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TRA INRAE E FIBL UN PATTO NEL NOME DELLA RICERCA NEL BIO

TRA INRAE E FIBL UN PATTO NEL NOME DELLA RICERCA NEL BIO

L’istituto di ricerca francese e quello svizzero rinnovano il loro accordo di cooperazione per favorire lo sviluppo dell’agricoltura biologica

Insieme per fare crescere il bio. Philippe Mauguin, Presidente e Direttore Generale dell’INRAE (istituto nazionale francese di ricerche per l’agricoltura e l’ambiente) e Knut Schmidtke, Direttore dell’Istituto di Ricerca sull’Agricoltura Biologica FiBL, hanno rinnovato nel corso della Fiera Internazionale dell’Agricoltura di Parigi l’accordo di cooperazione siglato cinque anni orsono.

Gli obiettivi

Nel corso di questa collaborazione, i ricercatori dei due istituti hanno lavorato insieme su più di dieci progetti europei. Una cooperazione che mira a:

  • sviluppare ulteriormente l’agricoltura biologica e accompagnarne la crescita,
  • fornire le risorse di conoscenza richieste dagli agricoltori bio,
  • garantire la produttività e la qualità degli alimenti (conservazione, trasformazione, qualità e salute)
  • esaminare i temi della coesistenza dei sistemi di produzione (agricoltura biologica, altre etichette sostenibili, agricoltura convenzionale).

Scambi tra Parigi e Zurigo

Mentre l’Unione Europea si è impegnata a destinare al bio almeno il 25% dei terreni agricoli entro il 2030, il rinnovo dell’accordo tra Inrae ​​e FiBL conferma la volontà dei due istituti di lavorare insieme per sostenere questo obiettivo. Lo scambio tra ricercatori, la supervisione congiunta di studenti di dottorato e l’attuazione condivisa di grandi progetti di ricerca saranno ulteriormente ampliati.

LA RIVOLTA DEL BIO FRANCESE CONTRO LE ETICHETTE CHE FANNO GREENWASHING

LA RIVOLTA DEL BIO FRANCESE CONTRO LE ETICHETTE CHE FANNO GREENWASHING

Alla 59° edizione del Salon International de l´Agriculture di Parigi va in scena la contestazione di produttrici bio motivate come Rosélène Pierrefixe contro scelte politiche che sfruttano il boom dei consumi bio degli anni scorsi per favorire protocolli alternativi come quelli marchiati Hve (High Environmental Value)

«Se non ci fossero gli agricoltori biologici finireste per mangiarvi solo le unghie!». A Parigi, Porte de Versailles, fino al 5 marzo va in scena la 59° edizione del Salon International de l´Agriculture. Un’edizione che si sta caratterizzando per la riscossa dell’orgoglio bio. Rosélène Pierrefixe è una giovane imprenditrice bio bretone. Dieci anni fa ha investito assieme al marito i suoi pochi averi, ma massima volontà di fare, in una minuscola azienda orticola a Monterblanc, vicino a Vannes, nel dipartimento del Morbihan, in Bretagna. Nel 2019 ha conquistato la copertina del mensile francese di agricoltura biologica “Symbiose” in un numero dedicato alle piccole realtà bio, giustificando il titolo: “microaziende, maxi fierezza”.

L’impatto del climate change

Una fierezza oggi piegata dall’impatto del climate change. «La scorsa estate – racconta-, il sud della Bretagna ha registrato temperature record, fino a 41 gradi». «Ondate di caldo e di siccità che hanno reso più impegnativo, anche dal punto di vista fisico, il nostro lavoro». «Ma quello che più indigna è come le autorità hanno mal governato la grave carenza idrica».

«Abbiamo infatti dovuto conquistarci ogni goccia d’acqua litigandocela con chi gestisce campi da golf o autolavaggi». «Eppure noi produciamo cibo. E con l’agricoltura biologica siamo in grado di immagazzinare nel suolo più carbonio di quanto ne emettiamo, contribuendo a mitigare gli effetti del climate change».

