Suolo e Salute

Mese: Novembre 2015

La COP21 e l’emergenza cambiamento climatico: la trasformazione dell’agricoltura è l’unica via

Capi di stato di tutto il mondo si riuniranno il

30 novembre a Parigi per lanciare la 21a Conferenza

delle Parti dell’UNFCCC ( United Nations Framework Convention on Climate Change ), che durerà fino al

13 dicembre. I negoziatori avranno due settimane a disposizione per

progettare un nuovo “strumento legale” internazionale

che sostituisca il protocollo di Kyoto in scadenza nel 2020,

e che – al contrario di esso – dovrebbe comprendere tutti

paesi, inclusi gli Stati Uniti e la Cina (visto che insieme gli

Stati Uniti e Cina rappresentano oltre il 40% delle emissioni mondiali).

720x300_COP 21 parigiQuesti negoziati sono sempre una sfida enorme e

possono sempre fallire, ma la maggior parte degli osservatori ritengono che un

accordo significativo sembri a portata di mano.

Anche se ci fosse un accordo, lo sforzo di riduzione dell’effetto serra

sforzo di riduzione dei gas che ciascuna delle parti si impegna a una

base volontaria presentate finora, non sarà sufficiente

per limitare il riscaldamento globale al limite di 2 ° C, o anche meno 1,5 ° C.

L’agricoltura è stata un piccolo ma piuttosto controverso

argomento finora nel processo UNFCCC; sarà

affrontata nell’ambito delle questioni “terra”.

Mentre molti paesi sono ansiosi di vedere il settore

incluso nel nuovo accordo con l’obiettivo di riduzione delle emissioni,

altri paesi (soprattutto quelli in via di sviluppo) si oppongono a qualsiasi riferimento alla terra,

in quanto temono che gli sforzi di riduzione delle emissioni incentrati sul

settore agricolo potrebbe compromettere la sicurezza alimentare e

aumentare la concorrenza. Indipendentemente dal risultato

su questo argomento, è fondamentale garantire che la protezione

e il ripristino degli ecosistemi naturali siano ritenuti fondamentali, insieme

con la tutela dei diritti umani, in particolare la

diritti dei popoli indigeni e delle comunità locali.

Nel sistema contabile ufficiale delle Nazioni Unite, l’agricoltura

rappresenta il settore con il 10% delle emissioni. Ma la sua quota in

gas a effetto serra a livello mondiale (GHG) è molto più

più alto secondo altre stime. Se le emissioni

legata alla produzione di fertilizzanti sintetici e l’

impatto indiretto del settore agricolo – come la deforestazione

legati ai mangimi o alla produzione dell’olio di palma – sono presi in

conto, la quota sale al 33% delle emissioni. L’agricoltura,

e il sistema alimentare industriale globalizzato, sono quindi

una grande parte del problema. È chiaro che questo sistema

deve essere trasformato se il mondo vuole scongiurare un

cambiamento climatico disastroso.

I vantaggi dell’agricoltura biologica per questo scopo sono

riconosciuti, perché fornisce terreni sani e più

sistemi agricoli resilienti. Per la riduzione di emissioni,

produzione vegetale biologica riduce le emissioni di gas serra del 20-

30% rispetto ai tradizionali secondo alcune

stime. Altrettanto fondamentale, l’impatto dell’agricoltura sulla

biodiversità, sul consumo di acqua, sul benessere degli animali, sulla salute, per assicurare infine

i diritti e mezzi di sussistenza dei contadini lavoratori.

A COP21, il governo francese lancerà un’iniziativa sostenuta da un programma di ricerca ambizioso,

“4/1000: Terreni per la sicurezza alimentare e clima”.

Il programma si basa sul presupposto che anche

un tasso di crescita annuo del 4/1000 lo stoccaggio di carbonio del suolo

sarebbe fondamentale per raggiungere l’obiettivo a lungo termine

di limitare l’aumento di temperatura di + 1,5 / 2 ° C. Questa

iniziativa ha numerosi meriti, perché la rigenerazione del suolo

e la fertilità sono al centro di qualsiasi logica agricola e di

sistema, come ogni agricoltore biologico sa.

Dato il peso di interessi nel settore industriale

il sistema alimentare e il loro peso politico, è significativa

la mobilitazione a tutti i livelli di tutti gli attori della filiera produttiva agricola.

