Suolo e Salute

Anno: 2023

NASCONO I BIODISTRETTI DELL’EMILIA ROMAGNA

NASCONO I BIODISTRETTI DELL’EMILIA ROMAGNA

Operativa la nuova legge regionale, la prima in Italia. L’assessore Mammi: «Premiato l’impegno delle aziende che si mettono in rete»

Nascono i bio-distretti dell’Emilia-Romagna: è operativa la nuova legge regionale – tra le prime in vigore in Italia – pensata per sostenere la cultura del biologico e stabilire un modello di sviluppo sostenibile in aree geografiche definite. La nuova normativa, osserva in una nota l’assessore regionale all’Agricoltura, Alessio Mammi «individua e disciplina il distretto del biologico, un’area geografica specifica dove almeno il 20% della superficie agricola viene coltivata utilizzando metodi bio».

7.330 imprese bio

«In questo contesto – aggiunge – viene premiato il lavoro di più aziende che si mettono in rete, creando un circolo virtuoso che promuove un intero territorio attraverso la collaborazione e l’adozione di pratiche agricole responsabili». Il settore del biologico conta, in Emilia-Romagna, 7.330 imprese che portano la regione al quinto posto a livello nazionale per numero di aziende che producono, trasformano o commercializzano prodotti biologici.

I vincoli numerici

Per costituire un distretto, gli imprenditori agricoli devono essere almeno 30, per 400 ettari di superficie bio, oppure operare su una superficie agricola utilizzabile biologica pari ad almeno il 20% della superficie bio totale del distretto. Il territorio minimo è di cinque comuni contigui in Emilia-Romagna. La contiguità dei comuni del distretto deve essere garantita anche nel caso in cui il numero dei comuni sia superiore a cinque. Il territorio del distretto deve comprendere attività agricole biologiche con una peculiare e distinta identità territoriale, storica e paesaggistica.

Il webinar di Greenplanet

Nei giorni scorsi il portale specializzato https://greenplanet.net/bio-distretti-saranno-utili-al-biologico-dal-webinar-di-greenplanet-un-unanime-si/ha organizzato uno specifico webinar di approfondimento sul tema dei biodistretti con esperti del calibro di Fabrizio Piva, Lucio Cavazzoni del Distretto biologico Appennino Bolognese, Sara Tomassini del Distretto bio Terre Marchigiane, Andrea Rigoni del Distretto bio Altopiano di Asiago. È emersa tutta l’utilità di un dispositivo che fa crescere la sostenibilità costituendo una forma di difesa nei confronti della competitività basata sul prezzo.

LEGAMBIENTE METTE I MULTIRESIDUI NEL MIRINO

LEGAMBIENTE METTE I MULTIRESIDUI NEL MIRINO

Positivo il riscontro dell’ultimo rapporto sui “Pesticidi nel piatto”, ma secondo Legambiente la bocciatura del regolamento sugli usi sostenibili (Sur) dimostra la necessità di non abbassare la guardia sul fronte della chimica in agricoltura

«Calano i pesticidi negli alimenti, ma ora serve una legge nazionale contro il multiresiduo che vieti la compresenza di principi attivi». È quanto auspica Legambiente per non derogare all’impegno della strategia europea From Farm to Fork di ridurre del 50% entro il 2030 i fitofarmaci utilizzati nonostante la bocciatura da parte del Parlamento europeo del regolamento sugli usi sostenibili degli agrofarmaci (che doveva essere lo strumento per realizzare questo obiettivo).

Il report presentato a Roma

È un quadro di luci e ombre quello tracciato dal nuovo report di Legambiente “Stop pesticidi nel piatto 2023”, che fa il punto sui fitofarmaci presenti negli alimenti sulle nostre tavole. Al centro dello studio, presentato il 19 dicembre a Roma, 6.085 campioni di alimenti di origine vegetale e animale provenienti da agricoltura biologica e convenzionale sottoposti ad analisi e relativi a 15 regioni italiane.