Una crisi climatica che si sta riproponendo, ma in maniera decisamente anticipata, quest’anno. «In Bretagna non piove da più di un mese, l’emergenza delle colture è rallentata e le espone al rischio delle gelate». «Gli eventi meteo estremi sono ormai diventati la norma: se arriva una gelata quando le patate sono alte 20 centimetri perdiamo tutto».

La contestazione va in scena a Parigi

Una situazione allarmante che l’ha spinta a recarsi a Parigi per contestare la consueta sfilata di politici al Salon International de l´Agriculture: «State sbagliando tutto: create confusione per sfavorire i consumi di cibo biologico e locale. Vorrei che il marchio del bio fosse riconosciuto, che i suoi agricoltori fossero ascoltati, non solo la Fnsea (Fédération nationale des syndicats d’exploitants agricoles, la federazione ombrello che riunisce le maggiori sigle di agricoltori francesi convenzionali)..».

Ecoscore e Hve, messaggi fuorvianti

Sotto accusa, non solo da parte di Rosélène, è il marchio Hve (High Environmental Value), voluto dal ministero dell’agricoltura francese. Dopo la denuncia di Ifoam Organics Europe contro il marchio francese eco-score (ne abbiamo parlato qui) perché favorisce la produzione intensiva a discapito di quella biologica,  un gruppo di associazioni, agricoltori e aziende ha seguito l’esempio facendo ricorso all’alto Consiglio di Stato in gennaio 2023 contro l’etichetta francese di Alto Valore Ambientale (HVE) asserendo che ha ingannato il consumatore per più di dieci anni. «Viene spacciata come molto rispettosa dell’ambiente, ma il disciplinare che c’è dietro non è più esigente della media delle pratiche agricole francesi, secondo gli studi condotti dall’Ufficio francese per la biodiversità e dall’Istituto per lo sviluppo sostenibile e le relazioni internazionali».

Dopo il boom registrato in Francia nel 2020 e 2021 il consumo del bio in Francia è rallentato anche a causa della confusione innescata da queste etichette e alla retromarcia del Governo francese sui promessi aiuti nazionali agli agricoltori bio. Le referenze bio sugli scaffali della grande distribuzione stanno così calando a discapito di etichette che fanno greenwashing.

La riscossa del bio

Le evidenze scientifiche confermano però che è l ‘agricoltura biologica a preservare la biodiversità, proteggere la qualità dell’acqua, del suolo e dell’aria e adattarsi meglio ai cambiamenti climatici. Tanto che anche il gruppo intergovernativo di esperti sui cambiamenti climatici (IPCC) raccomanda di espandere rapidamente questo modello agricolo.

Al Salone di Parigi è così scattata la riscossa del bio: associazioni come Fnab (Federazione nazionale dell’agricoltura biologica) o Terre de Liens hanno avviato campagne informative per spingere i consumatori a guardare meglio le etichette e riconoscere il marchio del bio. In più dal 20 al 30 marzo è stata indetta “la Settimana delle alternative ai pesticidi”. Perchè il contrasto al cambiamento climatico ha bisogno di produttori responsabili, ma anche di consumatori consapevoli.

LA FRANCIA E I TERRITORI BIOLOGICI “IMPEGNATI”

LA FRANCIA E I TERRITORI BIOLOGICI “IMPEGNATI”

Il recente riconoscimento ottenuto dal distretto di Gers, a ovest di Tolosa, consente di entrare nel merito di una certificazione ambita che nel Paese transalpino vale da 8 anni come quella italiana di biodistretto

Più efficaci e più riconoscibili dei biodistretti italiani. E questo ormai da più di otto anni. La Francia, per favorire la coesione territoriale del biologico, ha adottato un marchio certificato: “Territoire Bio Engagé”, ovvero “territorio biologico impegnato”.

