Suolo e Salute

Mese: Giugno 2022

LA CORSA DEL BIOLOGICO NEI DISCOUNT

LA CORSA DEL BIOLOGICO NEI DISCOUNT

L’attenzione al prezzo sposta gli acquisti nei canali considerati più convenienti. Dove cresce in particolare l’ortofrutta bio (+3,6%) e i prodotti per la prima colazione con incrementi a due cifre. L’analisi di Nomisma presentata al convegno organizzato dal Consorzio Il Biologico

La tempesta inflattiva innescata dalla guerra in Ucraina non fa cessare l’interesse dei consumatori italiani nei confronti del biologico. Ma fa aumentare senza dubbio la ricerca dei prezzi più bassi. Una miscela che sta spingendo verso l’alto le vendite del bio in un canale finora poco battuto come quello dell’hard discount.

Balzo nel 2022

«In questi canali distributivi – spiega Silvia Zucconi di Nomisma – il bio ha segnato una crescita delle vendite a valore del 16% nel primo quadrimestre 2022».

Un dato che evidenzia la maggiore attenzione dei consumatori riguardo alla questione prezzo. «Poiché negli iper e nei super – rivela la ricercatrice –  la tensione promozionale si sta riducendo, gli acquisti si spostano sul canale dei discount. Una lettura è confermata dalla private label, la marca del distributore che nel primo trimestre è rimasta stabile. Tra i valori in crescita anche il paniere benessere (+5,8%)”.

Dati che sono emersi nel corso del recente convegno “La filiera del biologico: numeri, sfide e sostenibilità” organizzato dal consorzio Il Biologico.

I 5 prodotti bio top

In cima tra le categorie più vendute nel biologico nel 2021 rimangono le uova, con 101 milioni di euro di fatturato un peso del bio che arriva al 19,6% ma un calo del 7,2% accusato ne corso dell’anno. Le confetture seguono lo stesso trend, seconde con 78,3 milioni di euro, un peso sul settore del 83,4% ma un calo annuale del 3,6%. IN forte crescita invece le gallette di riso, al terzo posto con 76,7 milioni e un balzo annuale del 13,4%. Significato anche l’exploit della frutta fresca confezionata, al quarto posto con 76,5 milioni di euro di vendite a valore e una crescita del 3,6% rispetto al 2020, mentre la verdura fresca confezionata è al quinto posto con 48,7 milioni di euro di vendite a valore e un trend in leggera discesa rispetto al 2020 (-1,9%). Tra i prodotti più vivaci anche i cereali per la prima colazione che nell’analisi di Nomisma sono balzati al decimo posto con un fatturato di quasi 36 milioni di euro e un balzo del 11,6%.

 

«Nonostante i buoni numeri dell’ortofrutta bio dell’anno scorso – ha specificato Zucconi – il settore ha risentito degli scenari evolutivi che impattano sul consumatore, come i rincari dei beni energetici e dei costi di produzione».

VINO BIOLOGICO E VINO SOSTENIBILE, UN DERBY CHE FA SOLO CONFUSIONE?

VINO BIOLOGICO E VINO SOSTENIBILE, UN DERBY CHE FA SOLO CONFUSIONE?

Dalla prossima vendemmia debutta il vino con il certificato nazionale di sostenibilità. Uno studio di Nomisma wine monitor mette in evidenza il possibile “conflitto di interesse” tra due tipologie che insistono nella stessa area green. Sarà un’occasione di crescita o l’inizio di una deleteria confusione?

Il vino biologico è entrato nelle abitudini di acquisto di oltre il 50% dei consumatori italiani. Lo certifica lo studio “Posizionamento e prospettive di sviluppo del vino bio in Italia e sui mercati internazionali” presentato da Silvia Zucconi ed Emanuele Di Faustino di Nomisma Wine Monitor in occasione del recente webinar “Vino bio: trend & sfide” organizzato da VeronaFiere, FederBio e AssoBio e moderato da Lorenzo Tosi, giornalista Edagricole.