Le irregolarità calano all’1,6%

La buona notizia è che la percentuale dei campioni in cui sono state rintracciate tracce di pesticidi nei limiti di legge è risultata in diminuzione (39,21% contro il 44,1% dello scorso anno), così come quella dei campioni irregolari (1,62%). Regolare e senza residui è risultato il 59,18% (lo scorso anno erano 54,8%). La frutta si conferma la categoria più colpita con oltre il 67,96% dei campioni che contiene uno o più residui, mentre è positivo il dato sui i prodotti di origine animale: oltre l’88% è privo di residui. A destare invece preoccupazione il fatto che, seppur nei limiti di legge, nel 15,67% dei campioni regolari sono state trovate tracce di un fitofarmaco e nel 23,54% di diversi residui.

Dati questi che, soprattutto sul fronte del multiresiduo, fanno accendere più di qualche campanello di allarme agli addetti ai lavori rispetto ai possibili effetti additivi e sinergici sull’organismo umano del cosiddetto “cocktail di fitofarmaci”. Nei prodotti biologici, rintracciati residui solo nell’1,38% dei campioni, una contaminazione probabilmente dovuta al cosiddetto “effetto deriva” determinato dalla vicinanza ad aree coltivate con i metodi dell’agricoltura convenzionale.

I principi attivi trovati

Nei campioni analizzati sono state rintracciate 95 sostanze attive provenienti da fitofarmaci. Se la frutta è la categoria più a rischio, la verdura presenta un quadro migliore: il 68,55% dei campioni analizzati è risultato senza residui. Tra gli alimenti trasformati, i cereali integrali e il vino sono quelli in cui è stato rintracciato il numero più alto di residui permessi (rispettivamente 71,21% e 50,85%). Nota positiva i prodotti di origine animale: dei 921 campioni analizzati, l’88,17% è risultato privo di residui.

Tra i pesticidi più presenti si segnalano (in ordine decrescente): Acetamiprid, Fludioxonil, Boscalid, Dimethomorph. Da segnalare la presenza di residui di neonicotinoidi non più ammessi come Thiacloprid in campioni di pesca, pompelmo, ribes nero, semi di cumino e tè verde in polvere; Imidacloprid in un campione di arancia, 2 campioni di limoni, 3 campioni di ocra; Thiamethoxam in un campione di caffè.

Più convinzione nell’applicazione della Farm to Fork

Legambiente è preoccupata per la concreta realizzazione della strategia europea From farm to fork che, tra l’altro prevede entro il 2030 una riduzione del 50% dei fitofarmaci utilizzati e chiede una legge specifica sul multiresiduo che vieti la compresenza di principi attivi. Allo stesso tempo, l’associazione ambientalista continua la sua battaglia contro il glifosate – sostanza resa ancora legale attraverso una recente proroga di ulteriori dieci anni – e lancia una nuova campagna “Glifosate free” per premiare le aziende che, a dispetto della proroga, hanno messo al bando tale sostanza.

«Nonostante i dati incoraggianti – ha dichiarato Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente – la situazione appare ancora complessa e risulta evidente la necessità di un’ulteriore e concreta spinta politica affinché si possa davvero mettere fine alla chimica nel piatto». Zampetti è infatti preoccupato per la mancata approvazione del Sur, dispositivo emanato dalla Commissione europea che regola e limita l’utilizzo di fitofarmaci, ed evidenzia l’urgenza di adottare in Italia il nuovo Piano d’Azione Nazionale per l’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari la cui ultima stesura risale al 2014.

L’ ITALIA È LEADER NEL BIOLOGICO E NELL’OGM FREE

L’ ITALIA È LEADER NEL BIOLOGICO E NELL’OGM FREE

Coldiretti contesta la visione pessimista di Legambiente e dopo il rapporto sui pesticidi nel piatto mette in evidenza: «Nei cibi stranieri i residui chimici irregolari sono 10 volte superiori»

«L’Italia può contare sull’agricoltura più green d’Europa». È quanto afferma la Coldiretti nel commentare il report di Legambiente “Stop pesticidi nel piatto 2023” (vedi notizia precente) dalla quale emerge il primato dell’agricoltura nazionale nella sicurezza con il numero di campioni irregolari che scende all’1,62%.

