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BIOCONTROLLO, UN COMPARTO PIENO DI IDEE

BIOCONTROLLO, UN COMPARTO PIENO DI IDEE

Le realtà attive nel biocontrollo si incontrano a Basilea e dimostrano che l’opzione di un’agricoltura senza chimica entro il 2050 è possibile. Tutte le soluzioni innovative premiate

Biocontrollo: un’opzione sostenibile accattivante sempre più diffusa per fare fronte alle malattie e ai parassiti delle piante. Il Biocontrol Industry Meeting , l’incontro annuale dell’industrie che operano in questo settore, riunite sotto la sigla Ibma, si è recentemente tenuto presso il Centro Congressi di Basilea in, Svizzera.

115 espositori internazionali del settore del biocontrollo hanno presentato in questa occasione le loro soluzioni innovative davanti a un pubblico di 1800 partecipanti provenienti da 58 nazioni.

La 18a edizione dell’evento è stata organizzato dall’Istituto di ricerca sull’agricoltura biologica FiBL assieme a Ibma (Associazione internazionale dei produttori di biocontrollo) ed è stata ricca di discussioni stimolanti, presentazioni approfondite e idee innovative.

La svolta del regolamento sugli usi sostenibile

«Siamo in un momento di svolta per il biocontrollo in Europa – ha affermato Jennifer Lewis, Direttrice esecutiva dell’Ibma -. L’ormai prossima pubblicazione del Regolamento sull’Uso Sostenibile (SUR) degli agrofarmaci è un atto legislativo fondamentale che fornisce una definizione di biocontrollo a livello europeo e il potere di accelerare la transizione verso una maggiore sostenibilità in agricoltura». Occorre quindi, secondo Lewis, garantire a un numero sempre maggiore di agricoltori l’accesso a soluzioni di biocontrollo che consentano a loro, e alle future generazioni di agricoltori, di gestire i propri raccolti in modo produttivo, migliorando al tempo stesso la biodiversità e rafforzando la resilienza nelle loro aziende agricole.

«I sistemi e i processi agricoli – ha aggiunto Lucius Tamm, amministratore delegato di Abim AG – devono diventare più sostenibili in futuro. Il biocontrollo fornisce soluzioni cruciali e può modellare con successo questo processo di trasformazione verso un’agricoltura sostenibile».

Anche perché l’obiettivo dell’Europa riguardo agli agrofarmaci di sintesi è molto più ambizioso di quanto fissato dal regolamento Sur. A Basilea la tavola rotonda ​​“Un’agricoltura europea senza pesticidi nel 2050” ha coinvolto autorità europee (Dg Sante) e ricercatori (l’istituto nazionale francese Inrae) dimostrano che la transizione verso un’agricoltura più resiliente e produttiva è possibile quando si combina l’ampio utilizzo di soluzioni di biocontrollo con altre pratiche agroecologiche.

Il premio Bernard Blum Award

Le innovazioni sono sempre state una forza trainante nel settore del biocontrollo. Istituito nel 2015, il premio Bernard Blum Award viene assegnato ogni anno a prodotti innovativi di biocontrollo che forniscono soluzioni per la gestione di parassiti o malattie che sono anche migliori per le persone e il pianeta.

Tra le oltre 35 proposte in lizza, il vincitore del Bernard Blum Award per le nuove soluzioni di biocontrollo è DCM per il prodotto PEA-02 (a base di fagi attivi nei confronti di Erwinia amilovora, agente del colpo di fuoco batterico delle pomacee). Al secondo posto l’azienda Signs con prodotto NoReds, a base di allomoni efficaci contro l’acaro rosso dei polli e il terzo posto è Koppert per il prodotto Nezapar, a base del parassitoide Trissolcus basalis, efficace contro la cimice Nezara viridula. Il vincitore della categoria “Miglior prodotto innovativo che assiste l’adozione del biocontrollo” è Biobest per il suo prodotto Trap-Eye, trappole per il monitoraggio digitale.