L’iniziativa dell’Occitania

Un’iniziativa che l’interprofessione regionale del biologico Interbio dell’Occitania ha adottato sin dal 2014 e che può essere richiesta dagli enti locali che hanno raggiunto gli obiettivi del Piano francese “Ambizione Bio”. Un percorso recentemente attivato dal dipartimento del Gers, a ovest di Tolosa. Un territorio noto per il suo approccio virtuoso in termini di agricoltura biologica. Ma in concreto cosa significa e come si ottiene?

I requisiti

Per poter vantare l’insegna di “territorio bio” occorre che almeno il 15% della superficie agricola sia coltivato con metodo biologico. È inoltre necessario che il 20% dell’offerta di servizi di ristorazione (in valore) provenga da produzione biologica. Se entrambi gli obiettivi vengono raggiunti, la comunità interessata può richiedere la certificazione.

Un riconoscimento per il lavoro degli agricoltori

«Al di là di un semplice distintivo apposto all’ingresso del Paese – spiega Christine Huppert, sindaco di Saint-Blancard, un comune del dipartimento del Gers – è una sorta di omaggio agli uomini e alle donne che ne favoriscono la sostenibilità ambientale e la coesione sociale».

«Chi fa vivere i villaggi del Gers sono gli agricoltori – continua- e la denominazione ottenuta consente di mettere in risalto il ruolo determinante di questa professione».

FRANCIA E SPAGNA: LA CORSA VERSO IL BIOLOGICO

FRANCIA E SPAGNA: LA CORSA VERSO IL BIOLOGICO

Sono incoraggianti i dati relativi all’anno 2020, presentati da Agence Bio – Agenzia per lo sviluppo e la promozione dell’agricoltura biologica in Francia e da Louis Planas, ministro dell’agricoltura, della pesca e dell’alimentazione in Spagna.

Entrambe le nazioni dell’Unione Europea, riportano un quadro generale positivo, che presenta una crescita del settore biologico regolare e certamente proiettata verso l’obiettivo del 25% dei terreni agricoli coltivati a bio, entro il 2030.

La Spagna ha registrato negli ultimi 5 anni, una tendenza di crescita media annua della superficie bio del 4,8%; raggiungendo una SAU del 10% distribuita maggiormente tra le regioni dell’Andalusia, della Catalogna e di Castiglia-La Mancia.

La Francia presenta numeri similari: nel 2020 ha infatti raggiunto il 9,5% della SAU totale (2,55 milioni di ettari coltivati a bio), raddoppiando letteralmente, negli ultimi 5 anni, la superficie in biologico e integrando circa 250.000 ettari supplementari ogni anno.

 

Per quanto riguarda la tipologia delle colture biologiche nel paese spagnolo, le principali per estensione sono rappresentate da: oliveti, vigneti, cereali per la produzione di grano e coinvolgono pascoli permanenti (pari a 1,27 milioni di ettari), colture permanenti (662,423 ettari) e seminativi (502.075 ettari).

In Francia, le colture foraggere – destinate all’alimentazione del bestiame – occupano oltre il 60% della coltivazione biologica; le altre coltivazioni prevalenti sono invece: cereali, semi oleosi, legumi e vite.

Notevole in entrambi gli stati, è l’incremento del numero di operatori nel settore.

In Spagna la crescita è stata registrata in quasi tutte le categorie: dai produttori agricoli, ai commercianti, all’industria di trasformazione. Gli agricoltori sono cresciuti negli ultimi 5 anni, circa il 6% ogni anno; i commercianti di prodotti biologici circa il 20% e le industrie hanno assistito a una crescita media annua dell’11%.

Queste ultime, raggruppano due tipologie di trasformazione: una legata alla produzione vegetale e l’altra alla produzione animale. In totale, le industrie di trasformazione spagnole registrate hanno raggiunto le 10.395 (8.944 di tipo vegetale, 1.451 di tipo animale).