Da un consumatore su sei a uno su due

«Si tratta – mette in evidenza Maria Grazia Mammuccini, presidente FederBio – di un notevole balzo in avanti rispetto a solo sei anni fa in cui solo un consumatore su sei affermava di conoscere e aver consumato nel corso dell’anno una bottiglia di vino bio. Un trend che, se opportunamente sfruttato, farà uscire il settore dalla nicchia (le vendite di vino bio nella gdo non superano infatti ancora la quota dell’1,8% nonostante l’aumento nel 2021 del 3,7%)».

Una sfida, quella di crescere, che ora deve tener conto di una variabile in più: lo scorso marzo il Ministero delle Politiche agricole ha infatti finalmente definito il disciplinare del vino sostenibile certificato. Sarà la grande novità a partire dalla vendemmia 2022. Il vino che fa riferimento al Sqpni (sistema di qualità nazionale produzione integrata) sarà un alleato o un competitor per il vino biologico?

Il traino del vino

Un quesito che ha un valore significativo per un sistema di produzione oggi adottato in Italia da 70.000 produttori e 10.000 imprese di trasformazione, in cui la produzione vitivinicola è la punta di diamante con il 19% delle superfici vitate convertite oggi al bio. «I consumi pro- capite – mette in evidenza Roberto Zanoni di Assobio – invece ci penalizzano, visto che ammontano a soli 64 euro l’anno, contro i 180 euro di Germania e Francia e i 350 euro di Svizzera e Danimarca, per cui c’è ancora molto da crescere».

Il vino può dare una grossa mano in questo senso. Dai numeri di Nomisma emerge infatti che i consumi di vino in Italia nel 2021 sono arrivati a 23,2 milioni di ettolitri, per 39,2 litri pro-capite, riprendendo un trend di crescita iniziato nel 2014 (+1,8% di crescita media annua fino al 2019) ed interrotto nel 2020 a causa della pandemia. Oggi l’Italia è il terzo mercato al mondo per consumi complessivi, con l’87% degli italiani tra i 18 ed i 65 anni che ha consumato vino almeno una volta negli ultimi 12 mesi. Altro trend interessante riguarda i canali: nel 2021 il 73% dei consumi è passato per il canale off-trade, ed il 27% per il fuori casa.

Origine e poi sostenibilità

Dalla survey commentata da Silvia Zucconi emerge che tre le caratteristiche più ricercate in un prodotto agroalimentare i  consumatori mettono al primo posto l’italianità (43%), seguita da sostenibilità (29%), quindi il biologico (27%), il prezzo basso (25%), il marchio Dop/Igp (23%) e la marca nota (15%). Quando si restringe il campo al vino, invece, il consumatore premia sempre l’origine intesa come provenienza da uno specifico territorio (23%), presenza del marchio Doc/Docg/Igt (20%), brand/cantina molto nota (13%), presenza di promozioni/offerte (13%), sostenibilità ambientale e sociale del prodotto (7%), confezione sostenibile (7%), presenza del marchio biologico (6%, scelto comunque dal 22% degli intervistati nelle risposte multiple), prezzo basso (7%) e confezione bella/attraente (4%).

L’area della sostenibilità pesa dunque anche per il vino per circa il 20% delle scelte, subito dopo la ricerca dell’origine, ma la sostenibilità ha superato il biologico come prima risposta.

Cosa vuol dire sostenibile?

Una sostenibilità del vino che i consumatori intervistati da Nomisma identificano in: rispetto per l’ambiente (26%); minimo utilizzo di fertilizzanti e pesticidi (16%); rispetto del patrimonio culturale e paesaggistico di un territorio (14%); confezione a minore impatto ambientale (11%); salvaguardia della biodiversità (10%); rispetto dei diritti dei lavoratori (7%); attenzione allo sviluppo economico dell’azienda produttrice (6%).