I record del Belpaese

Sono infatti 5.547 le specialità ottenute secondo regole tradizionali protratte nel tempo per almeno 25 anni censite dalle Regioni, 325 specialità Dop/Igp/Stg riconosciute a livello comunitario e 415 vini Doc/Docg. Coldiretti mette anche in evidenza la decisione di non coltivare Ogm e la leadership nel biologico con circa 86mila aziende agricole.

Gli allarmi vengono da altrove

«Risultati che – sottolinea la Coldiretti in una nota stampa- confermano i dati dell’ultimo Rapporto pubblicato da Efsa secondo il quale i cibi e le bevande stranieri sono oltre dieci volte più pericolosi di quelli Made in Italy per quanto riguarda il numero di prodotti agroalimentari con residui chimici irregolari oltre i limiti di legge». Non a caso in Italia, continua la Coldiretti, oltre otto prodotti su dieci pericolosi per la sicurezza alimentare provengono dall’estero (86%) sulla base delle elaborazioni del sistema di allerta Rapido europeo (Rassf). Sul totale dei 317 allarmi rilevati nel 2022 – evidenzia Coldiretti – 106 scaturivano infatti da importazioni da altri Stati dell’Unione Europea (33%) e 167 da Paesi extracomunitari (53%) e solo 44 (14%) hanno riguardato prodotti con origine nazionale.

NUOVI OGM- BIO, SERVONO CHIARE REGOLE DI CONVIVENZA

NUOVI OGM- BIO, SERVONO CHIARE REGOLE DI CONVIVENZA

Il via libera alle Ngt, new genomic techique, ovvero agli ogm di ultima generazione, non può essere forzato. Il percorso della nuova normativa europea si arena in Consiglio per la mancanza di previsioni sull’impatto sull’agricoltura biologica e sulla brevettabilità di queste nuove biotecnologie

Si arena a Strasburgo la discussione sulle New genomic technique (Ngt, ovvero i nuovi ogm). Il Consiglio dell’Ue, sotto la presidenza spagnola, ha infatti promosso numerosi confronti su questo tema ma non è riuscita a trovare il compromesso tra le posizioni espresse dai Paesi Membri.

Compromesso impossibile

Uno stop che condiziona anche l’EuroParlamento dove sono in corso i dibattiti presso la Commissione Agricoltura e la Commissione Ambiente. Il voto in assemblea plenaria era previsto il 24 gennaio e da lì dovevano partire i triloghi tra Commissione, Consiglio e Parlamento Ue per arrivare alla pubblicazione nella prossima primavera, prima delle elezioni per il rinnovo della legislatura. L’attuazione non sarà comunque immediata, essendo programmata a due anni di distanza, per dare modo alle autorità comunitarie e agli Stati Membri di stabilire le norme applicative.

«Siamo molto vicini a un accordo, ma ancora non c’è la maggioranza», ha detto il presidente di turno del Consiglio dei ministri dell’Agricoltura Luis Planas, invitando le delegazioni e la Commissione europea a «fare uno sforzo» per chiudere quanto prima il dossier superando le divisioni sui punti controversi.

«Noi – ha dichiarato Planas – continueremo a lavorare affinché la presidenza belga, che comincia il suo lavoro a gennaio possa adottare delle conclusioni». In caso contrario la normativa rimarrebbe in stand by fino al 2025, viste la pausa legislativa legata al rinnovo di Parlamento e Commissione europea con le elezioni del prossimo giugno.

Due categorie diverse

In un recente incontro organizzato dalla Regione Emilia-Romagna, Ilaria Ciabatti della Dg Salute e Sicurezza alimentare, Unità Biotecnologie della Commissione Europea ha ricordato che la normativa riguarda piante, alimenti e mangimi ottenuti attraverso mutagenesi mirata (genome editing) e cisgenesi, compresa l’intragenesi (ma non la transgenesi, ovvero l’inserimento di pool di geni provenienti da specie non affini, per cui varranno le vecchie regole).