Secondo i dati presentati da Agence Bio, in Francia invece nel 2020, le aziende agricole sono aumentate di 5.994 unità nel complesso, rappresentano il 18% dell’impiego nel settore agricolo – e le imprese coinvolte nel comparto di 2.704 unità. Per un totale di 200.000 impieghi diretti a tempo pieno, all’interno della filiera biologica.

Per quanto riguarda l’origine dei prodotti bio consumati nello stato francese (consumo che corrisponde al 6,5% della spesa alimentare domestica nell’anno 2020): due terzi hanno provenienza esclusivamente nazionale – si parla di vini, uova, prodotti lattiero-caseari, carni e legumi –, si parla del 67% dei prodotti; il restante 18% deriva dall’Unione europea e un ultimo 15% ha origine alternativa.

In Spagna, la produzione animale è rimasta all’incirca stabile, mentre l’acquacoltura bio ha registrato una crescita sostenuta che ha raggiunto quasi 7.480 tonnellate di produzione.

Il numero di realtà imprenditoriali dedicate a carne ovina e caprina è invece diminuito, bilanciato da quello di aziende dedicate all’allevamento di polli, conigli, latte di pecora e capra, che ha realizzato un aumento.

Il numero di capi di bestiame è cresciuto nel caso di suini, pecore, capre e bovini da latte. Pollame da carne e galline ovaiole.

Le imprese specializzate in acquacoltura bio, sono aumentate da 61 a 174, variazione dovuta principalmente a un passaggio dalla certificazione di gruppo a quella individuale per uno dei produttori coinvolti.

Entrambi gli stati presentano pertanto numeri significativi, artefici di un panorama promettente che annuncia una vera e propria corsa verso il consolidamento e l’espansione del comparto biologico.

 

Fonte: Sinab

LA STRADA BIO CONVINCE LE GRANDI MAISON DELLO CHAMPAGNE

LA STRADA BIO CONVINCE LE GRANDI MAISON DELLO CHAMPAGNE

La storia della produzione vinicola biologica in Francia ha una lunga storia, risale infatti al 1962 la creazione dell’AFAB – Associazione francese per l’agricoltura biologica, seguita dalle prime leggi approvate negli anni ’80 e dalla vinificazione bio vera e propria, ufficializzata nel 2010.

Non desta dunque sorpresa che talune realtà stiano scegliendo di aprirsi a questo metodo e aderirvi, proprio negli ultimi tempi, un po’ in ritardo rispetto alla media, ma con particolare slancio e velocità nella realizzazione del processo.

È il caso della regione della Champagne, quella famosa per l’abate benedettino Dom Pierre Pérignon. Il metodo di produzione bio sembra aver interessato nel 2019, 1148 ettari di vigneto di cui 618 ettari di terreno in conversione, per una produzione portata avanti da 260 maison in tutta la regione.

A comunicarlo è l’Association Des Champagnes Biologiques, che rileva l’aumento della superficie al 24% rispetto al 2018, per un totale del 3,4% della superficie della denominazione.

I dati sorprendono, poiché se facciamo riferimento all’annata 2020: 137 nuove cantine sembrano aver iniziato il processo di conversione, ovvero 685 nuovi ettari di terreno, comunica l’Agence Bio. Un supplemento di superfici di quasi il 70% ha virato verso il metodo biologico, per un totale del 6% della superficie della denominazione, praticamente il doppio dal 2018 se l’Observatoire Régional de l’AB confermerà i dati.

Una nuova scelta quella del biologico, che restituisce riconoscimenti anche sul mercato. Esempi di rilievo sono Drappier – situato a Urville, possessore di un vasto vigneto, di cui un terzo della superficie è coltivata a bioe Leclerc Briant certificato biologico e biodinamico nella totalità del vigneto.

