Suolo e Salute

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GIORNATA DELLA TERRA, GLI AGRICOLTORI BIO NE SONO I CUSTODI

GIORNATA DELLA TERRA, GLI AGRICOLTORI BIO NE SONO I CUSTODI

Invest in our planet è stato il tema della giornata che si è celebrata il 22 aprile, ma non basta un giorno per fermare il cambiamento climatico, il riscaldamento globale, il consumo di suolo. Per invertire queste tendenze dobbiamo cambiare stili di consumo e premiare lo sforzo di sostenibilità degli agricoltori biologici. Il loro contributo secondo un recente studio è notevole

Una giornata intera per celebrare l’ambiente e la salvaguardia del pianeta Terra. Forse non è abbastanza: per rispettare veramente il nostro Pianeta occorrerebbe di più, produrre e consumare cibo biologico ad esempio, ma la Giornata della Terra del 22 aprile ha per lo meno avuto il significato di rimettere al centro dell’interesse globale l’attenzione per la tutela della natura e sviluppo sostenibile, l’educazione ambientale, la partecipazione di imprese e cittadini ad iniziative per preservare le risorse non rinnovabili.

Il global warming non va in ferie

Un appuntamento che in Italia quest’anno è passato un po’ in sordina perché nel bel mezzo del ponte del 25 aprile. Piaghe come la crisi climatica, il riscaldamento globale, il consumo di suolo non vanno però mai in ferie e il ruolo del biologico nella produzione sostenibile di beni primari come il cibo è determinante per invertire queste tendenze.

«Questa giornata – è stata la considerazione di Luigi D’Eramo, sottosegretario al ministero dell’Agricoltura, Sovranità alimentare e foreste – offre un momento di riflessione sulla necessità di un migliore utilizzo delle risorse naturali e sull’irrinunciabile contributo del settore primario per garantire la biodiversità, la tutela del verde, il patrimonio boschivo». «Per affrontare grandi sfide come quella dei cambiamenti climatici – ha continuato il sottosegretario – il nostro impegno va nella direzione di favorire l’innovazione in agricoltura e di far crescere il biologico».

I vantaggi del bio

Ifoam ricorda che, secondo il rapporto ‘Study on the environmental impacts of achieving 25% organic land by 2030’ di Nicolas Lampkin and Katrin Padel, i benefici in termini ambientali che si otterrebbero con il raggiungimento del 25% di terreni agricoli biologici nell’Ue sarebbero notevoli. In particolare le emissioni totali di gas serra sarebbero ridotte fino a 68 milioni di tonnellate di CO2 l’anno (-15% per l’agricoltura dell’UE-27), mentre la biodiversità aumenterebbe del 30% sui terreni agricoli biologici rispetto a quelli non bio.

La Giornata della Terra si celebra dal 1970. Il tema di quest’anno è stato “Invest in our planet”.

«Gli agricoltori sono i veri custodi della Terra, con un impegno quotidiano nel produrre cibo sano, sicuro e sufficiente, preservando le risorse naturali. Sono e devono restare protagonisti, perché senza di loro ci sarebbe l’abbandono di interi territori con enormi danni anche alla salvaguardia dell’ambiente».

LA RIVOLTA DEL BIO FRANCESE CONTRO LE ETICHETTE CHE FANNO GREENWASHING

LA RIVOLTA DEL BIO FRANCESE CONTRO LE ETICHETTE CHE FANNO GREENWASHING

Alla 59° edizione del Salon International de l´Agriculture di Parigi va in scena la contestazione di produttrici bio motivate come Rosélène Pierrefixe contro scelte politiche che sfruttano il boom dei consumi bio degli anni scorsi per favorire protocolli alternativi come quelli marchiati Hve (High Environmental Value)

«Se non ci fossero gli agricoltori biologici finireste per mangiarvi solo le unghie!». A Parigi, Porte de Versailles, fino al 5 marzo va in scena la 59° edizione del Salon International de l´Agriculture. Un’edizione che si sta caratterizzando per la riscossa dell’orgoglio bio. Rosélène Pierrefixe è una giovane imprenditrice bio bretone. Dieci anni fa ha investito assieme al marito i suoi pochi averi, ma massima volontà di fare, in una minuscola azienda orticola a Monterblanc, vicino a Vannes, nel dipartimento del Morbihan, in Bretagna. Nel 2019 ha conquistato la copertina del mensile francese di agricoltura biologica “Symbiose” in un numero dedicato alle piccole realtà bio, giustificando il titolo: “microaziende, maxi fierezza”.

L’impatto del climate change

Una fierezza oggi piegata dall’impatto del climate change. «La scorsa estate – racconta-, il sud della Bretagna ha registrato temperature record, fino a 41 gradi». «Ondate di caldo e di siccità che hanno reso più impegnativo, anche dal punto di vista fisico, il nostro lavoro». «Ma quello che più indigna è come le autorità hanno mal governato la grave carenza idrica».