«Una risposta che denota – evidenzia Mammuccini – che i consumatori non sanno che la scelta del biologico consente già di soddisfare quasi tutte queste esigenze, con in più i vantaggi di un sistema certificato che fa riferimento ad un sistema normativo definito a livello internazionale». «Il confronto con il vino sostenibile non deve perciò portare a una competitività senza senso, ma a rafforzare il disciplinare del bio riguardo a quei valori di sostenibilità sociale e territoriale che oggi non vi trovano piena espressione».

Il parere della filiera

Il dibattito sui temi messi in evidenza dallo studio di Nomisma Wine monitor ha visto la partecipazione di: Walter Stassi, responsabile area vini Gruppo Pam Panorama che punta a raggiungere una quota del 10% di vino bio sui suoi scaffali; Daniele Piccinin, titolare ed enologo dell’azienda Le Carline ( «La sostenibilità è una parola a volte abusata, per la quale esistono troppe certificazioni e poca conoscenza da parte del consumatore, e questo rischia di creare confusione ed incertezza spingendo il consumatore a comprare un altro prodotto»); Andrea Di Fabio, direttore Generale di Cantina Tollo che ha messo in evidenza le criticità legate dalla difformità della certificazione di sostenibilità fra i vari paesi; Michele Manelli di Cantine Salcheto, che mette in evidenza la tendenza di mercati importanti come quelli del Nord America di mettere sullo stesso scaffale il bio e i vini sostenibili con caratteristiche diverse («siamo tutti sulla stessa barca»); Luciano Sbraga, vice direttore Fipe-Confcommercio che ha sottolineato il ruolo dei canali on trade della ristorazione nel portare chiarezza nel settore.

FILENI PUNTA SUL CARBON NEUTRAL

FILENI PUNTA SUL CARBON NEUTRAL

Presentato a Jesi il bilancio di sostenibilità del gruppo leader in Italia delle carni avicole  biologiche

Con 531 milioni di fatturato di filiera, 2.037 dipendenti e un indotto di oltre 1.500 persone, il 2021 del Gruppo Fileni ha registrato importanti passi in avanti sotto il segno della sostenibilità.

La certificazione carbon neutral

Leader in Italia delle proteine animali biologiche e terzo player nazionale nel settore delle carni avicole, il gruppo marchigiano lo scorso anno ha assunto la forma giuridica della Società Benefit ed ha ottenuto la certificazione B Corp, riconoscimento internazionale alle imprese che decidono di misurare le loro performance in termini di impatto ambientale, sociale ed economico.

Dal 2020, inoltre, l’intero perimetro produttivo del gruppo è “Carbon neutral” sinonimo di zero impatto climatico, nel solo 2021 si è evitata l’emissione in atmosfera di 16.461 tonnellate di CO2. Lo si legge nel Bilancio di Sostenibilità relativo all’anno 2021, presentato dalla famiglia Fileni – il fondatore Giovanni e i figli Massimo e Roberta – presso il Dipartimento di Agraria della Politecnica delle Marche.

Doppio benessere animale

«Crediamo nella cultura rigenerativa, valorizziamo il territorio per prenderci cura del futuro della comunità», ha fatto sapere il vicepresidente Massimo Fileni, annunciando una mission ambiziosa: «Vogliamo essere la migliore filiera in Europa per il benessere delle persone e degli animali».

Parte integrante del Distretto Biologico Unico delle Marche, la filiera bio del Gruppo Fileni rappresenta il 32% degli allevamenti bio. Inoltre – si legge ancora nel bilancio, “nel 2021 oltre il 98% della produzione biologica e convenzionale è avvenuta senza l’uso di antibiotici».

L’IMPATTO DELL’INFLAZIONE SUL BIOLOGICO IN GERMANIA

L’IMPATTO DELL’INFLAZIONE SUL BIOLOGICO IN GERMANIA

Crescono i costi di produzione, ma i valori di vendita risentono della forte tensione sui prezzi. I produttori bio bavaresi chiedono di rivedere il sistema dei sostegni pubblici per non vanificare l’obiettivo di raggiungere il 30% di bio entro il 2030

Più attenzione e più sostegni da parte del governo del land bavarese. L’effetto dell’inflazione con l’aumento dei prezzi dei generi alimentari, l’incertezza dei consumatori e gli elevati aumenti dei loro costi di produzione, spinge gli agricoltori biologici di questa regione tedesca a chiedere di rivedere gi indirizzi della politica agricola.  «Serve più coraggio nel sostegno del settore bio – dichiara Hubert Heigl sulle pagine del quotidiano di Monaco di Baviera Süddeutsche Zeitung – altrimenti diventa difficile raggiungere l’obiettivo del 30% di agricoltura biologica entro il 2030, cinque punti in più rispetto al Farm To Fork, stabilito in questa regione per legge».

