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PICCOLE FILIERE BIO CRESCONO ANCHE IN UGANDA

PICCOLE FILIERE BIO CRESCONO ANCHE IN UGANDA

L’idea di finanziare la crescita della produzione locale di peperoncino, chia e sesamo bio da esportare in Europa affronta le criticità rappresentate dal programma di irrorazioni anti malaria e dall’assenza di valide strutture di trasformazione

Le filiere bio crescono anche in Africa. «È il comparto agricolo – afferma Marck van Esch – in più rapida crescita a livello mondiale. Anche durante il Covid-19, il mercato è rimasto forte».  Secondo un rapporto di Reportlinker, il mercato globale degli alimenti biologici crescerà infatti del 14,59% all’anno per raggiungere i 368,94 miliardi di dollari entro il 2026.

Accordi di cooperazione

Van Esch, attraverso la sua società Shares Uganda Limited finanzia e gestisce, puntando a una diretta cooperazione con circa 10mila piccoli agricoltori, lo sviluppo della filiera del biologico in Uganda, curandone anche l’esportazione verso i mercati più esigenti come quello europeo.

Promuove soprattutto la coltivazione di peperoncino, chia e sesamo bio, con progetti di crescita anche nel girasole, leguminose e frutticole adatte alla produzione in Uganda.

La criticità delle irrorazioni anti malaria

«Una delle principali criticità per il bio – dice –  è rappresentato dall’impatto dannoso del programma IRS (indoor residual spraying, l’applicazione forzata di insetticidi per fare fronte al rischio malaria) ». «Se i prodotti chimici vengono applicati all’interno dei magazzini dove gli agricoltori conservano i loro raccolti, ciò porterebbe a contaminazioni che comporterebbero la perdita della certificazione biologica».  A causa di questo inconveniente il progetto di agricoltura biologica in Uganda ha già subito alcuni ritardi, per l’esigenza di spostare l’area di coltivazione a contratto.

Il nodo della mancanza della trasformazione

«Un altro punto chiave – spiega il finanziere – deriva dalla capacità di costruire filiere in grado di valorizzare i prodotti agricoli biologici ugandesi prima dell’esportazione».

Attualmente la capacità di trasformazione e condizionamento in loco è infatti piuttosto ridotta. «La maggior parte dei prodotti biologici trasformati che i consumatori locali mangiano proviene dal mondo occidentale. I paesi africani non producono quasi nessun prodotto finale certificato biologico e, quando lo fanno, spesso rimane disponibile solo per i mercati nazionali locali».

Fonte: www.howwemadeitinafrica.com

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