Suolo e Salute

Mese: Agosto 2017

Continua la crescita del mercato bio

Mercato bio perennemente in crescita.

Continua imperturbabile la crescita delle vendite dei prodotti certificati da agricoltura biologica, che nell’anno terminante a marzo 2017 soltanto nel canale iper+super hanno incassato oltre 1,27 miliardi di euro, in crescita del 19,7% rispetto all’anno precedente (fonte Nielsen).

Il che è già piuttosto sorprendente in termini assoluti, dato che dal 2008 a oggi, in barba alla crisi, il comparto bio ha saputo triplicare il proprio valore di mercato (411 milioni di euro era il fatturato nel 2008 nello stesso canale).

Il dato più eclatante emerso dalla ricerca di Nielsen riguarda il contributo del bio alla crescita dell’alimentare nel suo complesso.

Nell’ultimo anno, le vendite dell’intero comparto hanno registrato un incremento di 419 milioni di euro, per il 40% imputabile alla crescita realizzata dal biologico (166 milioni). Da 20 anni la crescita è costante.

Una rivoluzione strisciante quella compiuta dai prodotti derivati dall’agricoltura senza chimica, una volta relegati nelle bottegucce alternative, frequentate da un target altrettanto alternativo o nella migliore delle ipotesi bollato come radical-chic.

Poi l’ingresso, graduale e senza dar fiato alle trombe, nei pdv della grande distribuzione, in una prima timida fase su appositi scaffali dedicati al benessere (nel segno del proseguimento della ghettizzazione) e poi via via a integrare le varie merceologie per arrivare, oggi, a rappresentare un ampliamento irrinunciabile per tutte le linee mdd delle insegne della gdo, oggi quasi tutte presenti con gamme dedicate che assorbono più del 40% del totale vendite bio e registrano un incremento annuo a valore superiore al 16%.

Il principale driver delle vendite in gdo è dato dalla crescita assortimentale: con una media di 191 referenze a scaffale (erano 146 un anno fa) gli assortimenti bio presenti, in incremento del 30%, rappresentano il 23% dei nuovi inserimenti effettuati sul totale alimentare. E se le vendite promozionali segnano solo un leggero aumento (21,6% contro il 20 dello scorso anno), in netta crescita sono invece le inserzioni relative ai prodotti bio presenti nel 59% dei casi sui volantini delle catene.

A conferma del fatto che l’offerta bio, oltre a fare immagine, rappresenta un fattore determinante per incrementare le vendite e fidelizzare quella che non è più soltanto una nicchia. Del resto, l’offerta si sa per sua natura cresce di pari passo con l’aumento della domanda ed è ormai evidente anche ai più scettici che non si può più parlare del biologico come di un fenomeno di moda. Ad accompagnare oltre un ventennio di crescita continua del gradimento dei prodotti bio si possono citare tutta una serie di cambiamenti economico/sociali, nonché di eventi topici (citiamo Cernobyl per tutti), che hanno lentamente, ma progressivamente, cambiato il nostro rapporto con l’ambiente, l’alimentazione, la salute. E, vuoi per convinzione vuoi per costrizione, gran parte dei consumatori ha adottato tutta una serie di comportamenti (dalla raccolta differenziata all’abbandono degli shopper di plastica) che testimoniano uno stile di vita e di consumo più consapevole. Più attento al benessere e alla salute, ma anche, e finalmente, all’ambiente.
Un dato interessante emerso dalla ricerca di Nielsen per Assobio riguarda il consolidamento degli acquirenti abituali. Su un campione di 20,5 milioni di famiglie acquirenti ben 5,2 milioni (in crescita di oltre 800mila unità) hanno effettuato almeno un atto d’acquisto alla settimana, il che significa che il 76% degli acquisti bio si concentra sul 25%  delle  famiglie,  le  quali negli ultimi 12 mesi hanno contribuito per il 91% alla crescita complessiva degli acquisti bio.
Insomma, il terreno è pronto e sembra arrivato il momento per i retailer più coraggiosi di osare un poco di più per sostenere e incentivare la crescita di un comparto più che promettente. Certo occorrerà ancora tempo per arrivare a scelte più radicali come quelle già effettuate da insegne generaliste in Paesi dove la consapevolezza sui temi del green è più avanzata, ma sarebbe sbagliato dormire sugli allori.
Benessere sì, ma anche gusto e servizio: i consumatori bio non sono marziani, come dimostra il fatto che anche loro abbracciano le nuove tendenze alimentari e i nuovi stili di vita. Nel ranking dei prodotti che nel 2016 hanno evidenziato la maggior crescita a valore, troviamo anche le creme spalmabili dolci (+7%) guidate da un prodotto cult quale è la Nocciolata di Rigoni, recentemente proposta anche nella versione senza lattosio, che in poco tempo dal lancio si è posizionata al secondo posto dietro al leader storico della categoria. Seguono le bevande sostitutive del latte uht (+6,4%); la frutta secca senza guscio (6,4%), le insalate pronte (+6,3%), lo yogurt intero (+6,2%), i cereali prima colazione (+4,7%), i primi piatti pronti (+4,5%), la pasta senza glutine (4%). (Fonte: Nielsen Trade*Mis).

