Suolo e Salute

Category: Zootecnia e allevamento

Dal 1° maggio stop all’obbligo di passaporto per bovini e bufalini

Dal 1° maggio 2015, non sarà più obbligatorio da parte dei servizi veterinari delle A.S.L. rilasciare il passaporto per bovini e bufalini, all’atto dell’iscrizione dei capi alla Banca Dati Nazionale.

È questo quanto comunicato tramite circolare dal Ministero della Salute, in conformità con la legislazione comunitaria e nazionale vigente.

Prima del provvedimento, il passaporto veniva rilasciato per certificare la corretta iscrizione degli animali alla Banca Dati Nazionale delle anagrafi zootecniche e per garantire le relative informazioni anagrafiche, i dati dell’allevamento di nascita, i passaggi di proprietà e gli spostamenti. Tutte informazioni già contenute all’interno della stessa Banca Dati che, quindi, elimina la necessità di procedere al rilascio del documento, velocizzando e semplificando la tracciabilità dei capi.

Come si legge sul sito ufficiale del dicastero: “Il sistema anagrafico messo a punto dal Ministero della Salute, riconosciuto pienamente operativo dall’Unione europea, ha consentito di eliminare, ai sensi della normativa europea, l’obbligo di rilascio della documentazione cartacea per gli esemplari nati in Italia dopo il primo maggio e movimentati sul territorio nazionale“.

passaporto bovini

L’abolizione del passaporto rappresenta, dunque, un processo di semplificazione amministrativa nei rapporti tra i cittadini e la pubblica amministrazione che si inserisce all’interno di un piano più ampio di innovazione tecnologica e snellimento delle procedure.

Il provvedimento è applicabile solo per i capi mobilitati all’interno del territorio nazionale. L’obbligo di emissione del passaporto, infatti, rimane in vigore per tutti i bovini o bufalini destinati a scambi intracomunitari o esportati verso Paesi Terzi.

Tale provvedimento non esula dall’obbligo relativo alla comunicazione di nascita/morte/movimentazioni, compresa quella al macello, al fine della registrazione in BDN/BDR delle relative informazioni.

Fonti:

http://www.fedagri.confcooperative.it/Filiere/Produzioni-Animali/Dettaglio/ArtMID/648/ArticleID/529/ABOLIZIONE-OBBLIGO-RILASCIO-PASSAPORTI-PER-ANIMALI-DELLA-SPECIE-BOVINABUFALINA

http://www.salute.gov.it/portale/news/p3_2_1_1_1.jsp?lingua=italiano&menu=notizie&p=dalministero&id=2037

Farmageddon la vera faccia degli allevamenti intensivi

Ben più di una riflessione ne nasce dopo aver letto il libro Farmageddon  –  il vero prezzo della carne economica di Philip Lymbery, dove ne evince un’indagine globale sul resoconto delle devastanti modalità di produzione di carne e pesce, e dell’impatto anche a livello ambientale. Viene spontaneo a chiedersi qual è l’impatto che la produzione massiccia di carne ha sull’ambiente? Quale il reale costo? E proprio a queste domande ha cercato di rispondere  nel suo libro Philip Lymbery, direttore generale della ong CIWF-Compassion in World Farming, scritto in collaborazione con la giornalista Isabel Oakeshott.

Gli allevamenti intensivi risultano essere devastanti per gli animali, per l’uomo, per il Pianeta, la loro espansione nel suolo terrestre e nei mari genera effetti devastanti. All’interno di questo raccapricciante scenario finiscono la metà degli antibiotici fabbricati al mondo e buona parte delle monocolture di cereali e soia.  Nello specifico secondo quanto rivelato dal Ciwf oltre il 50% dei cereali prodotti in Italia è utilizzato per nutrire gli animali (stime basate su dati Faostat); il 71% degli antibiotici venduti in Italia è destinato agli animali (fonte: Ecdc/Efsa/Ema). E ancora, il nostro Paese è il terzo maggiore utilizzatore di questi medicinali negli animali da allevamento in Europa, dopo Spagna e Germania (European Medicines Agency).

E le emissioni? Il 79% delle emissioni di ammoniaca prodotte in Italia proviene dall’allevamento come il 72% delle emissioni di gas serra generate dall’agricoltura (Ispra).

