Suolo e Salute

Autore: admin

6,7 MILIONI DI EURO PER LO SVILUPPO DEL BIOLOGICO ITALIANO

6,7 MILIONI DI EURO PER LO SVILUPPO DEL BIOLOGICO ITALIANO

Il sottosegretatio Luigi D’Eramo firma il decreto di ripartizione del Fondo per il biologico. I sostegni vanno a: ricerca, innovazione, piano d’azione e promozione del brand sul bio made in Italy

Sei milioni e settecentomila euro per sostenere le sfide dell’agricoltura biologica italiana. Lo scorso 29 dicembre il sottosegretario al ministero dell’Agricoltura, sovranità alimentare e foreste, Luigi D’Eramo, ha infatti firmato il decreto di ripartizione del “Fondo per lo sviluppo della produzione biologica”. Il Fondo, istituito a partire dalla legge finanziaria per il 2020 è stato integrato dal decreto-legge del 25 maggio 2021, n. 73 (secondo intervento anticrisi covid).

La ripartizione

Le risorse per il 2024 ammontano appunto a 6,7 milioni di euro e saranno destinate a finanziare:

  • programmi di ricerca e di innovazione;
  • Piano d’azione nazionale per la produzione e i prodotti bio;
  • Piano delle sementi biologiche;
  • realizzazione del marchio biologico italiano.

Bio comparto chiave

«Attraverso la ripartizione delle risorse a disposizione – afferma il sottosegretario in un take dell’agenzia Ansa – sarà possibile sostenere e incentivare la ricerca e l’innovazione fondamentali per affrontare le sfide dei prossimi anni e per migliorare la competitività di un settore chiave come il biologico».

«Di fatto – aggiunge -si sostiene con concretezza la crescita della filiera destinando fondi al Piano d’azione nazionale e al piano delle sementi bio, così come al marchio biologico italiano, che sarà un’ulteriore importante certificazione della grande qualità e sicurezza dei nostri prodotti».

I VANTAGGI SOCIALI DELL’AGRICOLTURA BIOLOGICA

I VANTAGGI SOCIALI DELL’AGRICOLTURA BIOLOGICA

Consumi energetici e perdite di nitrati nelle acque sotterranee dimezzati. Un terzo di specie viventi in più nei campi bio e 10% in più di carbonio nel suolo: sono i vantaggi sociali offerti dall’agricoltura biologica rispetto alla produzione convenzionale calcolati dal centro di ricerca Fibl in un suo recente rapporto. E il prezzo non è necessariamente maggiore rispetto agli alimenti convenzionali

L’Unione europea punta sul bio non solo per la sostenibilità ambientale ma anche per i numerosi benefici sociali. Quali vantaggi offre dunque l’agricoltura biologica rispetto alla produzione convenzionale su questo fronte? Per trovare la risposta Fibl, il centro di ricerche svizzero specializzato in sostenibilità, ha analizzato in maniera scientifica l’impatto delle interazioni tra diverse pratiche di gestione (lavorazione conservativa, uso di fertilizzanti compost, coltivazione di legumi) e gli ecosistemi locali.

Risposte per consumatori e decisori politici

«I consumatori – viene spiegato in una nota – vogliono sapere se acquistando un prodotto biologico contribuiscono o meno alla tutela dell’ambiente». «E i decisori politici si chiedono se gli obiettivi della politica agroambientale possano essere raggiunti in modo efficiente promuovendo l’agricoltura biologica o se un’altra misura non sarebbe più adatta a questo scopo». Il rapporto recentemente pubblicato dal Fibl riassume in modo conciso i risultati scientifici sui temi “protezione del clima”, “protezione delle acque”, “biodiversità”, “energia”, “salute” e “accessibilità economica”. Per utilizzare i risultati scientifici con il massimo valore informativo possibile, nella selezione della letteratura è stata posta particolare attenzione ai risultati delle meta-analisi scientifiche.

