il polso della situazione nei dati Assocertbio

La base sociale dell’Associazione nazionale degli Organismi di Controllo e Certificazione del Biologico, di cui Suolo e Salute è membro fondatore, è attualmente composta da 13 Organismi di controllo, che rappresentano il 94% del totale del settore.

Gli operatori certificati dei membri di Assocertibio sono stati 86.277 nel 2022, di cui 63.566 produttori esclusivi, 12.888 produttori/preparatori; 9.290 preparatori esclusivi e 533 importatori. I controlli totali sono stati 108.852; 13.150 le visite in loco non annunciate; 7864 i campionamenti.

I numeri

La proiezione di questo importante campione sul totale dell’universo bio italiano spinge a stimare un totale di:

  • 784 operatori presenti in Italia nel 2022,
  • con una crescita rispetto all’anno precedente di 5.640 unità;
  • che in percentuale rappresenta una crescita del 6,55%.

L’incremento maggiore è quello dei produttori esclusivi (+8,29%); mentre i preparatori rimangono pressochè stazionari (+1,7%).

Superfici ancora insufficienti per l’obiettivo

L’incremento di superficie stimato è però contenuto al 4,31% di sau bio. Si tratta di un incremento decisamente superiore rispetto a quello registrato nel 2021, ma secondo Cozzo ancora insufficiente e rispettare gli impegni dichiarati dal nostro paese di anticipare di tre anni il target del 25% fissato dalla Farm To Fork. Con questo ritmo di crescita a dicembre 2027 mancherebbero infatti ancora circa 300mila ettari per centrare l’obiettivo.

Effetto concentrazione

Anche perché, a pesare sulle performance del settore, incide la tendenza alla fuoriuscita dal sistema delle aziende più piccole. «Si assiste – commenta Cozzo – ad una concentrazione del bio, con una crescita della quota di operatori controllati con superfici  oltre i 15 ettari (pari oggi al 27%, mentre l’anno scorso erano fermi al 25%) e alla stabilità delle realtà oltre i 50 ettari (26%)».

Il peso di una burocrazia eccessiva

Calano invece gli operatori con superfici aziendali inferiori ai 15 ettari (dal 49 al 47% del campione in un solo anno). È il presumibile effetto delle crisi internazionali ma soprattutto di un peso burocratico che incide particolarmente sulle realtà meno strutturate.

Secondo Cozzo, «la revisione del Dlgs 20/2018 e i Decreti attuativi previsti dalla legge nazionale sull’agricoltura biologica possono quindi rappresentare non solo una opportunità per un miglioramento dell’efficienza del Sistema di Controllo e Vigilanza, ma anche l’occasione per individuare azioni di semplificazione per ridurre un carico burocratico che frena l’ingresso (e la permanenza) di operatori nel Sistema». «Una tendenza su cui incide anche la stretta dell’apparato sanzionatorio previsto sempre dal Dlgs 20/2018».

Il Governo sta elaborando uno specifico Piano d’azione in favore del settore del biologico. «Può essere l’opportunità – conclude Cozzo – per individuare delle strategie atte ad aumentare i consumi di ingredienti e prodotti biologici nel nostro Paese (vedi articolo precedente riguardo ai consumi fiori casa), ma anche per mettere in atto degli strumenti utili ad innalzare i tassi di crescita e rendere meno lontani gli obiettivi del 25% della Sau bio».

VOLANO IN GIAPPONE I VINI BIO E SOSTENIBILI MADE IN ITALY

VOLANO IN GIAPPONE I VINI BIO E SOSTENIBILI MADE IN ITALY

Cresce di un terzo l’export di vini italiani nel Paese del Sol Levante. Una survey di Alleanza delle Cooperative svela che buona parte di questo incremento è legato al successo dei nostri vini biologici e in particolar modo di quelli con imballaggi ecosostenibili

Giappone chiama Italia. Buone notizie per la vendita di vini italiani nel Sol Levante, dove hanno registrato una crescita in volume del 28,6% nel 2022, attestandosi a 200 milioni di euro (dato Ismea). Un successo trainato in particolare da una crescente richiesta da parte del mercato nipponico di vini “sostenibili”,  biologici oppure con packaging leggeri e facilmente riciclabili.

La ripresa dopo la pandemia

Lo rende noto alla 55a edizione di Vinitaly l’Alleanza Cooperative Agroalimentari a seguito di una rilevazione interna con le sue associate particolarmente impegnate nella vendita sui mercati esteri. L’incremento a due cifre delle vendite di vino è dovuto in particolar modo alla fine delle chiusure dovute alla pandemia. Finalmente le persone hanno iniziato a consumare di più, uscire di casa e riscoprire la socialità. Sono state riaperte le frontiere: prima il Giappone era chiuso all’ingresso degli stranieri, oggi invece c’è un forte aumento di visitatori in un paese dalla grande vocazione turistica.

Imballaggi riciclabili

Ma la novità più importante che emerge dalle rilevazioni fatte dalle cantine di Alleanza è la grande richiesta di vini biologici e di vini sostenibili con un packaging leggero. I giapponesi apprezzano il vino in lattina e in particolare il vino in tetrapak in confezioni da mezzo litro, materiale al quale guardano molto positivamente perché si tratta di un materiale facilmente riciclabile. Nel Paese dei crisantemi è molto importante un concetto di sostenibilità piena.