Operazioni decisamente insostenibili, soprattutto se si pensa che questi numeri sono di gran lunga superiori, rapportati alla produzione mondiale di carne.

allevamenti intensivi

Con la sua indagine, Lymbery ha solo dato conferma di quanto gli allevamenti intensivi rechino sofferenza agli animali e danno alle comunità locali. Animali rimpinzati di cibo eppur costretti a vivere in spazi angusti, in cui è difficile muoversi. Malattie causate dallo stress e dal sovraffollamento degli allevamenti, curate con antibiotici e farmaci vari che causano la proliferazione di superbatteri antibiotico resistenti. Come afferma lo stesso Lymbery: “Ciò nonostante il sistema intensivo continua a prevalere. Sono in gioco enormi interessi che permettono introiti straordinari grazie a una formula pensata proprio per i grandi profitti, anziché per  nutrire le persone in modo dignitoso. I governi perseguono apparenti successi sul breve periodo, senza prendere atto del danno a lungo termine: l’allevamento intensivo non è sostenibile per nessuno“.

Poi c’è anche il problema dello smaltimento degli escrementi, che in Paesi come il Perù, a esempio, vengono semplicemente buttati in mare o nel terreno dove, ovviamente, inquinano. Altro discorso grave collegato agli allevamenti intensivi sono le coltivazioni di mangime che rubano spazi e risorse alla Terra. Si disbosca, si distrugge, come se non dovesse esserci un domani, come se ciò che dobbiamo avere oggi sia più importante di ciò che i nostri figli non avranno in un futuro neanche troppo lontano.

Ecco un passaggio raccapricciante : “La corsa cinese alla produzione suina è carica di orrore fantascientifico. Stipulato nel 2011 un accordo d’oro con la Gran Bretagna, interi Boeing 742 affittati al costo di 420mila euro a viaggio hanno portato migliaia di maiali vivi e fertili  “di prima qualità” negli stabulari orientali, dove tutto è così automatizzato che un uomo solo può gestire tremila animali spingendo qualche bottone. Seguendo la politica della più sregolata quantità si sono selezionati esemplari così grassi da non potersi reggere sulle fragili zampe, imbottiti di sostanze pericolose, e  interi laghi sono tanto contaminati dai loro liquami che l’acqua non è più potabile“.

Sono tante ormai le persone che hanno preso consapevolezza dell’insostenibilità degli allevamenti intensivi e dello sfruttamento animale. Per scelte etiche e di amore, sempre più persone hanno abbracciato la dieta vegana o vegetariana. Lymbery propone un compromesso: “Sostenere una produzione di cibo che sia in grado di rimettere gli animali all’aria aperta, al pascolo, anziché dentro capannoni; un allevamento estensivo connesso alla terra, in grado di fornire cibo più nutriente con metodi che risultano migliori sia per il territorio che per il benessere animale. I governi di tutto il mondo possono contribuire a migliorare la salute delle loro nazioni e salvaguardare le future scorte alimentari basandosi su risorse naturali come i pascoli. Cibo che insomma provenga da fattorie, e non da fabbriche“.

 

Urbino: convegno CIA su biodiversità filiere zootecniche

Sono oltre 2.000 nel nostro paese le varietà e razze animali e vegetali a rischio estinzione, e negli ultimi cinquant’anni sono sparite almeno ottanta razze tra bovini, caprini, ovini, suini ed equini. Frequentemente razze anche molto antiche e varietà locali spariscono perchè soppiantate da varietà più produttive e adatte all’allevamento o alla coltivazione intensiva, ma la perdita di questo patrimonio significa non solo la perdita di quella specifica razza o varietà, ma la scomparsa di tutto quel bagaglio di storia, cultura, memoria che si portava dietro e che la legava indissolubilmente al territorio d’origine. Ecco perchè, come recita una nota della Cia, “custodire e portare a produzione una pianta ‘rara’ , così come tornare ad allevare un animale in via d’estinzione, vuol dire quindi salvare un patrimonio economico (miliardi di euro) sociale e culturale straordinario, fatto di eredità contadine e artigiane non scritte, ma ricche e complesse “Proprio sul tema della salvaguardia della biodiversità zootecnica la CIA ha organizzato un convegno tenutodi a Urbino, incontro che si inserisce nel più ampio progetto nazionale “Verso il territorio come destino”.Si tratta di una serie di incontri pubblici, i cui contenuti alimenteranno il documento che l ‘organizzazione agricola consegnerà a Expo 2015 come contributo per la stesura della “Carta di Milano”.Durante i lavori di Urbino, moderati dal noto scrittore Paolo Rumiz, si è posta particolare enfasi sull’importanza della “tutela e valorizzazione della biodiversità”, vero e proprio “passaggio chiave nelle scelte che vuole darsi l agricoltura e l’agroalimentare italiano per vincere le sfide future”.