BIO, UN’IMMAGINE DA “SVECCHIARE”

BIO, UN’IMMAGINE DA “SVECCHIARE”

«Biologico vuol dire professionalità e impegno. Basta con le “galline svolazzanti” o altre immagini bucoliche che lasciano il tempo che trovano»: l’intervista di Alessandro D’Elia, direttore generale di Suolo e Salute sul magazine digitale Greenplanet.net

«Esplicitiamo i costi del NON bio per dimostrare la sostenibilità del bio» è il titolo dell’intervista che il direttore generale di Suolo e Salute Alessandro D’Elia ha rilasciato a Chiara Affronte giornalista del sito d’informazione Grennplanet.net (vedi https://greenplanet.net/delia-suolo-e-salute-per-dimostrare-la-sostenibilita-del-bio-basta-esplicitare-i-costi-del-non-bio/).

Riportiamo qui il testo dell’intervista

È ora di “svecchiare” l’immagine del biologico come modello bucolico di agricoltura. Niente di più sbagliato, perché, al contrario, il bio richiede una professionalità vera e strutturata, necessaria per andare verso il futuro. Ne è convinto Alessandro D’Elia, direttore generale di Suolo e Salute, che interviene nel dibattito sull’agricoltura biologica, in bilico tra un’idea spesso sbagliata diffusa tra le persone e la propensione per uno sviluppo tecnologico a supporto del metodo.

Un viaggio affascinante verso la sostenibilità

Le aziende biologiche sono imprese che devono stare sul mercato: come si coniuga questa esigenza con l’immagine che viene spesso comunicata all’esterno del biologico?

«Per le imprese agricole del biologico è tempo di investire, perché la strada obbligata è quella della competitività e della redditività. È tempo di compiere un salto di qualità nella comunicazione e per svecchiare il concetto sbagliato che accompagna il biologico e lo dipinge ancora come amatoriale, quasi hobbistico e a tecnologica zero».

«L’agricoltura biologica non è un ritorno al passato, ma, al contrario, un viaggio affascinante verso un futuro sostenibile».

«Penso che i cittadini europei abbiano ben chiaro questo concetto: lo dimostra il fatto che, con l’avvio della nuova Politica agricola comune, dall’inizio del 2023, si è innescata la sfida di portare il metodo di coltivazione bio al 25% delle superfici agricole del vecchio continente, entro la fine del decennio. Un obiettivo ambizioso per la PAC, voluto proprio dalle associazioni di consumatori, dai gruppi di opinione e dai privati cittadini che hanno partecipato numerosi alla consultazione pubblica appositamente attivata dalla Commissione Europea».

«Al bio viene riconosciuto il suo bassissimo impatto ambientale, la capacità di impiegare l’energia e le risorse naturali in modo responsabile, conservando la biodiversità, l’equilibrio ecologico, la salute del suolo, la qualità delle acque, la stabilità del clima. Il bio, inoltre, favorisce il benessere degli animali allevati, la salute dei consumatori e – perché no – il reddito degli agricoltori».

«Un mix di obiettivi vecchi e nuovi, comunque impegnativi, che richiedono l’applicazione del massimo grado di competenza e preparazione, anche nell’utilizzare le nuove tecnologie digitali, sia da parte dei produttori agricoli che di tutte le altre professionalità che orbitano nella galassia del bio: dai tecnici, ai distributori, ai certificatori, persino da parte dei comunicatori. Insomma, non c’è bisogno di far vedere galline svolazzanti nei prati per raccontare le virtù del biologico…».

 

Il pensiero genera la materia

Come si può comunicare l’esigenza di sostenibilità con la richiesta che arriva dal mercato, e cioè di prodotti che siano salutari per le persone e rispettosi dell’ambiente?

«La crisi inflattiva innescata da guerra e pandemia sta dando l’illusione ai detrattori del bio di poterne mettere in discussione la sostenibilità economica per una presunta minore produzione per ettaro che farebbe crescere i costi di produzione».

«Credo che si tratti solo di un modo vecchio e superato di vedere le cose nuove: un’ipocrisia che non può fare breccia su consumatori motivati e informati».

«Giordano Bruno sosteneva che è il pensiero che genera la materia e non il contrario».

«La carica innovativa del biologico deriva dall’ “eresia” di anticipatori come il professor Francesco Garofalo, principale ispiratore più di 50 anni fa della nascita dell’Associazione Suolo e Salute, la realtà da cui si è poi sviluppata l’esperienza del nostro ente di certificazione».

