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NASCE IL NUOVO BIODISTRETTO DEL PROSECCO

NASCE IL NUOVO BIODISTRETTO DEL PROSECCO

Promosso dal Consorzio del Conegliano Valdobbiadene Docg assieme ad altri 9 soci, interessa 15 Comuni, 150 soci di cui 52 aziende vitivinicole. Salgono così a sei i biodistretti attivi nel Veneto

«Le priorità del sistema Prosecco è la certificazione ambientale, il biologico ed essere apripista di buone pratiche agricole».

Lo ha detto il Presidente del Veneto Luca Zaia al Castello di San Salvatore a Susegana (Treviso), a margine dell’evento di celebrazione del sessantesimo anniversario del Consorzio di Tutela del Conegliano Valdobbiadene Prosecco Docg.

Il progetto di sostenibilità del Consorzio

Consorzio che, come spiega il direttore Diego Tomasi sulle pagine di VVQ, Vigne, Vini & Qualità di dicembre è attivamente impegnato nella nascita del nuovo biodistretto, un progetto che interessa i 15 Comuni dell’area del Prosecco di Conegliano Valdobbiadene per l’intera superficie, più larga rispetto alla Docg. I soci fondatori sono 150 (integralmente bio), di cui 52 aziende del vino, sia produttori che trasformatori, oltre 100 aziende agricole tra i comparti di ortofrutta, cereali, caseifici, piante aromatiche, zootecnia e selvicoltura. I soci promotori, tra cui il Consorzio, sono una decina.

Una quota bio oltre al 7%

Il progetto del Biodistretto ha subito una battuta d’arresto con la pandemia, ma adesso è in dirittura d’arrivo. L’area del Conegliano Valdobbiadene vanta una superficie biologica certificata pari al 7,2% dell’intera superficie agricola; in Veneto la media Bio è di 4,9%. Sono in fase di presentazione i documenti di richiesta (statuto, atto costitutivo, modulo adesione) e in tre mesi la Regione può approvarlo. Il Pnrr metterà a disposizione ai bio-distretti 24 milioni di euro. Spesso i progetti Ue, nazionali e regionali privilegiano i bio-distretti.

I biodistretti veneti

Lo scopo principale è di promuovere la cultura del biologico, la sostenibilità, la ricerca, lo sviluppo e l’informazione. Il nuovo Biodistretto del Prosecco si aggiunge agli altri già attivi in Veneto:

  • BioVenezia;
  • Biodistretto Colli Euganei;
  • BioAltopiano;
  • BioVerona;
  • Biodistretto pedemontano vicentino.
NONOSTANTE LA STASI DELLE POLITICHE AGRICOLE, NASCE IL BIO-DISTRETTO DEL RISO PIEMONTESE

NONOSTANTE LA STASI DELLE POLITICHE AGRICOLE, NASCE IL BIO-DISTRETTO DEL RISO PIEMONTESE

È stato presentato al pubblico alcuni giorni fa il Bio-distretto del riso, nato nel febbraio scorso in Piemonte, per mano di sette imprenditori dei territori della Baraggia, del Biellese e del Vercellese.

Uno degli strumenti più innovativi diffusi in Italia, raggiunge anche la regione piemontese nella produzione del riso; per un’espansione attuale di circa cinquecento ettari collocata ai piedi delle Alpi, che prevede il raddoppiamento nell’arco di un futuro prossimo.

In linea generale, i terreni dedicati alle risaie nel nord Italia – tra Piemonte e Lombardia per intenderci – sono trattati con erbicidi, anticrittogamici, insetticidi; sistemi di coltivazione che risalgono alla prima industrializzazione agricola, mai aggiornati e poco sensibili al tema della sostenibilità.

Il Bio-distretto del riso in Piemonte è quindi una preziosa innovazione, in un terreno che sta esperendo la diminuzione della presenza di glifosato e dei suoi metaboliti di circa dieci volte rispetto all’utilizzo ordinario.

La scelta alla base della nuova coltivazione è stata il recupero di semi e varietà diffuse un secolo fa, varietà più forti di quelle invece selezionate negli ultimi decenni, non bisognose di elementi chimici che ne agevolino la sopravvivenza.

Molte delle varietà di piante selezionate come per esempio il Rosa Marchetti, sono inoltre resistenti al Brusone, un fungo del riso molto diffuso in Lombardia, capace di aggredire la pianta in ogni sua parte. Per le varianti più delicate invece, si utilizza l’irrorazione con lo zolfo.

I coltivatori hanno inoltre recuperato l’utilizzo di piante allopatiche ricavate dalla fermentazione del sovescio, naturalmente erbicide, molto ricche per il terreno poiché sparse sui campi prima della semina, a funzione concimante e di pacciamatura. Un cambio radicale per il terreno, in questo modo orientato a una ripulitura dai residui delle coltivazioni chimiche e alla riduzione di un terzo delle emissioni di CO2.