«Abbiamo infatti dovuto conquistarci ogni goccia d’acqua litigandocela con chi gestisce campi da golf o autolavaggi». «Eppure noi produciamo cibo. E con l’agricoltura biologica siamo in grado di immagazzinare nel suolo più carbonio di quanto ne emettiamo, contribuendo a mitigare gli effetti del climate change».

Una crisi climatica che si sta riproponendo, ma in maniera decisamente anticipata, quest’anno. «In Bretagna non piove da più di un mese, l’emergenza delle colture è rallentata e le espone al rischio delle gelate». «Gli eventi meteo estremi sono ormai diventati la norma: se arriva una gelata quando le patate sono alte 20 centimetri perdiamo tutto».

La contestazione va in scena a Parigi

Una situazione allarmante che l’ha spinta a recarsi a Parigi per contestare la consueta sfilata di politici al Salon International de l´Agriculture: «State sbagliando tutto: create confusione per sfavorire i consumi di cibo biologico e locale. Vorrei che il marchio del bio fosse riconosciuto, che i suoi agricoltori fossero ascoltati, non solo la Fnsea (Fédération nationale des syndicats d’exploitants agricoles, la federazione ombrello che riunisce le maggiori sigle di agricoltori francesi convenzionali)..».

Ecoscore e Hve, messaggi fuorvianti

Sotto accusa, non solo da parte di Rosélène, è il marchio Hve (High Environmental Value), voluto dal ministero dell’agricoltura francese. Dopo la denuncia di Ifoam Organics Europe contro il marchio francese eco-score (ne abbiamo parlato qui) perché favorisce la produzione intensiva a discapito di quella biologica,  un gruppo di associazioni, agricoltori e aziende ha seguito l’esempio facendo ricorso all’alto Consiglio di Stato in gennaio 2023 contro l’etichetta francese di Alto Valore Ambientale (HVE) asserendo che ha ingannato il consumatore per più di dieci anni. «Viene spacciata come molto rispettosa dell’ambiente, ma il disciplinare che c’è dietro non è più esigente della media delle pratiche agricole francesi, secondo gli studi condotti dall’Ufficio francese per la biodiversità e dall’Istituto per lo sviluppo sostenibile e le relazioni internazionali».

Dopo il boom registrato in Francia nel 2020 e 2021 il consumo del bio in Francia è rallentato anche a causa della confusione innescata da queste etichette e alla retromarcia del Governo francese sui promessi aiuti nazionali agli agricoltori bio. Le referenze bio sugli scaffali della grande distribuzione stanno così calando a discapito di etichette che fanno greenwashing.

La riscossa del bio

Le evidenze scientifiche confermano però che è l ‘agricoltura biologica a preservare la biodiversità, proteggere la qualità dell’acqua, del suolo e dell’aria e adattarsi meglio ai cambiamenti climatici. Tanto che anche il gruppo intergovernativo di esperti sui cambiamenti climatici (IPCC) raccomanda di espandere rapidamente questo modello agricolo.

Al Salone di Parigi è così scattata la riscossa del bio: associazioni come Fnab (Federazione nazionale dell’agricoltura biologica) o Terre de Liens hanno avviato campagne informative per spingere i consumatori a guardare meglio le etichette e riconoscere il marchio del bio. In più dal 20 al 30 marzo è stata indetta “la Settimana delle alternative ai pesticidi”. Perchè il contrasto al cambiamento climatico ha bisogno di produttori responsabili, ma anche di consumatori consapevoli.

A SLOW WINE FAIR IL PUNTO SU CLIMA, DENOMINAZIONI E BIO

A SLOW WINE FAIR IL PUNTO SU CLIMA, DENOMINAZIONI E BIO

“Nutrire il suolo per contrastare gli effetti del climate change”. Tre conferenze digitali per avvicinarsi all’appuntamento del 26 febbraio a Bologna dove sono attese 750 cantine di cui la metà bio

L’edizione 2023 prenderà il via il 26 febbraio e sarà preceduta da tre conferenze digitali. Attese 750 cantine espositrici, il 50% in più rispetto all’anno scorso, di cui metà certificate bio

Slow Wine Fair, la seconda edizione della fiera del vino buono, pulito e giusto, organizzata da BolognaFiere e Sana, con la direzione artistica di Slow Food e il coinvolgimento di FederBio aprirà i cancelli a Bologna da domenica 26 a martedì 28 febbraio.

Tre appuntamenti digitali

Nel corso della conferenza stampa di apertura, che si è tenuta il 10 febbraio presso la sede di Ascom Bologna, sono state annunciate alcune tappe di avvicinamento. Dopo infatti la conferenza online dell’8 febbraio sugli effetti del cambiamento climatico sulla produzione vitivinicola, i seguenti webinar per anticipare i contenuti della fiera sono quelli del 15 e del 22 dedicati al tema delle denominazioni e del biologico.