Roederer, di proprietà della stessa famiglia di fondazione dal 1776, sta agendo invece in maniera più graduale: con dieci ettari certificati Demeter già dal 2004 – certificazione del metodo biodinamico – e i restanti 122 in conversione al biologico già dall’anno 2018.

La prima annata dell’etichetta Roederer simbolo di questa rivoluzione è il Cristal 2012. Dalla struttura corposa seppure morbida, il perlage delicato e i profumi di limone candito, con note di mandorla e fiori bianchi.

Vranken-Pommery, uno dei vigneti più influenti, vasti e diffusi oltre il territorio della Champagne, ha comunicato la sua conversione ad oggi effettuata per il 60% delle sue tenute, con promessa del 100%. La sua scelta è stata contagiosa nel settore, a causa della sua fama appunto. Canard-Duchêne ad esempio, ha lanciato tra le sue linee la P181 extra brut bio prodotta con uve acquistate da sette viticoltori, una cuvée semi-fidentiel.

La Champagne sembra quindi aver intrapreso con energia la strada della sostenibilità, ma perché rispetto alle altre regioni, appare come l’ultima ad aver affrontato questo tipo di cambiamento?

Soggetta a un clima favorevole alle malattie della vite, come per esempio la muffa grigia, al frequente rischio di congelamento per l’uva nelle ore notturne di primavera e a un prezzo al kg di questa fortemente elevato (intorno ai 7 euro circa, a seconda dell’annata), non partiva come la regione con caratteristiche più congeniali a un’evoluzione di questo tipo; si sta tuttavia emancipando.

È certamente da considerare che gli approcci di conversione che la coinvolgono sono differenti: molti dei produttori che intraprendono il cambiamento infatti, non lo fanno per ottenere l’etichetta AB, ma la VDC – la Certificazione di viticoltura sostenibile in Champagne, creata dal CIVC – Comité interprofessionnel du vin de Champagne, che oggi certifica la bellezza di 335 aziende ovvero il 15% della superficie totale.

La molteplicità degli approcci non finisce qui, poiché molte delle 335 aziende nominate, sono al contempo certificate HVE – High Environmental Value, che presenta parametri di valutazione similari a VDC per la certificazione. 70 sono le aziende certificate solo HVE (per un totale di 400 maison HVE), e circa 40 quelle certificate Terra Vitis (certificazione indipendente riconosciuta dal Ministero dell’Agricoltura); si giunge così al 2,5% della superficie totale coltivata in modo sostenibile.

L’HVE è una certificazione francese creata e supervisionata dal Ministero dell’Agricoltura Agroalimentare e Forestale per promuovere la produzione di aziende agricole che si impegnano volontariamente in pratiche rispettose dell’ambiente”, racconta Franck Moussié della Maison Guy Méa, riconosciuta HVE appunto, sottolineando come l’obiettivo sia la valorizzazione della biodiversità il buon senso nel sostenerla.

D’altro canto, Pierre Lermandier, noto produttore, ha dichiarato nel 2019 al giornale Le Monde, come il logo AB sulla bottiglia, rimanga di fatto una garanzia di certificazione bio per chi consuma il prodotto e un gesto di riconoscimento e solidarietà verso i colleghi produttori.

Nonostante i rallentamenti e i multiformi approcci, l’intenzione alla base sembra essere l’univoco prendersi cura in modo efficiente e sostenibile dei preziosi vigneti di una regione che ha fatto la storia per successo e tradizione.

E per non rimanere nella sola narrazione, ecco infine un’accorta selezione di champagne biologici facilmente reperibili in Italia, direttamente consigliati da Fabio Pelliccia, esperto e appassionato sommelier per Antonello Colonna Resort: André Beaufort, Benoit Lahaye, Fleury, Claude Cazals, Francis Boulard, Jacquesson, Laherte Frères, Larmandier Bernier, Marie Courtin, Maurice Vesselle, Michel Gonet, Tarlant, Vilmart, Vouette & Sorbee.

Fonte: Repubblica