Oltre alle Dop e Igp, dove comunque l ‘ Italia detiene il primato con 268 certificazioni iscritte nel registro UE per un fatturato che supera i 13 miliardi al consumo, il nostro paese vanta anche ben 4.813 prodotti tradizionali che rappresentano la storia e la spina dorsale dell’agroalimentare italiano. Insieme raccontano quel patrimonio di biodiversità, fatto di sapori e tradizioni unici custoditi tra le pieghe del paesaggio rurale, che rende il “Made in Italy” così ricercato sui mercati stranieri, ma anche così necessario per la ripresa dell’economia interna”.Ed è proprio in ragione di questi dati, e dell’importanza culturale e storica del nostro patrimonio agricolo e zootecnico, che è fondamentale investire e sostenere le produzioni di qualità tipiche e locali, pena la perdita delle basi stesse su cui l’Italia ha costruito il proprio primato europeo. Tra i dati interessanti emersi durante l’incontro, la considerazione che ben l’85% del fatturato totale di Dop e Igp è legato solamente a 12 denominazioni (Parmigiano Reggiano, Grana Padano, Mozzarella di Bufala Campana, Prosciutto di Parma, Prosciutto San Daniele, Bresaola della Valtellina, mortadella di Bologna, Gorgonzola, Pecorino Romano, aceto balsamico di Modena, mela dell’Alto Adige e mela della Val di Non).

E’ evidente che molto si può ancora fare per spingere e sostenere le tante certificazioni meno note, a patto però che vengano rafforzate le politiche di promozione a livello nazionale ed internazionale, favorendo i consorzi e aggregando le filiere. Ancora più complesso il caso dei 5.000 prodotti tradizionali: addirittura il 25%, 1 su 4 è in via di estinzione, visto che attualmente è portato avanti da poche o pochissime aziende agricole: un tesoro di sapori spesso completamente trascurati dalla GDO ma che potrebbero racchiudere la chiave di un nuovo rilancio dell’agroalimentare nostrano. Si stima che, se valorizzate e riadattate a nuovi modelli di business (dalla vendita diretta alla creazione dei cosiddetti sistemi alimentari locali) queste produzioni potrebbero valere 11 miliardi di euro l ‘ anno con l ‘indotto, più del doppio del giro d’affari del turismo enogastronomico italiano (5 miliardi).Proprio a proposito di questo punto così importante e delicato, è intervenuto il presidente CIA Scanavino: “dobbiamo cogliere l’occasione di una mutata sensibilità per realizzare queste nuove forme di organizzazione sul territorio, come i consorzi e le reti d’impresa che incentivino e valorizzino le nostre produzioni di qualità”. (…) “I prodotti tipici e tradizionali non solo rafforzano il ‘valore relazionale’ del cibo tra produttori e consumatori e garantiscono la sostenibilità, mostrando la capacità di evolversi nel rispetto dei cicli naturali e riproducendo i fattori della fertilità , ma, soprattutto, favoriscono lo sviluppo territoriale, l’indotto, l’occupazione e il turismo locale, diventando un vero e proprio fattore di marketing del territorio”.