La COP21può rappresentare un negoziato internazionale fondamentale per trasformare

il sistema agroalimentare, e l’agricoltura biologica potrebbe essere un

parte significativa della soluzione.

Legumi: la nuova frontiera dell’agricoltura sostenibile e a misura d’uomo

Riscoperta dei legumi, rotazioni, coltivazioni autoctone e revisione amichevole del greening della nuova Pac. Sono questi i punti essenziali, secondo Gaetano Pascale, presidente nazionale di Slow Food, su cui far nascere una nuova frontiera agricola e alimentare votata alla promozione della sostenibilità e della salute dei cittadini. Il passo in più? Chiedere al ministro per le Politiche agricole Maurizio Martina di blindare gli ecotipi locali, tenendoli così al riparo da un possibile brevetto da parte dell’industria.

Pascale approfondisce l’argomento in una intervista rilasciata ad Agronotizie.

Secondo il presidente di Slow Food, i legumi possono essere un investimento da effettuare nel breve periodo, grazie al loro ciclo produttivo annuale. Attraverso opportuni interventi da parte dei singoli Stati membri a favore delle leguminose, questo alimento potrebbe diventare subito una nuova frontiera alimentare.”Perché è possibile coltivarli in qualsiasi contesto, anche nelle aree più complesse, come le aree di montagna, le colline, i terreni più poveri“, precisa Pascale.

legumi

 

 

 

 

 

 

 

 

L’introduzione dei legumi negli ordinamenti produttivi consente alle aziende di diventare padrone del proprio destino, staccandosi dalla necessità di rifornire le industrie, cosa che porta loro poco profitto.

A patto, però, che si punti sugli ecotipi locali: “Basta fare un piccolo investimento per confezionarli, qualche decina di migliaia di euro consente di far fare il salto di qualità anche ad una piccola impresa. L’operazione ha senso se l’impresa agricola punta su ecotipi locali, che hanno un’identità e un radicamento territoriale forte. Come Slow Food chiediamo modifiche alle misure di greening per accompagnare questo processo. Già oggi il greening chiede alle aziende più grandi di diversificare gli ordinamenti produttivi, noi chiediamo di fare un passo in più: diversifichiamo introducendo ecotipi locali. Se la scelta colturale è quella di avere grano, legumi e ortaggi, noi chiediamo che sia incentivata la coltivazione di grano, legumi e ortaggi che recuperano ecotipi locali”, spiega il presidente di Slow Food.

E in Italia esistono già esempi di aziende agricole che ricavano reddito da ecotipi locali di legumi su tutto il territorio nazionale, attraverso modelli sostenibili sul piano economico e ambientale perché tutti  basati su ordinamenti produttivi misti, incentrati sui legumi e sulle rotazioni.

Il Governo avrebbe già fatto qualcosa per favorire questo cambiamento, attraverso l’approvazione in via definitiva dal Parlamento della legge sulla biodiversità in agricoltura.  Ciò che manca, però, è fare in modo che i semi esistenti, e quindi anche quelli dei legumi, non corrano mai il rischio di essere brevettati e restino sempre nella disponibilità degli agricoltori, di pubblico dominio.

Un discorso da approfondire e portare avanti soprattutto in previsione del 2016, proclamato dalla FAO Anno internazionale dei legumi.

Fonti:

http://agronotizie.imagelinenetwork.com/vivaismo-e-sementi/2015/11/16/legumi-e-sud-quotper-una-nuova-agricoltura-a-misura-d-uomoquot/46288

http://www.leguminosa.it/?jjj=1447753531206

Glifosato: si applichi il principio di precauzione. Il tavolo delle associazioni scrive al Governo

Il glifosato è una sostanza attiva impiegata per la sua azione erbicida. Gli erbicidi a base di glifosato sono largamente adoperati per il controllo delle piante infestanti, sia su colture arboree che erbacee e in aree non destinate alle colture agrarie.

Nei giorni scorsi, l’EFSA, andando contro al parere dell’Agenzia per la ricerca sul cancro dell’Organizzazione mondiale della sanità, ha decretato la non cancerogenicità per l’uomo di questa sostanza attiva. A marzo, infatti, lo IARC aveva indicato il glifosato come sostanza a probabile cancerogenicità, dando avvio a una serie di proteste pubbliche e richieste per danni in tutto il mondo.

