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GREENWASHING E CARBON CREDIT, UNA DIRETTIVA PER FARE CHIAREZZA

GREENWASHING E CARBON CREDIT, UNA DIRETTIVA PER FARE CHIAREZZA

Il Consiglio dei ministri dell’Ambiente dei 27 Paesi membri dell’Unione traccia la cornice della Direttiva Green Claims: gli slogan ambientali e climatici devono essere dimostrati

Non solo la Nature Restoration Law (vedi la prima notizia di questa newsletter), il Consiglio Ue sdogana anche la nuova Direttiva Green Claims.

Nodi green da sciogliere

I ministri dell’Ambiente europei hanno infatti voluto affrontare i più spinosi nodi “green” ancora da sciogliere nel corso della riunione del Consiglio Ue svolto in Lussemburgo il 17 giugno.

Una riunione particolarmente prolifica, visto che i ventisette Paesi membri hanno raggiunto l’accordo su una serie di proposte relative alla Direttiva Green Claims, un provvedimento volto a contrastare il greenwashing e a fornire ai consumatori informazioni affidabili e verificabili per decisioni d’acquisto più ecologiche, proposto per la prima volta nel marzo 2023 e approvato dall’Europarlamento un anno dopo (Suolo e Salute ne ha parlato qui).

Alcuni recenti casi giudiziari (vedi il ricorso di Ifoam Organics Eu contro il sistema Ecoscore) mostrano che la necessità di portare chiarezza riguardo alle indicazioni ambientali presenti sulle etichette dei prodotti agroalimentari è ormai inderogabile. L’orientamento generale espresso il 17 giugno dal Consiglio costituirà la base per i triloghi sulla forma finale della direttiva, i cui negoziati inizieranno nel nuovo ciclo legislativo.

Dichiarazioni da dimostrare

La proposta di Direttiva si rivolge alle dichiarazioni ambientali esplicite e alle etichette ambientali volontarie utilizzate dalle aziende per promuovere i loro prodotti. Include anche i sistemi di etichettatura ambientale esistenti e futuri, sia pubblici che privati, specificando gli obblighi per ciascun comparto. Le aziende devono utilizzare criteri chiari e prove scientifiche aggiornate per corroborare le loro asserzioni. Le dichiarazioni e le etichette devono essere chiare, comprensibili e specifiche rispetto alle caratteristiche ambientali dichiarate. Un principio fondamentale ribadito dalla bozza di direttiva è la verifica ex ante delle dichiarazioni ambientali da parte di esperti indipendenti, per garantire la loro veridicità prima della pubblicazione. Tuttavia, è prevista una procedura semplificata per esentare alcune tipologie di asserzioni dalla verifica di terze parti, purché le imprese forniscano un documento tecnico di conformità.

I sistemi di etichettatura ecologica EN ISO 14024 tipo 1 riconosciuti ufficialmente in uno Stato membro saranno esentati dalla verifica se rispettano le nuove norme. Il riconoscimento in un Paese permette dunque la validità in tutta la UE.

Crediti di carbonio, il ruolo dell’agricoltura

La direttiva affronta anche il tema spinoso delle dichiarazioni relative al clima, comprese quelle che coinvolgono i crediti di carbonio, introducendo nuovi requisiti. Le aziende devono fornire dettagli sul tipo e la quantità di questi crediti, dichiarando anche se sono permanenti o temporanei. Verrà fatta una distinzione fra crediti per azioni climatiche e crediti di compensazione, cioè tra quelli che dovrebbero avere un effetto “addizionale” e quelli che invece bilanciano un’attività inquinante. In entrambi i casi, i problemi di metodologia hanno finora dimostrato la fallacia del sistema di “finanziarizzazione” del clima. Positivo, al riguardo, il commento di Copa-Cogeca, la centrale di rappresentanza delle associazioni agricole a Bruxelles. «Questo approccio sui carbon credit prende in considerazione la realtà delle aziende agricole e dà la giusta flessibilità all’uso dei crediti di carbonio nel mercato volontario».

ECOSCORE DEVE TROVARSI UN NUOVO NOME

ECOSCORE DEVE TROVARSI UN NUOVO NOME

Accordo stragiudiziale tra IFOAM Organics Eu e l’agenzia nazionale francese Ademe: il famigerato sistema di etichettatura a semaforo infrange le fattispecie “semantiche” del regolamento sul bio e dovrà trovare una nuova denominazione

La nuova direttiva sui “green claims” non è ancora approvata (vedi notizia precedente) e già produce i primi frutti. Sembra infatti risolversi in maniera positiva la querelle legale che ha contrapposto in Franca la rete di riferimento del bio europeo (IFOAM Organics Eu) e l’agenzie nazionale per l’ambiente Ademe, l’applicazione mobile Yuka e le catene della gdo transalpina partner di questa discussa iniziativa.