Sette vantaggi

I principali vantaggi individuati sono sette e a ciascuno di essi è dedicato un diverso capitolo:

  • l’agricoltura biologica è sinonimo di rendimenti sostenibili;
  • il bio porta vantaggi per la protezione del clima;
  • la gestione dell’acqua migliora con il biologico;
  • aumenta del 30% l’agrobiodiversità;
  • l’agricoltura biologica fa risparmiare energia
  • gli alimenti bio hanno numerosi benefici nutrizionali;
  • il bio non è necessariamente più costoso.
RISORSE MICROBIOLOGICHE CHE MIGLIORANO LA SALUTE DEL SUOLO

RISORSE MICROBIOLOGICHE CHE MIGLIORANO LA SALUTE DEL SUOLO

Individuare microrganismi in grado di aumentare la sostanza organica del suolo e migliorare le rese agricole. Un impegno che è valso alla startup FA bio un finanziamento da oltre 6 milioni di euro per incrementare la sostenibilità della produzione agricola

«L’agricoltura intensiva e l’uso eccessivo di prodotti chimici per l’agricoltura hanno contribuito a una perdita di biodiversità del 70% negli ultimi 50 anni, che è stata aggravata dagli effetti dannosi del cambiamento climatico – siccità, riscaldamento del suolo e aumento livelli di CO₂». Lo dichiara Angela de Manzanos Guinot, giovane amministratrice delegata di FA Bio, startup inglese attiva nel settore delle biotecnologie. Una delle giovani realtà che animerà il summit delle startup europee il prossimo maggio a Malta.

La fertilità biologica dei suoli

La soluzione per incrementare la fertilità biologica dei suoli però esiste. «Alcuni microrganismi del suolo hanno il potenziale per aumentare la produttività delle colture e fornire un’alternativa naturale ai fertilizzanti chimici, proteggendo gli ecosistemi naturali del mondo e le tecnologie innovative messe a punto nel nostro laboratorio sono in grado di individuare queste risorse naturali per metterle a disposizione degli agricoltori bio».

FA Bio (nota in precedenza con il nome FungiAlert), con sede a Harpenden, a nord di Londra, è un’azienda biotecnologica britannica che punta a proteggere gli ecosistemi naturali identificando bioprodotti microbici in grado di migliorare la salute del suolo e incrementare la produzione agricola. Un impegno che è valso il finanziamento da 6,1 milioni di euro da parte di tre fondi di investimento europei di venture capital.

Tre fondi di investimento

L’investimento è guidato da Clean Growth Fund, uno dei principali fondi di venture capital (VC) nel settore delle tecnologie pulite del Regno Unito, e Pymwymic, un fondo di venture capital con sede in Olanda focalizzato sugli investimenti in tecnologie alimentari e agricole. Anche Ship2B Ventures, un fondo di venture capital spagnolo che investe in aziende in fase iniziale che affrontano questioni ambientali e sociali chiave, ha investito in questo round. L’investimento sottolinea il crescente impegno finanziario nei confronti del settore biotecnologico da parte dei fondi di venture capital nei mercati globali.

Con sede presso il Rothamsted Research Center di Harpenden, una struttura di ricerca leader a livello mondiale che si concentra sulle scienze agricole, FA Bio è leader nella scoperta e nello sviluppo di bioprodotti microbici superiori, inclusi agenti di biocontrollo, biostimolanti e biofertilizzanti che possono sostituire le sostanze chimiche in agricoltura.

A caccia di microbi utili

L’innovativa tecnologia SporSenZ, esclusiva di FA bio, consente un campionamento microbico mirato, per raccogliere dati e isolati microbici dai campi agricoli. Con il suo team di scienziati esperti, l’azienda cerca quindi di sviluppare i microrganismi più promettenti ricavando bioprodotti ad alto contributo di sostenibilità.

«Con quest’ultimo round di investimenti – commenta de Manzanos Guinot- possiamo accelerare il nostro lavoro di ricerca e sviluppo e lo sviluppo di bioprodotti per il settore agricolo e realizzare la nostra visione di rivoluzionare l’agricoltura sostenibile».

NASCONO I BIODISTRETTI DELL’EMILIA ROMAGNA

NASCONO I BIODISTRETTI DELL’EMILIA ROMAGNA

Operativa la nuova legge regionale, la prima in Italia. L’assessore Mammi: «Premiato l’impegno delle aziende che si mettono in rete»

Nascono i bio-distretti dell’Emilia-Romagna: è operativa la nuova legge regionale – tra le prime in vigore in Italia – pensata per sostenere la cultura del biologico e stabilire un modello di sviluppo sostenibile in aree geografiche definite. La nuova normativa, osserva in una nota l’assessore regionale all’Agricoltura, Alessio Mammi «individua e disciplina il distretto del biologico, un’area geografica specifica dove almeno il 20% della superficie agricola viene coltivata utilizzando metodi bio».