A seguito del parere dello IARC, il Tavolo delle associazioni ambientaliste e dell’agricoltura biologica aveva inviato una lettera al governo italiano chiedendo la rimozione del prodotto da tutti i disciplinari di produzione che lo contengono. L’esecutivo, tuttavia, non ha ancora dato nessuna risposta a riguardo.

glifosato

 

 

 

 

 

 

 

 

Una risposta che potrebbe essere messa a rischio dal parere dell’EFSA che sarà utilizzato come base dalla Commissione europea per decidere se mantenere o meno il pesticida nell’elenco UE delle sostanze approvate. Decisione che dovrà essere presa entro il 2015.

Dati i fatti, in questi giorni, il Tavolo delle 31 associazioni ha inviato una lettera al Governo Italiano, ai Ministeri competenti e al Parlamento, per chiedere di applicare il principio di precauzione al fine di proteggere la salute dei cittadini. L’intenzione è quella di vietare definitivamente e in maniera permanente la produzione, la commercializzazione e l’uso di tutti i prodotti a base di glifosato. In più, si chiede alle Regioni di rimuovere il prodotto da tutti i disciplinari di produzione che lo contengono e di escludere da qualsiasi premio le aziende che ne facciano uso evitando di premiare e promuovere “l’uso sostenibile di prodotto cancerogeno”.

Secondo quanto dichiara Maria Grazia Mammuccini, portavoce del Tavolo: “La decisione dell’EFSA era già nell’aria come si legge in una lettera inviata alla Commissione europea il 29 ottobre scorso da numerose associazioni. Nella missiva si mette in evidenza che la relazione dell’Istituto federale tedesco per la valutazione dei rischi (BfR) a supporto delle decisioni dell’EFSA non tiene in considerazione una vasta gamma di studi scientifici pubblicati da riviste internazionali indipendenti che sono stati invece valutati e considerati rilevanti dallo IARC“. L’Autorità, inoltre, si sarebbe basata in gran parte su studi mai pubblicati forniti dalle stesse multinazionali che producono il glifosato.

Come conclude Mammuccini, “il primo obiettivo è la salute dei cittadini. Per tutelarla occorrono strumenti seri, scientifici e indipendenti. I due pareri sono troppo divergenti per non richiedere l’applicazione del principio di precauzione e un approfondimento su più fronti. Nel frattempo, però, rafforziamo la nostra richiesta al governo italiano di vietare la produzione, l’utilizzo e la commercializzazione di tutti i prodotti a base di glifosato“.

 

Fonti:

http://www.ilfattoalimentare.it/glifosato-efsa-associazioni-principio-precauzione.html

http://www.legambiente.it/sites/default/files/docs/manifesto-glifosato2.pdf

http://www.nationalgeographic.it/scienza/2015/11/12/news/l_europa_smentisce_l_oms_glifosato_non_cancerogeno-2844253/

http://www.nationalgeographic.it/scienza/2015/11/12/news/l_europa_smentisce_l_oms_glifosato_non_cancerogeno-2844253/

 

Report: perchè le colture OGM non hanno mantenuto le loro promesse

Venti anni fa, le prime colture geneticamente modificate sono state impiantate negli Stati Uniti, insieme a grandi promesse su questa nuova tecnologia. Due decenni dopo, le promesse sono sempre più grandi, ma le colture OGM non stanno fornendo le giuste risposte. Non solo questa tecnologia dovrebbe rendere i sistemi alimentari e agricoli più semplici, più sicuri ed efficienti, ma le colture geneticamente modificate si stanno propagandato come la chiave per ‘nutrire il mondo’ e aiutare ‘lotta al cambiamento climatico’.

OGM coltureLa realtà è un po ‘diversa ed è stato descritto da Franziska Achterberg: la regista Greenpeace UE sulle politiche alimentari spiega come “dove le colture OGM sono cresciute, portano ad un maggiore uso di pesticidi e il radicamento dei sistemi di allevamento industriale a loro volta aggravano la fame, la malnutrizione e il cambiamento climatico.”

Ad oggi, l’85% delle colture OGM sono coltivati in quattro paesi delle Americhe (Stati Uniti, Brasile, Argentina e Canada) e un totale di 19 paesi dell’UE hanno scelto colture transgeniche.

