Semi derivati da fusione cellulare: ecco come rimpiazzarli in agricoltura bio
Dopo un percorso interno all’organizzazione, IFOAM – Organics International, federazione che riunisce gli stakeholder del settore bio a livello mondiale, ha deciso di rivedere la propria posizione su determinate tecniche di ingegneria genetica. La prima definizione in materia creata dall’organizzazione, non includeva infatti le tecniche di fusione cellulare. Una discussione successiva ha invece portato alla revisione di tale assunto e all’inserimento di tali tecniche nella più ampia definizione di ingegneria genetica, da cui deriva come risultato la produzione di Organismi Geneticamente Modificati.
Questo pone un problema pratico ai coltivatori biologici. Come informa la stessa IFOAM, infatti, “l’utilizzo decennale di questa tecnologia per la riproduzione di determinate cultivar ha come conseguenza il fatto che l’intera catena commerciale delle sementi siano derivate da essa”. Sarebbero, quindi, scarse le alternative per i produttori bio.
Un problema che diventa ancora più acuto a causa di “molte aziende di sementi che sono poco trasparenti sulla storia riproduttiva dei propri prodotti”. Si impone quindi una strategia per ovviare a tali difficoltà. Ecco perché IFOAM ha diffuso un documento intitolato “Situation Analysis and Strategy for Replacing Cell Fusion Cultivars in Organic Systems”. Il report ha quindi l’obiettivo di analizzare la situazione attuale e implementare strategie per rimpiazzare le cultivar da fusione cellulare nei sistemi biologici.
Fusione cellulare: definizione
Come accennato, le tecniche di fusione cellulare non erano state inizialmente incluse da IFOAM tra quelle di ingegneria genetica. Questo perché il dibattito pubblico sugli OGM è stato spesso focalizzato più sul DNA ricombinante che sulle tecnologie cellulari. Ma la riflessione è stata recentemente capovolta:
«Da un punto di vista biologico – spiega IFOAM – le cellule sono la più piccola entità della vita auto-organizzata. Un intervento tecnologico al di sotto di tale soglia, come accade nelle tecniche di fusione cellulare, non è in linea con i valori dell’agricoltura biologica».
Tale tecnologia è infatti impiegata per “ibridare le piante attraverso la rimozione delle pareti cellulari di specie diverse”. Specie che, in condizioni naturali, non si accoppierebbero. La tecnologia invece, “impiegata dagli allevatori sin dagli anni ‘80” permette di fondere i contenuti delle loro cellule.
Fusione cellulare: il problema per i coltivatori bio
Una volta stabilita l’incompatibilità di tali sistemi con le tecniche agricole biologiche, si pongono una serie di problemi pratici per i coltivatori. La tecnica è stata infatti estremamente pervasiva. Nel corso di oltre 30 anni di applicazione, ha finito per essere estesa alla quasi totalità della fornitura di sementi a livello globale. In questo modo ha lasciato, anche agli agricoltori bio, scarse possibilità alternative.
«Il problema – sottolinea IFOAM – è particolarmente acuto a livello globale su determinate cultivar di crocifere: broccoli, cavolfiore, cavolo rapa, e altri tipi di cavolo, e per la colza».
Per tali verdure, gli agricoltori bio sono stati spesso lasciati “senza forniture alternative” rispetto a quelle ottenute tramite fusione cellulare. Le alternative vanno però via via instaurandosi, grazie anche a una nuova consapevolezza diffusa sul tema.
Fusione cellulare: le alternative dall’Europa
«Diversi progetti europei per rimpiazzare le cultivar da fusione cellulare nella catena del valore bio hanno creato modelli utili».
Gli esperti di IFOAM hanno raccolto nel documento le buone pratiche europee per la sostituzione di sementi proveniente da tali tecniche di ingegneria genetica. È il caso per esempio della Germania, dove già dal 2013 si è posto il problema: oggi i prodotti cell fusion free sono relativamente semplici da trovare. Anche perché le associazioni di categoria (Bioland, Demeter, Naturland e così via) hanno escluso tali cultivar dai propri standard produttivi.
Sono stati diversi i progetti europei in tema, che IFOAM cita come esempi di buone pratiche: da Fair Breeding, in cui alcuni dettaglianti hanno deciso di supportare in prima persona le produzioni biodinamiche, all’italiano Bioverita.
Da tali esempi, IFOAM ha tratto alcuni principi pratici su cui basare la propria strategia. In primo luogo, si punta alla creazione di network regionali per coordinare e spingere le azioni strategiche necessarie in specifiche catene valoriali bio; IFOAM può invece mantenere un ruolo globale nel supportare il movimento.
Nello specifico, i due network saranno impegnati nell’adozione di una serie di attività:
- Stimolo della consapevolezza negli operatori di settore
- Creazione di coltivazioni alternative
- Accesso degli agricoltori a tali alternative
- Accettazione da parte dei consumatori
- Revisione delle norme e dei regolamenti biologici
FONTI:
https://it.wikiversity.org/wiki/Organismi_geneticamente_modificati