C’è chi si interroga sulle ragioni per il quale questo modo di praticare la risicoltura, sia stato avviato così tardi, considerando che, l’Unione Europea già nel 2009 affrontava il tema della Difesa Integrata – la strategia che consente di limitare i danni derivanti dai parassiti delle piante, utilizzando tecniche disponibili nel solo rispetto dell’ambiente e della sua salute -, individuando in questa, l’alternativa concreta all’agricoltura di tipo chimico.

Undici anni dopo, all’interno di una relazione sul tema da parte della Corte dei Conti, vengono di nuovo valutate le riduzioni dei pesticidi attraverso l’introduzione di veri e propri cambiamenti sistemici, volti a favorire la diversità strutturale e biologica e ridurre la resistenza attuata dagli organismi nocivi, ai principi attivi attraverso metodi agroecologici. Segue quindi la presa d’atto che i paesi membri non abbiano legittimato come tassativa, l’applicazione di questa strategia, denotando differenze tra un paese e l’altro, sostanziali.

Trascorrono decenni e di nuovo ci si continua a interrogare sulla stasi delle politiche agricole, così lente e monolitiche di fronte a un Green Deal che auspica il 25% della superficie a bio entro il 2030.

Stasi che si spera venga messa in discussione, oltre che dai risicoltori biocome abbiamo visto, ora attivi e operosi rispetto a un nuovo modo -, anche a livello più generale, attraverso il Recovery Plan e conseguenti e inedite azioni di investimento sostenibile, riservate all’agricoltura biologica.

Fonte: Il fatto quotidiano

BIO-DISTRETTI, UNA LEVA PER LO SVILUPPO (ANCHE OLTRECONFINE)

BIO-DISTRETTI, UNA LEVA PER LO SVILUPPO (ANCHE OLTRECONFINE)

Sostenibilità come obiettivo e come impegno comune tra produttori, cittadini, operatori turistici e pubbliche amministrazioni: nasce da qui il concetto di bio-distretto, area dedicata al biologico e finalizzata alla gestione congiunta delle risorse a tutela dell’ambiente e dei territori: un’oasi di efficienza ed ecocompatibilità, in un equilibrio di rispetto per il pianeta ed efficacia socio-economica, che traina oggi lo sviluppo del comparto bio.

In Italia, esistono 40 bio-distretti, di cui 32 già operativi e 8 in fase di costituzione (fonte di IN.N.E.R), come emerge dalla pubblicazione “Distretti biologici e sviluppo locale. Linee guida per la programmazione 2021-2027” a cura della Rete Rurale Nazionale. Ma il loro numero è in continuo aumento, sull’onda delle attese per la programmazione 2021-2027 e dei progetti di legge in via di definizione.

Ma qual è l’identikit del bio-distretto? Si tratta di un modello agricolo e produttivo biologico, impiegato come strumento per valorizzare il territorio e dare impulso all’economia locale all’insegna di obiettivi ambientali e climatici. Tra questi, spicca la tutela della qualità del suolo, che subisce la minaccia dell’agricoltura intensiva e dell’uso massivo di fitofarmaci e fertilizzanti, responsabili del suo impoverimento. Un tema, la difesa del terroir, che è profondamente connesso alla salvaguardia delle specificità di ciascun territorio, e sta alla base dell’agricoltura biologica.

I bio-distretti sono dunque realtà nate dal basso, che vedono i produttori biologici protagonisti di una progettualità territoriale basata sulla creazione di reti di aziende biologiche. E nell’epoca del marketing territoriale e della valorizzazione delle aziende locali, rappresentano una concreta opportunità di sviluppo socio-economico, a tutto vantaggio della redditività su base – appunto – “distrettuale”.

Ma se i bio-distretti sono una realtà già consolidata e foriera di benefici per le aree in cui sono presenti, il loro quadro giuridico è ancora in fase di regolamentazione nel nostro Paese. È di alcune settimane fa infatti, l’avanzamento dell’iter della legge sul bio, quando il DdL 988 “Disposizioni per la tutela, lo sviluppo e la competitività della produzione agricola, agroalimentare e dell’acquacoltura con metodo biologico” è stato sbloccato in Commissione Agricoltura, al Senato, dopo uno stallo di oltre due anni. Dopo l’approvazione all’unanimità, il testo dovrà ora passare attraverso il voto in Aula, sempre a Palazzo Madama, e poi alla Camera per il vaglio definitivo. Tra le novità che saranno introdotte, quella sui bio-distretti (articolo 13) conferirà a tali realtà un riconoscimento formale importante all’attività di operatori, amministratori locali e cittadini coinvolti nei distretti biologici italiani. Si tratta di un contributo fondamentale per i territori locali, da arricchire con nuove filiere e prodotti di qualità che spingano verso la creazione di nuova occupazione. E il disegno di legge sul biologico va proprio in questa direzione, completo come è di misure essenziali volte a favorire lo sviluppo del settore, quella che riguarda l’introduzione di un marchio per il biologico italiano su tutte.