Il ricorso di IFOAM Organics Europe

Nel gennaio 2023, la federazione europea dell’agricoltura biologica (IFOAM Organics Europe) e i suoi membri francesi (IFOAM France) avevano infatti avviato un’azione legale dinanzi al Tribunale giudiziario di Parigi e un ricorso dinanzi all’INPI (Istituto nazionale della proprietà intellettuale) contro l’indicatore di impatto ambientale “Ecoscore”.

I punti dell’accordo

La mediazione, prima giudiziale e poi convenzionale, in corso da allora, ha raggiunto a inizio giugno  un accordo tra le parti che pone fine a queste procedure legali. Secondo il sito Bioecoactual tale accordo prevede in particolare che:

 

  • poiché le autorità pubbliche si stanno muovendo verso un altro nome per designare il sistema di etichettatura ambientale, Ademe ritirerà il marchio denominativo “Ecoscore” per il settore alimentare e agroalimentare presso l’Inpi;
  • Yuka ed Eco2 Initiative rinunciano, entro e non oltre il 31 dicembre 2024, a disegni e modelli contenenti il termine “Ecoscore” registrati a livello europeo;

IFOAM Organics Europe, IFOAM France, Yuka, Eco2 Initiative, Open Food Facts e Ademe dichiarano di essere d’accordo su:

  • l’importanza di fornire ai consumatori informazioni affidabili e trasparenti sull’impatto ambientale dei prodotti alimentari al fine di aiutarli a compiere scelte più responsabili e sostenibili;
  • il ruolo essenziale dell’agricoltura biologica e dell’agroecologia per la transizione agroalimentare;
  • la necessità di promuovere nuove abitudini alimentari e di lavorare allo stesso tempo, in particolare, su:
    • verso un’agricoltura di qualità e più rispettosa dell’ambiente,
    • un’agricoltura che limiti il suo impatto sui cambiamenti climatici,
    • un’agricoltura che preserva la biodiversità,
    • ridurre l’uso di pesticidi,
    • la riduzione della porzione di carne nella nostra dieta, in una logica di “less but better” che ci permette di privilegiare la carne proveniente dagli allevamenti più sostenibili, come gli allevamenti estensivi a marchio,
    • ridurre la pressione sulle risorse marine,
    • rispetto delle stagioni per frutta e verdura,
    • ridurre il trasporto di derrate alimentari e promuovere la produzione locale;
    • riduzione dei rifiuti di imballaggio inquinanti,
    • la difficoltà di condurre contemporaneamente queste diverse battaglie e la necessità di collaborazione tra tutti gli attori che lavorano per la transizione del sistema alimentare, di cui fanno parte.
L’INDIA È LA NUOVA TERRA PROMESSA DEL BIO?

L’INDIA È LA NUOVA TERRA PROMESSA DEL BIO?

Balzo del 78% della superficie biologica, aumento della produzione e delle iniziative per favorire un mercato equo: il grande Stato asiatico può diventare il punto di riferimento di uno sviluppo sostenibile che faccia perno sull’agricoltura?

«In India non crediamo di essere, sappiamo di essere». La battuta di Peter Sellers nello spassosissimo film Hollywood party suggerisce di non sottovalutare mai il potenziale creativo (e distruttivo, visto quello che capita nel film) del Paese che oggi guida il fronte sempre più ampio dei Paesi Brics. E questo vale anche per il biologico.

I record indiani nel bio

Grazie infatti ad un balzo annuale del 78% l’India è diventato il secondo Paese al mondo per l’estensione dell’agricoltura bio. I 4,7 milioni di ettari registrati dall’ultima edizione dell’atlante bio del mondo redatto da Fibl e Ifoam (The world of organic agriculture, clicca qui per accedere) collocano il subcontinente indiano dietro all’Australia, irraggiungibile grazie ai suoi 53 milioni di ettari (tutti di pascoli però) e davanti all’Argentina (4,1 milioni di ettari). L’Italia è ormai lontana dai vertici mondiali con circa metà delle superfici bio dell’India. Un avviso: i dati di questo Paese sono da prendere con le molle, la destinazione d’uso di queste terre è infatti ignota, non si sa quali colture siano praticate, l’offerta nazionale di alimenti bio è però in crescita e ciò si desume anche dal calo delle importazioni.