Le promesse possono essere in crescita, ma la popolarità di colture OGM non lo è. Nonostante i venti anni di pro-OGM e la commercializzazione da parte di potenti lobby dell’industria, la tecnologia OGM ha attecchito in una manciata di paesi, per una manciata di colture. Le colture OGM sono coltivate ad oggi su solo il 3% della superficie agricola globale. Le cifre del settore infatti, mostrano che solo cinque paesi rappresentano il 90% del globale GM terre coltivate, e quasi il 100% di queste colture GM sono uno di questi due tipi: tollerante agli erbicidi o ai pesticidi . Nel frattempo, intere regioni del mondo sono riuscite ad evitare l’utilizzo di alimenti transgenici; ad esempio i consumatori europei non consumano alimenti geneticamente modificati, e un solo tipo di mais geneticamente modificato è coltivato in Europa. La maggior parte dell’Asia è libera da OGM, con la superficie di OGM in India e in Cina per lo più rappresentata da colture non alimentari come il cotone. Solo in tre paesi dell’ Africa crescono colture OGM. In parole povere, le colture OGM non possono ‘nutrire il mondo’.

Perché i prodotti alimentari OGM non rappresentano quel successo popolare che l’industria ci dice invece di essere?

Fonte: http://www.ifoam.bio/en/news/2015/11/06/report-why-gm-crops-have-failed-deliver-their-promises

Per approfondire il report GreenPeace: http://www.greenpeace.org/international/Global/international/publications/agriculture/2015/Twenty%20Years%20of%20Failure.pdf

Erbicidi e glifosato mettono a rischio la salute del terreno. Lo studio

Lo scorso marzo, lo IARC (Agency for Research on Cancer) ha classificato il glifosato, l’erbicida più utilizzato in Italia e venduto dalla Monsanto, tra le sostanze probabilmente cancerogene. La notizia ha avuto un’ampia risonanza sulla stampa nazionale ed estera. Ciò che meno si conosce, però, è l’effetto che il glifosato ha sul delicato ecosistema del suolo.

Un’idea la fornisce uno studio pubblicato sulla nota rivista Nature e riguardante gli effetti che l’erbicida ha sull’attività dei lombrichi.

Lo studio ha analizzato l’influenza del glifosato su due specie di lombrichi di terra, concludendo che erbicidi contenenti questa sostanza nei loro ingredienti colpiscono anche alcuni organismi no-target, determinando il quasi annullamento dell’attività del Lumbricus terrestris dopo circa tre settimane di applicazione del prodotto. L’altra specie analizzata, l’Aporrectodea caliginosa, ha invece mostrato una riduzione della propria attività riproduttiva del 56% entro tre mesi dall’utilizzo del glifosato.

erbicida

 

 

 

 

 

 

 

 

Non solo: l’uso dell’erbicida avrebbe portato anche a un aumento delle concentrazioni di nitrati nel suolo del 1.592% e di fosfato del 127%, indicando i rischi potenziali per la lisciviazione dei nutrienti nelle falde acquifere, in ruscelli, laghi o acque sotterranee.

L’impatto dell’erbicida sugli agrosistemi è particolarmente preoccupante, considerato che il prodotto è stato utilizzato a livello globale per decenni, non solo in ambito agronomico, ma anche nella sfera urbana.

I lombrichi sono degli insostituibili chimici e ingegneri del suolo: arricchiscono la terra di microorganismi che ne migliorano la fertilità, scavano gallerie che arieggiano il terreno ed aiutano lo sviluppo radicale della vegetazione.

Qualche tempo fa, in un suo rapporto, Greenpeace ricordava come alcune ricerche indipendenti avessero già dimostrato l’impatto del glifosato sui lombrichi e su funzioni chiave della rizosfera.

Tra gli effetti più importanti erano inclusi: il ridotto assorbimento di micronutrienti essenziali da parte delle colture; la riduzione della fissazione dell’azoto, che causa resa inferiore dei raccolti; la maggiore vulnerabilità nei confronti delle malattie. Effetti che hanno un impatto diretto sulla salute e le performance delle colture.

Alcuni patogeni delle piante, come il “mal del piede dei cereali” (Gaeumannomyces graminis), i funghi parassiti del “damping off” dei semenziali o del marciume radicale, e la sindrome della morte improvvisa nella soia, sono inoltre agevolate dalle modifiche indotte dal glifosato nella biologia e nella chimica del suolo. Senza contare, appunto, i possibili effetti di questa sostanza sulla salute dell’uomo.