Occorre un incoraggiamento da parte del Governo e delle autorità regionali per l’istituzione dei distretti biologici in quanto rappresentano un valido strumento di governance territoriale e producono un impatto positivo in termini di sostenibilità ambientale, economica e sociale, anche nelle aree rivelatesi “insostenibili” con gli strumenti dell’economia convenzionale. In un’ottica di approccio condiviso alle produzioni e alle risorse agricole e artigianali, oltre che naturali e culturali, i bio-distretti permettono infine di ricomporre un tessuto sociale troppo spesso disgregato e di ridestare un rapporto di fiducia col cittadino, anche tramite la creazione di mercati di vicinato. Il loro è anche un ruolo educativo e didattico, che introduce, grazie alle mense pubbliche, ad esempio, un valido spunto di riflessione su abitudini alimentari sane. Ecco perché è importante, per il nostro Paese, sostenere lo sviluppo di queste realtà nate dall’aggregazione locale di soggetti della filiera, che offrono un elevato potenziale di competitività, anche nel rapporto con il mercato globale.

Fonte: Greenplanet

LE MARCHE, UNA REGIONE CHE AMA IL BIOLOGICO

LE MARCHE, UNA REGIONE CHE AMA IL BIOLOGICO

I dati ufficiali sul settore bio confermano la forte propensione della Regione Marche per le produzioni bio; di fatto possiamo definirla la culla dell’agricoltura biologica per le diverse realtà regionali che hanno operato sul territorio e che hanno avuto un ruolo pioneristico nello sviluppo e nella promozione del biologico, sia a livello nazionale che internazionale. Tra queste spiccano sicuramente Suolo e Salute, con i suoi oltre cinquant’anni di storia, che da decenni ha sede legale e amministrativa nelle Marche, Alce Nero fondata dal compianto Gino Girolomoni, la Cooperativa Campo e la Terra e il Cielo fondata nel 1980.

“Suolo e Salute è il primo organismo di controllo e certificazione del biologico in Italia. Nelle Marche, dove operiamo da tempo e dove abbiamo eletto il nostro quartier generale, certifichiamo oltre il 50% delle aziende biologiche – commenta Alessandro D’Elia, direttore generale di Suolo e Salute – ben oltre 2000 operatori bio su un totale regionale di circa 4000 aziende biologiche. Degli operatori da noi certificati più di 350 effettuano attività di trasformazione e commercializzazione di prodotti bio del territorio. Il biologico italiano e in particolare delle Marche, per aumentare ancora di più la crescita, dovrà essere distintivo e legato al territorio per conferire unicità alle produzioni. In questo bisogno di riconoscibilità sarà di grande aiuto l’utilizzo in etichetta del logo del bio nazionale, che finalmente la politica sta sdoganando.”  La superficie bio regionale è di oltre 104 mila ettari, il 22% del totale con un’incidenza elevata rispetto al dato nazionale. Oltre alla crescita della produzione crescono anche i consumi; infatti, in Regione sono localizzati il 5% dei negozi alimentari biologici e il 7% dei ristoranti bio. Una realtà regionale che ama il biologico”.

Altra punta di diamante della Regione è la Biocosmesi. Infatti sono diversi i laboratori di produzione con un altissimo numero di prodotti certificati.

Di recente si è costituito anche il distretto biologico nella provincia di Pesaro-Urbino. Un territorio dove stanno incrementando notevolmente le aziende biologiche di cui diverse anche ad attività agrituristica. Come sottolinea la presidente del distretto Sara Tomassini: “il distretto biologico è uno strumento innovativo di organizzazione territoriale, volto sia ad incrementare il ruolo multifunzionale del settore primario, sia a migliorare le prestazioni agro-ambientali in chiave sostenibile. Superando il concetto di azienda biologica come unità produttiva isolata. I distretti rappresentano ‘luoghi’ di addensamento e di intreccio delle filiere agroalimentari biologiche, di valorizzazione delle tipicità locali e della qualità ambientale, di sperimentazione di politiche e strumenti efficaci di sviluppo economico e sociale.”

La costituzione del nuovo distretto biologico sarà lo strumento per partecipare ai bandi europei ed intercettare i finanziamenti del Psr 2021-2027 finalizzati all’incentivazione delle attività legate all’agricoltura biologica, alla ricettività di tipo agrituristico, alla trasformazione, valorizzazione, promozione e commercializzazione dei prodotti dell’enogastronomia locale. Sicuramente sarà uno strumento che potrà risultare determinante dal punto di vista economico e turistico per una vasta area che vuole imporsi sempre più per la qualità dei prodotti del territorio e per un turismo in zone che hanno tanto da raccontare.

 

Fonte: Suolo e Salute news