L’obiettivo di Slow Food

L’obiettivo di Slow Food è quello di “difendere il vino buono, pulito e giusto e promuovere la viticoltura sostenibile”. Lo ha detto, alla presentazione dell’iniziativa, Federico Varazi, vicepresidente di Slow Food Italia. La manifestazione sarà «un’occasione per guardare al futuro dell’agricoltura e dei territori del vino italiano e un modo per riflettere insieme al mondo della politica sull’alternativa al modello di agricoltura fin qui perseguito» che rischia di minacciare «il suolo e l’ambiente naturale, e sperperare materie prime e impoverire i produttori».

Sviluppo ecosostenibile

Di cambiamenti climatici ed effetti nel mondo del vino ha parlato anche Giancarlo Gariglio, coordinatore della Slow Wine Coalition. «Sta nascendo una comunità di persone che crede fermamente che si possa cambiare il sistema agricolo dalle basi -ha osservato – facendo sì che le nuove parole d’ordine siano sostenibilità ambientale e uso oculato delle risorse naturali, difesa del paesaggio e la sua tutela per contrastare cementificazione, incendi, dissesti idrogeologici».

Scegliere di produrre vino biologico non è solo importante per tutelare l’ambiente ma è anche un ottimo modello di business, come ha spiegato Maria Grazia Mammuccini, presidente di FederBio.

Uno su due beve “green”

«Da un’indagine condotta da Nomisma-Wine Monitor – ha detto -risulta che i italiano su 2 sceglie vino biologico». Prodotto che «è particolarmente apprezzato anche all’estero, dove vale il 19% dell’esportazione globale di agroalimentare bio. In termini assoluti parliamo di 626 milioni di euro di vino bio Made in Italy e una quota sul totale dell’export vitivinicolo italiano dell’8%” in base ai dati Nomisma Osservatorio Bio». «Senza contare che negli ultimi 10 anni le superfici di vite coltivate a bio sono aumentate di oltre il 109%” e sono uno “strumento per la comunità locale e per il territorio».

Imparare dal vino

Punta sull’educazione, infine, Daniele Ara, assessore alla Scuola e all’educazione del Comune di Bologna, per il quale «la conoscenza del buon vino può essere un deterrente rispetto a tanti eccessi da parte dei più giovani».

I QUATTRO “SUPER POTERI” DI UN SUOLO SANO

I QUATTRO “SUPER POTERI” DI UN SUOLO SANO

In occasione della Giornata Mondiale del Suolo occorre incentivare l’impegno in favore delle pratiche in grado di sostenere la fertilità e la biodiversità dei terreni. Perché un suolo agrario sano contrasta il cambiamento climatico, tutela la regimazione delle acque, fornisce nutrienti alle piante, contrasta la perdita di biodiversità

Il 5 dicembre è la Giornata Mondiale del Suolo. Un tema che per l’agricoltura biologica è un impegno quotidiano. Il metodo agricolo trova infatti il suo principio fondante proprio sulla salubrità e sulla biodiversità del terreno, predicando da sempre la necessità di favorire l’aumento della frazione organica per combattere fenomeni di desertificazione e dissesto idrogeologico.

Solide basi per la sostenibilità

Aiab Friuli Venezia Giulia, in occasione dell’evento celebrativo internazionale, ha ricordato che solo questa attenzione per il “patrimonio suolo” può consentire di risolvere il problema della sicurezza alimentare globale, uno dei più sfidanti obiettivi di sostenibilità dei millennium Goals delle Nazioni Unite, ovvero ottenere prodotti nutrienti, in quantità sufficiente per alimentare tutti gli esseri umani di oggi senza pregiudicare le risorse per i nostri discendenti di domani. Il suolo infatti ospita un quarto della biodiversità globale ed è il principale strumento con cui possiamo affrontare il cambiamento climatico con qualche speranza di successo, almeno parziale.