Rivedere i sostegni

Heigl, gestisce un allevamento di suini biologici nell’Alto Palatinato ed è presidente dell’Associazione statale per l’agricoltura biologica, l’organizzazione ombrello delle quattro principali associazioni biologiche Bioland, Naturland, Biokreis e Demetra. La sua richiesta: «Il Land bavarese dovrebbe pagare gli agricoltori biologici fino a 317 euro per ogni ettaro di seminativo che coltivano biologicamente dal 2023. La tariffa massima finora è stata di 273 euro».

Una crescita decennale

In Germania il settore biologico può guardare indietro ad anni di boom senza precedenti. Secondo l’Ufficio federale di statistica, la quota di alimenti biologici venduti è più che raddoppiata in dieci anni, con un fatturato nel settore più recente pari a 15,87 miliardi di euro. L’anno 2020, caratterizzato dalla pandemia da coronavirus, è stato l’anno di punta per il settore, il tasso di crescita è letteralmente esploso del 22%.

Un dato che ha innescato numerose conversioni. Molti agricoltori convenzionali hanno riconosciuto l’agricoltura biologica come un’opportunità per le loro aziende agricole. Frumento, latte e altri prodotti biologici hanno infatti ottenuto finora prezzi notevolmente migliori rispetto alle controparti convenzionali. Inoltre, i ricavi del biologico sono stati tradizionalmente molto più stabili rispetto all’agricoltura convenzionale, senza la volatilità che ha finora caratterizzato le commodities agricole convenzionali. Dopo la petizione per la biodiversità “Salva le api” del 2019 Monaco di Baviera ha fissato in una legge regionale l’obiettivo del 30 percento della superficie agricola bio entro il 2030. Sarebbe circa un milione di ettari.

In ritardo sulla tabella di marcia

Finora la superficie bio cresceva ad un tasso del 10% all’anno. Tanto che Il ministro dell’Agricoltura Michaela Kaniber (CSU) ha elogiato la Baviera come Regione bio numero uno in Germania. A fine 2021, però, secondo i dati dell’Istituto Statale per l’Agricoltura, solo 379mila ettari, ovvero il dodici per cento dei terreni agricoli, erano coltivati ​​secondo le linee guida del biologico. Quindi mancano ancora ben 600.000 ettari per l’obiettivo del 30%.

L’incertezza dei consumatori

Un obiettivo ora reso più arduo dagli effetti della guerra in Ucraina. «C’è la massima incertezza – afferma Heigl -. Il tasso di inflazione per il cibo è stato recentemente dell’11% e ciò mette a dura prova soprattutto i prodotti a più alto valore». «La direzione è chiara: anche il biologico sta andando verso un prezzo più conveniente». Un fattore che non si accorda bene con l’aumento dei costi di produzione che riguarda anche i mezzi tecnici bio e che spinge gli agricoltori tedeschi a rivedere l’ammontare del sostegno pubblico.

TERRA E VITA CELEBRA IL NUOVO RECORD DI SUOLO E SALUTE

TERRA E VITA CELEBRA IL NUOVO RECORD DI SUOLO E SALUTE

Ampio reportage sui positivi risultati raggiunti nel 2021 dal nostro ente di certificazione pubblicato sul numero 18/2022 del settimanale di riferimento dell’agricoltura italiana

«Suolo e Salute rafforza il ruolo di leader della certificazione bio in Italia». In un articolo firmato da Gian Paolo Ponzi pubblicato sul numero 18/2022, Terra e Vita, storico magazine di agricoltura, dà un ampio resoconto degli entusiasmanti risultati di crescita ottenuti dal nostro ente di certificazione nel 2021 (clicca qui per approfondire).