La proposta di regolamento presentato lo scorso luglio dalla Commissione distingue i nuovi Ogm in due categorie in base all’entità delle modifiche genetiche indotte. Entrambe continuano ad essere definite Ogm dal punto di vista legislativo (la proposta della Commissione non può superare quanto sancito da una sentenza della Corte di Giustizia Ue) ma le Tea di cat. 1 saranno considerate, per quanto riguarda il percorso di registrazione, equivalenti alle piante convenzionali.

Coesistenza e tracciabilità

Dovranno però essere etichettate come Ngt e le informazioni al loro riguardo dovranno essere accessibili attraverso una banca dati pubblica e nei registri delle varietà. Le Tea di cat. 2 sono invece considerate non equivalenti alle convenzionali, dovranno essere tracciate ed etichettate come ogm ma per la loro autorizzazione è stata comunque prevista una valutazione del rischio meno onerosa rispetto all’attuale, con ulteriori incentivi e facilitazioni per Tea che presentino tratti e caratteristiche considerati desiderabili.

Gli Stati membri dovranno allestire misure di coesistenza per evitare il rischio di contaminazioni, ma non avranno la possibilità di esercitare il diritto di escluderne la coltivazione (come invece accade oggi).

Le garanzie per il biologico

Su questi punti è intervenuto anche il ministro Francesco Lollobrigida che, in una recente riunione del Consiglio Agrifish, ha dichiarato il parere favorevole italiano sulla proposta di regolamento, chiedendo però di chiarire come garantire in maniera oggettiva la prevista coesistenza con le Tea di categoria 2 e di assicurare lo stesso livello di sicurezza anche per le piante e i prodotti importati da Paesi terzi.

La proposta della Commissione prevede l’esplicita esclusione sia delle Tea di categoria 1 che 2 per il biologico (su forte pressione delle associazioni del settore), un’esclusione che apre le porte alla possibilità di dover garantire la tracciabilità e la coesistenza anche con le Tea della prima categoria. Del resto la proposta della Commissione, se non verrà modificata durante il trilogo, prevede un’intensa attività di monitoraggio sull’impatto della normativa nei suoi primi cinque anni di applicazione, sia riguardo a potenziali rischi per la salute o l’ambiente, sia per la verifica degli obiettivi di sostenibilità, compresi eventuali limiti allo sviluppo della produzione biologica auspicato dal Green deal che riguardo all’accettazione delle Tea da parte dei consumatori.

Da un recente articolo pubblicato sul sito www.politico.eu emerge che il tentativo di Bruxelles di accelerare l’adozione di regole più flessibili per le nuove piante geneticamente modificate sta mostrando delle fratture, poiché sorgono più domande che risposte. E i problemi sottovalutati riguardano proprio la convivenza con il bio e la poca chiarezza riguardo alle possibilità di brevettare queste nuove biotecnologie.

GLI ITALIANI PREFERISCONO IL BIOLOGICO

GLI ITALIANI PREFERISCONO IL BIOLOGICO

Il 40% degli italiani ha consumato alimenti bio almeno 3-4 volte nell’ultimo mese. È quanto emerge da uno studio dell’Università Cattolica di Piacenza, che lancia un progetto di ricerca sulle tecnologie omiche per migliorare la tracciabilità e il grado di riconoscibilità di questi prodotti

Nonostante i numerosi tentativi di imitazione, il biologico rimane al vertice delle scelte sostenibili dei consumatori italiani. Tanto che gli alimenti con il logo della fogliolina verde fanno breccia sulle nostre tavole: nell’ultimo mese il 40% degli italiani li ha infatti consumati almeno 3-4 volte a settimana; specie i giovani (62%), i laureati (47%), e le persone originarie delle regioni del Sud e Isole (48%).

L’affollamento dei loghi green

Sono alcuni dei dati resi noti in occasione del convegno “Il consumo di alimenti biologici e le relative certificazioni: fra innovazione scientifica e aspettative del consumatore” svolto al polo di Cremona dell’Università Cattolica di Piacenza. È emerso però che il consumatore non riesce a orientarsi tra i diversi loghi “green”, quindi può essere indotto in errore negli acquisti.

I best seller del bio, secondo l’indagine della Cattolica, sono uova fresche (consumate dal 69% degli italiani), ortaggi (66%) e frutta (62%), considerati salubri, naturali e rispettosi dell’ambiente, con meno pesticidi e prodotti con particolare attenzione alla sicurezza.