7.330 imprese bio

«In questo contesto – aggiunge – viene premiato il lavoro di più aziende che si mettono in rete, creando un circolo virtuoso che promuove un intero territorio attraverso la collaborazione e l’adozione di pratiche agricole responsabili». Il settore del biologico conta, in Emilia-Romagna, 7.330 imprese che portano la regione al quinto posto a livello nazionale per numero di aziende che producono, trasformano o commercializzano prodotti biologici.

I vincoli numerici

Per costituire un distretto, gli imprenditori agricoli devono essere almeno 30, per 400 ettari di superficie bio, oppure operare su una superficie agricola utilizzabile biologica pari ad almeno il 20% della superficie bio totale del distretto. Il territorio minimo è di cinque comuni contigui in Emilia-Romagna. La contiguità dei comuni del distretto deve essere garantita anche nel caso in cui il numero dei comuni sia superiore a cinque. Il territorio del distretto deve comprendere attività agricole biologiche con una peculiare e distinta identità territoriale, storica e paesaggistica.

Il webinar di Greenplanet

Nei giorni scorsi il portale specializzato https://greenplanet.net/bio-distretti-saranno-utili-al-biologico-dal-webinar-di-greenplanet-un-unanime-si/ha organizzato uno specifico webinar di approfondimento sul tema dei biodistretti con esperti del calibro di Fabrizio Piva, Lucio Cavazzoni del Distretto biologico Appennino Bolognese, Sara Tomassini del Distretto bio Terre Marchigiane, Andrea Rigoni del Distretto bio Altopiano di Asiago. È emersa tutta l’utilità di un dispositivo che fa crescere la sostenibilità costituendo una forma di difesa nei confronti della competitività basata sul prezzo.

LEGAMBIENTE METTE I MULTIRESIDUI NEL MIRINO

LEGAMBIENTE METTE I MULTIRESIDUI NEL MIRINO

Positivo il riscontro dell’ultimo rapporto sui “Pesticidi nel piatto”, ma secondo Legambiente la bocciatura del regolamento sugli usi sostenibili (Sur) dimostra la necessità di non abbassare la guardia sul fronte della chimica in agricoltura

«Calano i pesticidi negli alimenti, ma ora serve una legge nazionale contro il multiresiduo che vieti la compresenza di principi attivi». È quanto auspica Legambiente per non derogare all’impegno della strategia europea From Farm to Fork di ridurre del 50% entro il 2030 i fitofarmaci utilizzati nonostante la bocciatura da parte del Parlamento europeo del regolamento sugli usi sostenibili degli agrofarmaci (che doveva essere lo strumento per realizzare questo obiettivo).

Il report presentato a Roma

È un quadro di luci e ombre quello tracciato dal nuovo report di Legambiente “Stop pesticidi nel piatto 2023”, che fa il punto sui fitofarmaci presenti negli alimenti sulle nostre tavole. Al centro dello studio, presentato il 19 dicembre a Roma, 6.085 campioni di alimenti di origine vegetale e animale provenienti da agricoltura biologica e convenzionale sottoposti ad analisi e relativi a 15 regioni italiane.

Le irregolarità calano all’1,6%

La buona notizia è che la percentuale dei campioni in cui sono state rintracciate tracce di pesticidi nei limiti di legge è risultata in diminuzione (39,21% contro il 44,1% dello scorso anno), così come quella dei campioni irregolari (1,62%). Regolare e senza residui è risultato il 59,18% (lo scorso anno erano 54,8%). La frutta si conferma la categoria più colpita con oltre il 67,96% dei campioni che contiene uno o più residui, mentre è positivo il dato sui i prodotti di origine animale: oltre l’88% è privo di residui. A destare invece preoccupazione il fatto che, seppur nei limiti di legge, nel 15,67% dei campioni regolari sono state trovate tracce di un fitofarmaco e nel 23,54% di diversi residui.

Dati questi che, soprattutto sul fronte del multiresiduo, fanno accendere più di qualche campanello di allarme agli addetti ai lavori rispetto ai possibili effetti additivi e sinergici sull’organismo umano del cosiddetto “cocktail di fitofarmaci”. Nei prodotti biologici, rintracciati residui solo nell’1,38% dei campioni, una contaminazione probabilmente dovuta al cosiddetto “effetto deriva” determinato dalla vicinanza ad aree coltivate con i metodi dell’agricoltura convenzionale.