I numeri

I numeri diffusi in occasione dell’Assemblea che si è recentemente tenuta a Fano (Pu) certificano infatti i seguenti risultati di Suolo e Salute:

  • 21.045 operatori controllati (+6,2% su base annua);
  • 606mila gli ettari (+6,5%);
  • 5.104 le aziende di produzione e preparazione e solo preparazione (+5,2%);
  • 2.567 le nuove notifiche (+21,5%);
  • 9.809 l’incremento degli operatori in dieci anni (+87,3% contro un incremento nazionale del 64%);

Suolo e Salute arriva così a certificare:

  • il 26% degli operatori biologici italiani,
  • il 30% della superficie agricola biologica nazionale.

I commenti

Nell’articolo Terra e Vita mette in evidenza la portata di un risultato ottenuto grazie alla forte presenza territoriale e all’affidabilità dell’ente di certificazione e del contributo che questo risultato può portare negli obiettivi di crescita del bio fissati dal Green deal europeo.

CONVERSIONE “A U” DEGLI STATI UNITI: ORA PUNTANO SUL BIO

CONVERSIONE “A U” DEGLI STATI UNITI: ORA PUNTANO SUL BIO

300 milioni di dollari per favorire le conversioni delle aziende al biologico. Il segretario Tom Vilsack: «l’agricoltura biologica ha un ruolo decisivo nella transizione ecologica del sistema alimentare statunitense»

L’agricoltura americana cambia rotta e punta sul bio. L’amministrazione Biden ha infatti lanciato un piano  strategico sostenuto da un finanziamento di 2 miliardi di dollari che punta a migliorare quasi ogni aspetto della produzione e distribuzione agroalimentare. Una particolare attenzione viene però riservata alle esigenze delle piccole e medie imprese e alla promozione dell’agricoltura biologica e urbana.

Le sfide da affrontare

L’obiettivo è quello di affrontare diverse sfide, dai cambiamenti climatici alla cattiva alimentazione fino al riequilibrio della trasformazione e distribuzione alimentare.

Filiere corte e orti urbani

La strategia prevede la spesa di 1,3 miliardi di dollari per la trasformazione e distribuzione degli alimenti, 300 milioni per sostenere le conversioni degli agricoltori al biologico e 230 milioni di dollari per espandere l’agricoltura urbana e aumentare le autoproduzioni nei centri urbani e nelle comunità rurali considerate “deserti alimentari”.

In un discorso alla Georgetown University, il segretario all’agricoltura Tom Vilsack ha affermato che gli stanziamenti saranno disponibili entro la fine dell’anno e che ulteriori risorse arriveranno dal disegno di legge sull’agricoltura, che il Congresso scriverà nel 2023.

L’annuncio di Vilsack arriva mentre l’amministrazione Biden è alle prese con l’aumento dei prezzi al consumo che minacciano le speranze dei Democratici di mantenere il controllo del Congresso nelle elezioni di medio termine.

«Di fronte alle grandi sfide – ha affermato Vilsack – l’America coglie l’opportunità di trasformarsi in una forma più forte e migliore di se stessa». Le iniziative sono finanziate attraverso l’American Rescue Plan emanato nel marzo 2021 per fare fronte alle conseguenze della pandemia.

Il tutoraggio del bio

I 300 milioni di dollari destinati alla transizione verso il bio sosterranno anche inedite forme di tutoraggio da agricoltore a agricoltore fornendo anche assistenza per le pratiche di coltivazione carbon neutral, la difesa passiva delle colture e lo sviluppo delle filiere corte.

Il grosso dei finanziamenti, 650 milioni di dollari, è però destinato al settore della trasformazione zootecnica. «L’USDA – afferma Vilsack – ha già ricevuto circa 250 richieste di sovvenzioni per un totale di 900 milioni di dollari per aumentare la capacità di lavorazione di carne e pollame».