Dall’Himalaya alle rive dell’Oceano indiano

A supportare la crescita del bio contribuiscono alcune politiche locali. Il Sikkim, la Regione himalaiana incastrata tra Nepal, Tibet (Cina) e Bhutan, è saltato all’onore delle cronache dieci anni fa per essere la prima regione agricola al mondo dove il bio è obbligatorio per legge. Un’attenzione giustificata dalla fragilità di questo territorio montuoso nei confronti degli effetti del climate change. Un entusiasmo bio fiaccato dalla recente pesante alluvione che ha causato centinaia di morti e dai timori per lo strisciante  conflitto cino-indiano che periodicamente affligge questa zona montana.

Passando dall’estremo Nord all’estremo sud di questo enorme Stato, ovvero da un paesaggio dominato da conifere come il cedro deodara alle palme da cocco, è il Kerala oggi a spingere sulla conversione al bio con una legge statale che incentiva il metodo di coltivazione bio, in chiave anti climate change, per diventare un vero e proprio hub della produzione ed esportazione di cibo bio. Il tasso di crescita programmato è di circa mille ettari all’anno. Un aumento di produzione che non rischia di rimanere invenduto.

Le iniziative per accorciare la catena del valore

La sensibilità ecologica cresce infatti di pari passo con l’aumento del reddito pro capite anche in questo Paese e iniziative come quella di “Restore”, una rete di piccole aziende con base a Chennai (l’antica Madras), capitale dello Stato del Tamil Nadu, puntano ad accorciare la lunghezza della filiera agroalimentare valorizzando il contributo dei piccoli produttori agricoli. I principi fondanti di Restore si sono oggi evoluti in un movimento pan-indiano per il consumo agro-ecologico pulito chiamato Organic Farmers Market (OFM), che ha avuto un impatto sulla vita di oltre 300 agricoltori in Tamil Nadu, Karnataka, Andhra Pradesh, Kerala, Rajasthan e alcune parti dell’Himachal Pradesh.

Nella capitale Nuova Dehli è invece un importante player come JR Farms a sostenere l’agricoltura bio. JR Farms gestisce una struttura di vendita diversificata progettata per soddisfare un’ampia gamma di clienti attraverso diversi canali, sia B2B che B2C. Collaborando con oltre 140 agricoltori di stati come Meghalaya, Rajasthan, Gujarat, Maharashtra, Himachal Pradesh e Uttar Pradesh, JR Farms garantisce che questi agricoltori ricevano prezzi equi per i loro prodotti attraverso alleanze strategiche e iniziative di accesso al mercato.

Trattasi di rinascimento biologico?

Un rinascimento biologico che secondo alcuni analisti può diventare un punto di riferimento per lo sviluppo sostenibile. Secondo alcune analisi il mercato degli alimenti biologici in India, stimato a poco più di 1,5 miliardi di dollari nel 2023, può crescere così esponenzialmente fino a toccare i 9 miliardi in entro dieci anni, il che corrisponderebbe ad un tasso di crescita superiore al 20% annuo. Cifre monstre che trovano giustificazione dal fatto che in India risiede quasi un quinto della popolazione del nostro Pianeta e che questo è il Paese che sta registrando uno dei maggiori tassi di crescita economica.

 

NON SOLO MIELE, DALLE API ANCHE IL LIEVITO PER I VINI BIO

NON SOLO MIELE, DALLE API ANCHE IL LIEVITO PER I VINI BIO

Questi insetti pronubi svolgono un ruolo chiave nel trasporto del Saccharomyces sull’uva e gli altri frutti.  Cantina Orsogna in Abruzzo ha isolato questi ceppi per dare identità ai propri vini

Non solo miele, cera e pappa reale, le api sono anche amiche di chi fa il vino. Questi insetti impollinatori, infatti, nel loro stomaco trasportano i lieviti che finiscono nel polline e sugli acini. Una scoperta fatta qualche anno fa da un gruppo di ricercatori dell’Università di Firenze, della Fondazione Edmund Mach di San Michele all’Adige e del Consiglio Nazionale delle Ricerche, ma c’è poi chi ha deciso di passare ai fatti, selezionando e utilizzando questi lieviti.