I 4 super poteri

Tutto questo se manteniamo il suolo vivo e sano, quindi in grado di:

  • metabolizzare sostanza organica e trattenere il carbonio (di cui è la principale riserva a livello globale), ad esempio: un ettaro di prato sequestra 20.000 kg di carbonio all’anno;
  • trattenere l’acqua e regimentarla al meglio, cosa strategica per fronteggiare periodi siccitosi. Un esempio, Per ogni punto percentuale di aumento di sostanza organica del suolo si può arrivare a stoccare 340 ettolitri di acqua in più ad ettaro;
  • fornire nutrienti alle piante senza continuare a dipendere dai fertilizzanti di sintesi (ad esempio: le leguminose possono fissare fino a 200 kg di azoto/ha/anno);
  • mantenere la biodiversità edafica in modo che tutti i cicli metabolici possano funzionare in sincronia e fare in modo che patogeni e parassiti non prendano il sopravvento.
COLDIRETTI-UNAPROL: PERSO IL 33% DELL’OLIO ITALIANO

COLDIRETTI-UNAPROL: PERSO IL 33% DELL’OLIO ITALIANO

Le stime nel corso della giornata dell’olivo. A causa del clima crolla la produzione Sud nelle Regioni dove va forte l’olivicoltura bio. Un calo non equilibrato dal lieve aumento registrato al Centro Nord

Con il crollo della produzione nazionale di olive (-37%) gli italiani devono dire addio a oltre 1 bottiglia su 3 di olio extravergine Made in Italy. Il tutto mentre l’esplosione dei costi mette in ginocchio le aziende agricole e con l’inflazione generata dal conflitto in Ucraina volano sugli scaffali i prezzi al dettaglio.

Il dossier

È quanto emerge dal Dossier “2022 fra clima e guerra, nasce l’olio nuovo” di Coldiretti e Unaprol su dati Ismea, diffuso in occasione della Giornata Mondiale dell’Ulivo, con iniziative nei mercati di Campagna Amica in tutta Italia.

Secondo l’analisi delle due associazioni, la produzione nazionale del 2022 crolla a circa 208 milioni di chili, in netta diminuzione rispetto alla campagna precedente.

Penalizzate Puglia e Calabria

I cali peggiori si registrano al Sud Italia, specie nelle regioni più vocate all’olivicoltura bio, dalla Puglia alla Calabria, che da sole rappresentano il 70% della raccolta nazionale. In Puglia, cuore dell’olivicoltura italiana, si arriva a un taglio del 52% a causa prima delle gelate fuori stagione in primavera e poi dalla siccità, mentre continua a perdere terreno il Salento, distrutto dalla Xylella, che ha bruciato un potenziale pari al 10% della produzione nazionale.

L’effetto mitigante dei grandi laghi del Nord

Ma crollano anche la Calabria (-42%) e la Sicilia (-25%). La situazione migliora verso il Centro e il Nord, con il Lazio che registra un progresso del +17% e l’Umbria e la Toscana fanno ancora meglio con +27%, mentre l’Emilia Romagna cresce del +40% e la Liguria del +27%. Incrementi ancora maggiori in Veneto con +67% e in Lombardia che segna un +142% con gli uliveti che si estendono dalle sponde dei laghi, Garda, Como, Maggiore, fino alle valli alpine.

IN AUSTRIA I PIONIERI DEL BIO INVESTONO IN ARACHIDI

IN AUSTRIA I PIONIERI DEL BIO INVESTONO IN ARACHIDI

Una scommessa quella dei fratelli Stefan e Roman Romstorfer, titolari di una storica azienda bio a Nord-est di Vienna, vinta anche a causa degli effetti del climate change

I cambiamenti climatici fanno migrare verso Nord le colture macroterme. Così dalla vite si producono ormai ottimi vini anche in Inghilterra e Scandinavia, mango e papaya attecchiscono in Sicilia e specie tipiche del Sud America o Nord Africa come l’arachide vengono coltivate con successo anche in Austria.

Il coraggio dei pionieri

Anche se la coltivazione di questa specie leguminosa con un elevato fabbisogno di alte temperature e irraggiamento è stata per molto tempo considerata impossibile in questo Paese, ci hanno pensato infatti i fratelli Stefan e Roman Romstorfer a dimostrare il contrario nella propria azienda agricola biologica di Raggendorf, a nord-est di Vienna. Quello di quest’anno è stato il settimo raccolto consecutivo. Uno spirito pionieristico che i due fratelli hanno ereditato dal padre Franz, che a metà degli anni ’90 è stato uno dei primi agricoltori biologici della Bassa Austria.

Un vantaggio per le rotazioni

Nel tempo i fratelli Romstorfer hanno messo a punto la migliore tecnica agronomica fino a raccogliere circa 20-30 quintali ad ettaro di “noccioline”, ma l’inizio non è stato facile. «Ci è voluta un po’ di follia – ammettono – perché essendo i primi coltivatori di arachidi in Austria, non c’era alcun riferimento tecnico a cui eventualmente appellarsi».

La sostenibilità del km zero

Oggi la produzione di arachide è entrata nelle rotazioni aziendali investendo circa 20 ettari all’anno e assicurando un prezioso contributo in termini di aumento della fertilità dei suoli grazie alle proprietà azotofissatrici di questa leguminosa. La produzione viene tostata e imbustata direttamente in azienda e venduta nel circuito locale, abbassando la carbon footprint e dando un prezioso contributo in termini di sostenibilità.