I principi attivi trovati

Nei campioni analizzati sono state rintracciate 95 sostanze attive provenienti da fitofarmaci. Se la frutta è la categoria più a rischio, la verdura presenta un quadro migliore: il 68,55% dei campioni analizzati è risultato senza residui. Tra gli alimenti trasformati, i cereali integrali e il vino sono quelli in cui è stato rintracciato il numero più alto di residui permessi (rispettivamente 71,21% e 50,85%). Nota positiva i prodotti di origine animale: dei 921 campioni analizzati, l’88,17% è risultato privo di residui.

Tra i pesticidi più presenti si segnalano (in ordine decrescente): Acetamiprid, Fludioxonil, Boscalid, Dimethomorph. Da segnalare la presenza di residui di neonicotinoidi non più ammessi come Thiacloprid in campioni di pesca, pompelmo, ribes nero, semi di cumino e tè verde in polvere; Imidacloprid in un campione di arancia, 2 campioni di limoni, 3 campioni di ocra; Thiamethoxam in un campione di caffè.

Più convinzione nell’applicazione della Farm to Fork

Legambiente è preoccupata per la concreta realizzazione della strategia europea From farm to fork che, tra l’altro prevede entro il 2030 una riduzione del 50% dei fitofarmaci utilizzati e chiede una legge specifica sul multiresiduo che vieti la compresenza di principi attivi. Allo stesso tempo, l’associazione ambientalista continua la sua battaglia contro il glifosate – sostanza resa ancora legale attraverso una recente proroga di ulteriori dieci anni – e lancia una nuova campagna “Glifosate free” per premiare le aziende che, a dispetto della proroga, hanno messo al bando tale sostanza.

«Nonostante i dati incoraggianti – ha dichiarato Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente – la situazione appare ancora complessa e risulta evidente la necessità di un’ulteriore e concreta spinta politica affinché si possa davvero mettere fine alla chimica nel piatto». Zampetti è infatti preoccupato per la mancata approvazione del Sur, dispositivo emanato dalla Commissione europea che regola e limita l’utilizzo di fitofarmaci, ed evidenzia l’urgenza di adottare in Italia il nuovo Piano d’Azione Nazionale per l’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari la cui ultima stesura risale al 2014.

L’ ITALIA È LEADER NEL BIOLOGICO E NELL’OGM FREE

L’ ITALIA È LEADER NEL BIOLOGICO E NELL’OGM FREE

Coldiretti contesta la visione pessimista di Legambiente e dopo il rapporto sui pesticidi nel piatto mette in evidenza: «Nei cibi stranieri i residui chimici irregolari sono 10 volte superiori»

«L’Italia può contare sull’agricoltura più green d’Europa». È quanto afferma la Coldiretti nel commentare il report di Legambiente “Stop pesticidi nel piatto 2023” (vedi notizia precente) dalla quale emerge il primato dell’agricoltura nazionale nella sicurezza con il numero di campioni irregolari che scende all’1,62%.

I record del Belpaese

Sono infatti 5.547 le specialità ottenute secondo regole tradizionali protratte nel tempo per almeno 25 anni censite dalle Regioni, 325 specialità Dop/Igp/Stg riconosciute a livello comunitario e 415 vini Doc/Docg. Coldiretti mette anche in evidenza la decisione di non coltivare Ogm e la leadership nel biologico con circa 86mila aziende agricole.

Gli allarmi vengono da altrove

«Risultati che – sottolinea la Coldiretti in una nota stampa- confermano i dati dell’ultimo Rapporto pubblicato da Efsa secondo il quale i cibi e le bevande stranieri sono oltre dieci volte più pericolosi di quelli Made in Italy per quanto riguarda il numero di prodotti agroalimentari con residui chimici irregolari oltre i limiti di legge». Non a caso in Italia, continua la Coldiretti, oltre otto prodotti su dieci pericolosi per la sicurezza alimentare provengono dall’estero (86%) sulla base delle elaborazioni del sistema di allerta Rapido europeo (Rassf). Sul totale dei 317 allarmi rilevati nel 2022 – evidenzia Coldiretti – 106 scaturivano infatti da importazioni da altri Stati dell’Unione Europea (33%) e 167 da Paesi extracomunitari (53%) e solo 44 (14%) hanno riguardato prodotti con origine nazionale.