Riso italiano: decreto del Mipaaf per la salvaguardia del comparto

È crisi profonda per il riso italiano. Il nostro Paese è tuttora il principale produttore europeo: 1,8 milioni di tonnellate/anno, 4mila aziende, 234mila ettari coltivati. Risulta quindi essere un comparto essenziale per l’agroalimentare nostrano.

Non solo: è fondamentale per tutta l’economia della penisola.

Da qualche anno però, la forte importazione a dazio zero dai Paesi meno avanzati (Pma), ha messo in ginocchio i produttori, provocando un continuo calo dei prezzi. Il Mipaaf, il Ministero per le politiche agricole, prova a correre ai ripari. E ha appena approvato in via definitiva un decreto per tutelare il settore risicolo. Tutti i dettagli.

Riso italiano: i numeri della crisi

Nelle ultime 5 campagne di riso italiano, i prezzi si sono dimezzati. E il calo è costante: da dicembre, il risone italiano –il prodotto greggio, appena raccolto e non lavorato – ha visto un calo del 33,4%.

Da cosa dipende un crollo di tali proporzioni? Dalle importazioni, soprattutto. Solo nel 2016, nei Paesi dell’Unione Europea sono entrati, a dazio zero, 244 milioni di chili di riso, importati dall’Asia. Principalmente dal Vietnam: +346% in 12 mesi e dalla Tailandia (+34%). Oggi il 25% circa del riso venduto sugli scaffali italiani è di provenienza straniera. Ma non è possibile distinguerlo da quello Made in Italy perché ancora non esiste l’obbligo di provenienza in etichetta.

Tutto questo si ripercuote fortemente sui produttori italiani. Per pagarsi un caffè, informa Coldiretti, gli agricoltori italiani devono vendere ben 3 chili di risone. Nell’ultimo anno, l’associazione stima una perdita per i produttori di 115 milioni di euro nell’ultimo anno.

Riso italiano in crisi: il decreto del Mipaaf

Vista la profonda crisi del comparto, il governo prova a correre ai ripari. Dopo il parere positivo delle Camere e della Conferenza Stato-Regioni, il Ministero delle politiche agricole ha dato il via libero definitivo al decreto legislativo sul mercato interno del riso.

Ecco le principali novità:

  • La normativa sulla commercializzazione del riso, risalente al 1958, viene riorganizzata, semplificata e adeguata alla normativa europea;
  • Previste azioni per la salvaguardia delle varietà di riso italiane;
  • Istituzione del registro nazionale delle denominazioni dei risi, tenuto dall’Ente risi, attraverso la dotazione di strumenti giuridici fondati su criteri oggettivi e trasparenti per classificare e qualificare il patrimonio varietale italiano. Ad oggi, sono 200 le varietà di riso italiano iscritte;
  • Istituzione della denominazione “classico” in etichetta per dare valore aggiunto alle varietà di prodotto da risotto più note e maggiormente utilizzate;
  • Maggiore trasparenza delle denominazioni in etichetta, a tutela del consumatore;
  • Rafforzamento dei controlli.

Riso italiano, Martina: “Occorre un segnale forte da Bruxelles”

A commentare il provvedimento, il ministro per le politiche agricole, Maurizio Martina:

«Diamo il via a una riforma attesa da tanti anni che permetterà di tutelare e promuovere con ancora più forza un settore fondamentale come quello del riso. Con il decreto puntiamo alla semplificazione delle norme, alla maggiore valorizzazione delle varietà tradizionali italiane e alla sempre maggiore trasparenza in etichetta per il consumatore. Tre orizzonti di assoluta strategicità per tutto il Made in Italy».

Martina annuncia poi le altre misure in campo per tutelare il comparto. Spiegando che il decreto “si inserisce in una strategia più ampia a sostegno dei produttori risicoli in questa fase complessa”. Tra gli altri provvedimenti, Martina ricorda “il decreto per rendere obbligatoria l’indicazione dell’origine della materia prima sulle confezioni di riso” e il ricorso in Europa “perché venga attivata la clausola di salvaguardia prevista dai trattati Eba in merito all’importazione di riso a dazio zero”. Occorre, sull’argomento “un segnale chiaro da Bruxelles”, conclude il Ministro.