Tecnologie “omiche” per migliorare la tracciabilità

Per risolvere il problema della riconoscibilità l’Ateneo piacentino ha quindi lanciato il progetto di ricerca “Omic technologies for consumer food engagement: innovazione nella tracciabilità degli alimenti biologici e fiducia del consumatore“, assieme a EngageMinds Hub – Consumer, Food & Health Research Center, sull’impiego delle tecnologie omiche per tracciatura e valutazione nutrizionale delle verdure e della frutta biologiche. Le tecnologie omiche sono in grado di valutare se un prodotto alimentare è davvero biologico, sulla base di alcuni parametri non considerati dalle certificazioni “tradizionali”, ad esempio il modo in cui l’alimento è conservato e trasportato. La tracciabilità degli alimenti è uno strumento importante per garantirne qualità e sicurezza.

«Dallo studio – spiega Luigi Lucini, docente di Chimica agraria dell’Università Cattolica – emerge che la maggior parte degli italiani (79%) non ha mai sentito parlare delle tecnologie omiche applicate al cibo». «Tecnologico e biologico – ammette Guendalina Graffigna, direttrice di EngageMinds Hub – è un binomio che può suonare stridente per il consumatore, invece può essere la base di un’alleanza per migliorare la sicurezza di un alimento».

 

VIA LIBERA AL PIANO D’AZIONE PER IL BIO

VIA LIBERA AL PIANO D’AZIONE PER IL BIO

Dopo l’intensa opera di concertazione coordinata dal sottosegretario Luigi D’Eramo, raggiunto l’accordo in Conferenza Stato Regioni sul provvedimento che detta la linea per favorire la conversione delle aziende agricole, incentivare i consumi e valorizzare i prodotti biologici italiani  in linea con gli obiettivi del Green deal

Via libera in Conferenza Stato-Regioni al Piano d’azione nazionale per la produzione biologica (Pan). L’intesa sul provvedimento che porta la firma del sottosegretario al Ministero dell’Agricoltura con delega al biologico Luigi D’Eramo è stata raggiunta nella riunione dello scorso 6 dicembre. Il nuovo Pan, previsto dall’art. 7 della legge 9 marzo 2022 n. 23 avrà una durata di tre anni, dal 2024 al 2026, e potrà essere soggetto ad aggiornamenti annuali.

Gli obiettivi

Il Piano sostituisce il precedente del 2016-2020. Tra le finalità:

  • favorire la conversione al metodo biologico delle imprese agricole, agroalimentari e dell’acquacoltura convenzionali, specialmente dei piccoli produttori;
  • sostenere la costituzione di forme associative e contrattuali per rafforzare l’organizzazione della filiera dei prodotti bio;
  • incentivare il consumo attraverso iniziative di informazione, formazione ed educazione, anche ambientale e alimentare, con particolare riferimento alla ristorazione collettiva.

Tra gli obiettivi anche sostenere e promuovere i distretti biologici; favorire l’insediamento di nuove aziende nelle aree rurali montane; migliorare il sistema di controllo e certificazione; stimolare le istituzioni e gli enti pubblici a prevedere il consumo di prodotti bio nelle mense pubbliche e in quelle private in regime di convenzione; incentivare e sostenere la ricerca e l’innovazione; promuovere progetti di tracciabilità e valorizzare le produzioni tipiche italiane.

D’Eramo: «È lo strumento giusto per dare nuovo impulso al settore»

«L’intesa raggiunta in Conferenza Stato-Regioni – commenta D’Eramo – è il tassello conclusivo di un importante lavoro di confronto durato mesi che ha coinvolto gli stakeholder, la società civile e i rappresentanti delle Regioni e delle Province autonome». «Il nuovo Piano d’azione era particolarmente atteso e sarà uno strumento a 360 gradi per dare nuovo impulso a un settore per noi strategico, per raggiungere gli ambiziosi obiettivi che ci siamo posti e rafforzare la leadership dell’Italia, già oggi un modello a livello internazionale».