Ecologico, economico, elegante

La preferenza per il packaging da mezzo litro è anche dovuta al fatto che scegliere vino nelle classiche bottiglie di vetro sia assai più costoso, perché in Giappone le procedure di smaltimento dei rifiuti sono molto rigorose e il cittadino deve corrispondere un contributo a seconda del peso dei propri sacchetti di rifiuti. Dal momento che il tetrapak è compostabile e occupa pochissimo spazio, il problema si risolve con tre “e”: in modo ecologico, economico ed elegante, offrendo prodotti di qualità in confezioni dall’aspetto degno della loro storia.

Cantine cooperative, campionesse di export

Da una recente indagine sul grado di internazionalizzazione delle cooperative vitivinicole realizzata da Ismea per Alleanza delle cooperative, il fatturato generato dall’export delle cantine aderenti ad Alleanza cooperative tra il 2010 e il 2022 ha registrato una crescita del 130%, con un trend superiore all’andamento delle esportazioni nazionali di vino che nello stesso periodo sono cresciute del 101%.

IL PROSECCO PIACE SE È SOSTENIBILE

IL PROSECCO PIACE SE È SOSTENIBILE

In Italia il 28% dei consumatori sceglie il Prosecco in base alla presenza di attributi green (come il bio e il marchio di sostenibilità). All’estero l’interesse è ancora maggiore: 32% in Germania, 36% in Svezia e 40% negli Usa. É quanto emerge dall’originale analisi di Nomisma per il Consorzio di Tutela della doc Prosecco presentata in occasione della 55° edizione del Vinitaly.

Il biologico rappresenta, insieme alla sostenibilità, uno dei principali driver di acquisto del Prosecco. Un trend che coinvolge trasversalmente – seppur con entità diverse – i consumatori di tutti i principali mercati di riferimento del principe delle bollicine italiane. Nello specifico, in Italia il 28% dei consumatori sceglie il Prosecco da consumare proprio sulla base della presenza di attributi green (come il bio e la sostenibilità ambientale e sociale). All’estero l’interesse è ancora maggiore: si va dal 32% dei consumatori tedeschi per arrivare al 36% di quelli svedesi e al 40% di quelli statunitensi.

È quanto emerge dal sistema di survey che Wine Monitor Nomisma conduce da anni per il Consorzio di Tutela della doc Prosecco. Lo scopo è quello di monitorare i comportamenti di consumo del Prosecco nei principali mercati mondiali e valutare le potenzialità di sviluppo del vino spumante più venduto nel mondo, tra cui quelle legate alla certificazione di sostenibilità. Lo studio è stato presentato in occasione della 55a edizione della kermesse veronese.

La diffusione e la percezione dei vini sostenibili

In Italia il 9% dei consumatori di spumanti ha acquistato negli ultimi 12 mesi un vino certificato l’identikit dell’acquirente è ben definito: millennials, di genere maschile con titolo di studio e reddito elevato. Tali caratteristiche socio-demografiche si ritrovano anche in Germania e Svezia, dove la quota di soggetti che consumano vini sostenibili è più elevata rispetto all’Italia (in particolare nel caso del Paese Scandinavo) e pari rispettivamente al 10% e 15%.

Dalle consumer survey condotte da Wine Monitor Nomisma per il Consorzio di Tutela della DOC Prosecco emerge anche la migliore reputazione di cui godono questi vini. Si tratta, infatti, di prodotti che secondo i consumatori presentano un maggior rispetto dell’ambiente ma anche una maggiore tracciabilità, così come un più alto rispetto per lavoratori e cittadini. La sostenibilità non è difatti solo sinonimo di maggiore attenzione all’ambiente ma presenta anche forti connotati di natura sociale.

Opportunità da cogliere in Germania, Regno Unito e Usa

«Nomisma – dichiara Emanuele Di Faustino, Responsabile Industria, Retail e Servizi del centro sudi bolognese-  supporta da anni il Consorzio di Tutela della doc Prosecco e le aziende consorziate con originali analisi di market intelligence».

«Lo studio presentato a Vinitaly – continua – dimostra che il bio e la sostenibilità rappresentano un driver per valorizzare ulteriormente questa denominazione a livello globale». «In Germania, ad esempio, si collocano al secondo posto tra i fattori che potrebbero motivare a spendere di più per una bottiglia di Prosecco con una quota del 25%, valore che sale al 29% tra i consumatori degli USA, primo mercato di destinazione del Prosecco».

Nel Regno Unito (seconda destinazione del Prosecco) il 39% dei consumatori pensa che i vini bio & sostenibili saranno tra i più rilevanti trend di consumo dei prossimi 2/3 anni, tale quota sale al 47% negli Stati  Uniti e al 49% in Germania, rispettivamente primo e terzo mercato di export per il Prosecco doc.

Per soddisfare le esigenze, sempre più evolute, dei consumatori di tutto il mondo, il sistema Prosecco da anni investe per incrementare il livello di sostenibilità ambientale e sociale della denominazione.