Fonte:

http://www.nature.com/articles/srep12886

http://www.greenpeace.org/italy/Global/italy/report/2011/ogm/Report_glifosato.pdf

Cimice asiatica: a rischio i peri italiani. Situazione attuale e soluzioni per contenere l’invasione

La cimice esotica, Halyomorpha halys, invade il territorio bolognese. Dopo la prima comparsa del fitofago registrata nel 2012 nel modenese, arrivano le prime segnalazioni di una presenza anche nelle zone in provincia di Bologna e in particolare a Crevalcore, Sant’Agata e altri luoghi al confine con Modena.

Nell’arco di tre anni, dopo la sua prima comparsa in Italia, sembra che l’Halyomorpha halys sia riuscita a diffondersi nel reggiano, nel bolognese, in Lombardia, nel basso Veneto e in Piemonte.

Innocua per gli uomini e gli animali, la cimice esotica rischia di causare ingentissimi danni alle colture da frutto. Secondo alcuni studi, sembra che questa specie alloctona possa essere arrivata in Italia attraverso veicoli merci, provenienti dall’area cinese, forse per il trasporto delle piastrelle per l’edilizia.

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La cimice asiatica è una specie nuova per i nostri ambienti, in rapida diffusione sul territorio, che si nutre di piante, in particolare di alberi da frutto (soprattutto pere, pesche e mele).

In questo momento, i principali danni riguarderebbero gli alberi di pero, dove gli insetti adulti e i giovani pungono i frutti causando deformazioni e marcescenze che ne impediscono la commercializzazione. In alcune varietà (William, Santa Maria), i danni hanno superato il 50% della produzione. Più contenuto invece l’attacco all’Abate Fetel, melo e kaki.

Come dichiara Massimo Bariselli, tecnico del Servizio fitosanitario della Regione Emilia Romagna, ad Agronotizie: “La cimice asiatica è un organismo esotico che, nel nuovo ambiente, non ha limitatori naturali. Le popolazioni tendono quindi a crescere in modo esponenziale, non trovando ostacoli. Inoltre la specie è caratterizzata da una estrema polifagia: infatti è in grado di danneggiare oltre settanta specie vegetali sia di interesse agrario che ornamentale. L’estrema mobilità degli adulti, che sono buoni volatori e si spostano di frequente da una pianta all’altra, rende ancora più difficile sia il monitoraggio che la difesa“.

I danni, spiega Bariselli, potrebbero interessare anche alcune colture ortive, peperone e pomodoro in primis.

La regione Emilia Romagna ha attivato un monitoraggio diffuso che ha coinvolto tecnici e cittadini, finalizzato a delimitare l’area del fitofago.

Come spiega il tecnico del Servizio fitosanitario emiliano, bisognerà lavorare duramente nel periodo invernale per definire delle strategie di controllo sostenibile che vadano oltre la fase tampone iniziale e consentano di ridurre la pericolosità delle specie verso le principali colture frutticole della Regione.

A tal proposito, dovranno essere valutate tutte le possibili tecniche alternative e complementari che consentiranno di controllare la cimice asiatica, visto che l’esperienza ha dimostrato come questa specie non possa essere contenuta solo con la difesa chimica. Si parla dunque di “attract and kill” e colture trappola, reti anti-insetto e lotta biologica. In particolare, per favorire quest’ultima soluzione, si sta lavorando anche per superare i vincoli normativi che impediscono a priori l’introduzione di Trissolcus japonicus, un parassitoide oofago proveniente dalle zone di origine della cimice, che funge da limitatore naturale.

Fonti:

http://www.adnkronos.com/fatti/cronaca/2015/10/08/bologna-scatta-allarme-per-invasione-della-cimice-asiatica_Q1wsQOkJZdOwx65uQXAr4M.html?refresh_ce

http://agronotizie.imagelinenetwork.com/vivaismo-e-sementi/2015/11/05/cimice-asiatica-e-esotico-il-nuovo-nemico-del-pero/46136

http://bologna.repubblica.it/cronaca/2015/10/08/news/nella_bassa_bolognese_scatta_l_allarme_cimice_asiatica-124611484/