«La sua “giusta visione” di un’agricoltura in grado di produrre alimenti sani nel rispetto e salvaguardia dell’agroecosistema, mantenendo la fertilità del terreno e preservando le falde acquifere, ha incontrato nel tempo il favore dei movimenti ambientalisti, ha fatto da innesco al riconoscimento normativo dell’agricoltura biologica e oggi risponde in pieno alle esigenze della generazione del movimento Fridays for future, con le sue giuste preoccupazioni per il futuro climatico del nostro pianeta».

«Per dimostrare definitivamente la sostenibilità del biologico basterebbe rendere espliciti, magari sui banchi di vendita, i costi nascosti degli alimenti non bio, in termini di consumo di risorse non rinnovabili, di emissione di gas serra, di ingiustizia economica e sociale, ecc. La produzione di cibo è chiamata ‘settore primario’ perché sta alla base dello sviluppo della nostra intera economia. L’idea che la remunerazione delle esternalità positive, dei servizi ecosistemici offerti del bio debba continuare ad essere disgiunta dalla valorizzazione dei suoi prodotti va contro ogni regola di libero mercato e rischia di produrre solo diseconomie».

Il benessere degli animali al centro

Allevamenti intensivi e allevamenti bio: quali sono le differenze da comunicare sul piano del benessere animale?

«Nulla di nuovo: gli allevamenti intensivi sono oggi in forte discussione per l’impatto notevole sull’agroecosistema. Infatti, sono responsabili di un maggiore inquinamento del suolo e dell’acqua, compromettono la biodiversità e sono anche causa di elevate emissioni di gas serra».

«Inoltre gli animali allevati senza il rispetto del benessere sono più esposti a zoonosi, anche trasmissibili all’uomo, e di conseguenza soggetti a una larga somministrazione di antibiotici, con gravi rischi di comparsa di resistenze. In alcune trasmissioni televisive d’inchiesta si sono addirittura visti allevamenti dove gli animali sono ‘umiliati’ e sottoposti a sofferenze indicibili».

«E qui l’uomo-allevatore perde ogni senso di umanità. Il consumatore è oggi sensibile al tema del benessere animale e il rischio è che gli errori di alcuni mettano in discussione tutto il settore zootecnico. Invece, occorre comunicare che un’alternativa sostenibile sul piano ambientale, sociale e anche economico non solo è possibile, ma è già esistente. La zootecnia biologica è l’alternativa perché pone al centro, da sempre, il benessere degli animali allevati».

«È, infatti, imperniata sul rispetto degli spazi vitali, sull’alimentazione corretta degli animali, con mangimi bio e non OGM, sulle cure veterinarie omeopatiche e con scarsissimo ricorso agli antibiotici. Il bio dà la giusta importanza all’accesso al pascolo, alla riproduzione naturale senza l’utilizzo di ormoni o altre sostanze chimiche e al rispetto delle fasi di crescita nel rispetto dell’etologia degli animali senza ‘spingerli’ a una produzione esagerata. Il vero valore aggiunto, l’elemento su cui fare leva per valorizzare questo settore, è la certificazione degli allevamenti. Il biologico si basa sulla fiducia dei consumatori, una fiducia conquistata sui mercati di tutto il mondo grazie anche ad un sistema di certificazione di processo che si basa sulla terzietà, affidato a strutture private sottoposte alla vigilanza pubblica».

«L’affidabilità del sistema di controllo è il vero ingrediente che fa la differenza per tutelare il bio. Tanto e vero che la prima mossa dell’Unione europea, per sostenere l’obiettivo di crescita del bio, anche nel campo della zootecnia, è stata quella di rafforzare proprio il sistema di controllo attraverso misure precauzionali più rigorose e verifiche più approfondite lungo tutta la filiera. Ovvero attribuendo più responsabilità agli operatori e agli enti di certificazione. Insomma, gli allevamenti biologici sono la sintesi perfetta tra benessere animale e benessere ambientale, sono garantiti a più livelli e ciò oltre ogni penoso tentativo di interessato discredito».

(Chiara Affronte)