Fonte: Agrapress, CIA

Francia, una nuova ricerca premia il biologico

L’INRA, l’Istituto Nazionale Francese per la Ricerca in Agricoltura, ha condotto recentemente presso Mirecourt, nei Vosgi, una sperimentazione mettendo a confronto due diversi sistemi di colture miste e allevamento del bestiame da latte condotti secondo i criteri dell’agricoltura biologica. I risultati, presentati la settimana scorsa nel corso di un incontro con diversi rappresentanti del mondo agricolo, dimostrano chiaramente che è possibile mantenere dei sistemi agricoli autonomi, utilizzando poco o per nulla fertilizzanti e altri prodotti chimici di sintesi, preservando quindi la biodiversità ma al tempo stesso mantenendo elevati livelli di redditività economica. Dal 2004 infatti l’unità di ricerca Aster (acronimo per Agrosistemi, Territorio e Risorse) del centro Inra di Nancy ha messo a punto due diversi sistemi di produzione biologica del latte (un sistema di pascolo e un sistema agricolo misto) costituiti da un appezzamento di 240 ettari di seminativi e pascoli permanenti e da una mandria di 100 mucche da latte, utilizzando nel proprio protocollo principi molto semplici ma estremamente significativi: valorizzare la diversità ambientale, massimizzare l’area coltivata destinata al consumo umano, limitare l’impoverimento dei terreni e ridurre al minimo l’uso di fertilizzanti o altri prodotti. Il risultato è stato il raggiungimento di livelli di autonomia molto elevati dei sistemi agricoli sperimentali, pur mantenendo alti i livelli di produzione agricola. Per ottimizzare tale produzione in base alle potenzialità del suolo,è stata infatti condotta un’analisi preliminare dei territori che ha contribuito a definire le aree più idonee ad ospitare coltivazioni e quelle al contrario più vocate al pascolo. Il successivo monitoraggio delle popolazioni di coleotteri e delle piante erbacee ha dimostrato che la biodiversità si è conservata rivelandosi una vera risorsa per l’agricoltura, fornendo cioè dei servizi eco sistemici di grande rilievo per il mantenimento della produttività dei terreni. Entrambi i sistemi oggetto della sperimentazione sono ecologici, le emissioni di gas serra in atmosfera basse, altrettanto quelle di azoto e le perdite e gli sprechi idrici. Non solo: al termine della sperimentazione la sostenibilità economica dei sistemi si è rivelata più alta rispetto agli anni in cui il campo era coltivato secondo i principi dell’agricoltura convenzionale:il prodotto lordo è aumentato del 25% in 10 anni e i costi dimezzati, grazie soprattutto alla significativa riduzione dei prodotti (fertilizzanti, coadiuvanti etc.) utilizzati. In definitiva, un’ulteriore dimostrazione, frutto di 10 anni di ricerche, della grande efficacia dell’agricoltura biologica non solo per quanto riguarda la salubrità dei suoi prodotti e la sostenibilità ambientale, ma anche (ed è qui la vera novità della ricerca francese) da un punto di vista della sostenibilità economica. Non vi sono pertanto vere ragioni produttive alla base della scelta di non convertirsi al biologico da parte dei produttori, ma al contrario ostacoli, diffidenze e barriere culturali che solo un’adeguata informazione potrà infine piegare alle ragioni di un’agricoltura veramente sostenibile quale quella biologica.

Fonte: Inra France

Slittano i termini per presentare PAPV e PAPZ

Verrà pubblicato il 17 ottobre sulla Gazzetta Ufficiale il Decreto n. 74792 che prevede il differimento al 1° febbraio 2015 del termine previsto originariamente dal Decreto dipartimentale n. 7869 del 3 febbraio 2014 per la presentazione in modalità cartacea dei PAPV, i programmi annuali di produzione vegetale e dei PAPZ, i Programmi Annuali di Produzione Zootecnica. Il Decreto è scaricabile a questo link.

Fonte: Sinab, Mipaaf

Zootecnia bio, il 10 un convegno a Piacenza

Si intitola”Prospettive delle produzioni biologiche delle diverse specie zootecniche” l’incontro previsto a Piacenza venerdì 10 ottobre a partire dalle 9,30. La giornata di approfondimenti si terrà presso la Sala Bertonazzi – Palazzo dell’Agricoltura, Via Cristoforo Colombo, 35 e rientra nel novero delle attività informative promosse dal PS£ 2007-2013 dalla Regione Emilia-Romagna. Il convegno piacentino costituisce in occasione di dialogo e confronto riguardo il settore della zootecnia biologica, “un segmento economico interessante per gli allevatori e un’opportunità di scelta per i consumatori, nel segno della qualità alimentare e della sostenibilità ambientale”, come si legge nel comunicato stampa dell’evento. Tra i temi che verranno affrontati le tendenze e le prospettive di mercato per il settore della zootecnia biologica e le problematiche legate alla certificazione delle produzioni. Si discuterà inoltredi come organizzazione gli allevamenti biologici, tutelando il benessere degli animali mentre a livello normativo sarà discusso il nuovo regolamento sulla zootecnia biologica. In conclusione verranno illustrate e discusse le opportunità offerte dal nuovo PSR per il sostegno e lo sviluppo delle produzioni biologiche nel settore zootecnico. Il programma del convegno (a partecipazione gratuita previa registrazione) è disponibile a questo link. L’incontro sarà trasmesso in diretta nel canale tematico agro-alimentare Antenna verde (digitale terrestre Canale 656 per l’Emilia-Romagna e digitale terrestre Canale 288 per il Veneto) e in contemporanea Streaming live sul Web – sul sito: www.conipiediperterra.com.

Per maggiori informazioni: http://www.crpa.it/nqcontent.cfm?a_id=12687&tt=crpa_www&sp=crpa

Fonte: FederBio, CRPA