Sei ceppi dal polline delle essenze del territorio

A farlo è stata Bio Cantina Orsogna, grande realtà cooperativa di 350 soci, produttrice di vini green nel chietino, dove conta 1.400 ettari biologici, con il 50% condotto in biodinamica; numeri che portano questa realtà a collocarsi al secondo posto in Europa per produzione di vini bio e a distinguersi come prima al mondo per la biodinamica. «Da otto anni – – spiega il direttore Camillo Zulli – selezioniamo sei lieviti da pollini provenienti da alveari posizionati in prossimità di piante del nostro territorio, biancospino, castagno, mora, ciliegio, sulla e trifoglio».

Generazione honey

Un’inedita frontiera del green divulgata nell’ambito di “Generazione Honey”, campagna di comunicazione promossa dalla società di servizi di Confcooperative Agri Rete Service e finanziata dal Masaf.

IL PIONIERE DEL BIOLOGICO ALNATURA FESTEGGIA 40 ANNI DI ATTIVITÀ

IL PIONIERE DEL BIOLOGICO ALNATURA FESTEGGIA 40 ANNI DI ATTIVITÀ

Il gruppo tedesco che è uno degli esempi più longevi di catena di distribuzione specializzata nel bio celebra i 4 decenni di attività

È uno dei più significativi esempi di catena di distribuzione specializzata nel bio. Un’esperienza nata dalla vendita diretta della produzione agricola e arrivata in 4 decenni a conquistare tutta la filiera che va dal campo al carrello. Parliamo di Alnatura, la catena tedesca con sede a Darmstadt in Assia che quest’anno celebra i suoi 40 anni di attività.

Da zero a 152 punti vendita

Era infatti il 1984 quando il fondatore e tutt’ora amministratore delegato dell’azienda Götz Rehn pose le basi per lo sviluppo del marchio Alnatura. Solo tre anni apriva il primo centro Alnatura Super Natur a Mannheim. Da allora in Germania si sono aggiunti 152 negozi Alnatura. Nell’ultimo anno finanziario 2022/23, circa 3.500 dipendenti hanno generato un fatturato netto di oltre 1,1 miliardi di euro. Gli oltre 1.300 articoli biologici prodotti con il marchio Alnatura sono venduti in circa 13.700 filiali di diversi partner commerciali in 14 paesi.

Alnatura vende solo prodotti biologici e sostiene la diffusione dell’agricoltura biologica con iniziative a supporto del settore delle sementi bio, della salute del suolo e della biodiversità. «Negli ultimi 40 anni – afferma Götz Rehn sulle pagine di presseportal.de – Alnatura ha aiutato molte persone a comprendere le conseguenze positive dell’agricoltura biologica. Sanno che ogni acquisto di un prodotto biologico ha un senso».

BIOSOLUTION, UN SETTORE CHE PUÒ TRIPLICARE DI VALORE

BIOSOLUTION, UN SETTORE CHE PUÒ TRIPLICARE DI VALORE

Dai 240 miliardi di euro del 2020 ai 640 del 2030: è il potenziale di crescita del settore dei mezzi biologici per la difesa, un’opportunità anche in termini di riduzione della carbon footprint

La rivoluzione verde del Green Deal traina la crescita del mercato delle biosolution. Il valore del fatturato mondiale dei mezzi di difesa biologici potrebbe infatti aumentare dai 240 miliardi di euro del 2020 a 640 miliardi di euro nel 2030 e l’Unione europea fa la parte del leone.

L’analisi di Euractiv

Lo rivela un’analisi del sito Euractiv che mette in rilievo l’impatto in termini di riduzione della carbon footprint offerto da questo settore all’Europa a livello locale e globale.

L’accoppiata con l’intelligenza artificiale

« I progressi nella ricerca e nell’innovazione nelle scienze e tecnologie biologiche hanno un potenziale notevole per aiutare l’Europa e il resto del mondo ad affrontare alcune delle più grandi sfide del nostro tempo». Secondo il sito d’informazione le biosolution si sposano in maniera efficace con l’intelligenza artificiale (AI) per promuovere l’innovazione ed esplorare nuovi modelli di business.

Obiettivo neutralità climatica

«Se l’Europa vuole raggiungere i suoi obiettivi verdi definiti nelle strategie Fit for 55 e Farm to Fork, e se il Green Deal vuole mantenere le sue promesse, anche nel contesto della scarsità di cibo e mangimi, le biosoluzioni devono essere parte integrante della strategia europea per un futuro sostenibile».

Le biosoluzioni stanno già riducendo l’impatto ambientale e climatico in vari settori come la produzione alimentare, l’industria, i trasporti e l’approvvigionamento energetico, e possono anche svolgere un ruolo significativo nel preservare e migliorare la biodiversità.