FONTI:

https://www.politicheagricole.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/11531

http://www.lastampa.it/2017/07/05/multimedia/economia/tre-kg-di-riso-valgono-un-caff-al-bar-cos-il-riso-italiano-ha-perso-valore-askBpK6ZyOBVGhHBG5ozbO/pagina.html

http://www.suoloesalute.it/import-selvaggio-riso-asiatico-pressing-italiano-ue-bloccarlo/

http://www.ansa.it/canale_terraegusto/notizie/mondo_agricolo/2017/04/13/riso-coldiretti-agricoltori-e-mondine-davanti-al-mipaaf_b39f609d-95a7-4143-afbb-06d5511d8ce3.html

Chi guida la qualità nell’agroalimentare? Italia al top in UE per Dop e Igp

Chi guida la qualità nel settore agroalimentare Ue? Si intitola così un’interessante infografica realizzata daAymone Lamborelle, Samuel White e Sarantis MichalopoulosEuractiv, che fotografa l’eccellenza nel settore agroalimentare Ue. I Paesi europei del sud, con l’Italia in testa, dominano per numero di prodotti certificati da denominazioni come Dop, Igp e Stg.

Ecco i dati più interessanti.

Dop, Igp e Stg: Italia numero 1 per certificazioni

Sono gli Stati del sud Europa a dominare la speciale ‘classifica’ del numero di prodotti agroalimentari identificati con una denominazione geografica. Italia, Francia, Spagna, Grecia e Portogallo detengono infatti il 70% del totale delle GIs.

Secondo Euractiv, che ha elaborato i dati della Commissione Europea, sono oggi 1.402 i prodotti alimentari che hanno una denominazione di origine geografica, tra Dop, Igp e Stg.

L’Italia è al numero 1 con 293 prodotti a cui è stata assegnata una denominazione di origine. È soprattutto il comparto ortofrutticolo a esprimere merci di qualità Mad in Italy: sono ben 110 le specialità nel settore. Seguono 52 tipi di formaggio e 46 tra olii e grassi.

Al secondo posto europeo, c’è la Francia, con un totale di 242, specializzata soprattutto nella carne. Poi la Spagna, che si aggiudica il gradino più basso del podio con 194 prodotti. Seguono Portogallo (138) e Grecia (104) nella top 5 europea.

Si tratta di numeri estremamente importanti per il comparto agroalimentare. Come spiegano infatti gli stessi autori, “in Europa (e nel mondo) le persone esigono sempre più spesso di conoscere la provenienza del loro cibo”. Determinate aree – pensiamo al ‘potere’ che ha ancora il Made in Italy sui mercati internazionali – sono diventate sinonimo di “autenticità e tradizione”.

I marchi di denominazione non sono quindi esclusivamente un fattore di accresciuto prestigio. Aumentano, anzi, il valore di mercato dei prodotti. Anche perché richiedono livelli qualitativi che beni simili non possiedono:

«Per far fronte alla crescente concorrenza globale, i produttori alimentari dell’Ue si concentrano sulla qualità delle loro merci, così da esser sicuri che queste possano rimanere attraenti per i consumatori».

Dop e Igp: valore di mercato e il problema contraffazione

I dati presenti nell’infografica Euractiv si riferiscono al 2014. 3 anni fa, i consumatori europei hanno speso complessivamente 48 miliardi europei per prodotti GI, con un’indicazione di origine. Le quote di mercato principali sono state raccolte dalle bevande. Vince, su tutti, il vino. Ecco la classifica dei prodotti più acquistati con relative quote di mercato:

  • Vino –54,3%
  • Liquori – 13,3%
  • Formaggi – 12,7%
  • Carne fresca (e prodotti a base di carne) – 7,6%
  • Birra – 4,6%
  • Frutta, verdura e cereali – 1,7%
  • Altro – 5,8%

A fronte di un mercato vitale e redditizio, si fa largo purtroppo la piaga della contraffazione. Sempre nel 2014, il 9% dei prodotti GI è stato contraffatto, per un danno complessivo di 4,3 miliardi ai produttori e di 2,3 miliardi ai consumatori Ue.

A farne maggiormente le spese la Francia, che ha perso 1,6 miliardi di euro a causa delle merci falsificate. Segue l’Italia con 682 milioni. Poi Germania (598 mln), Spagna (266 mln) e Grecia (235 mln).

Dop, Igp e Stg: una guida alle denominazioni

Presente nell’infografica anche una guida agile per chi non conoscesse le 3 denominazioni di origine presenti nell’Ue.

Dop: denominazione di origine protetta

A questa categoria appartengono 626 prodotti alimentari che sono “indissolubilmente legati ad una specifica area geografica. Sono prodotti trasformati e preparati nella regione interessata, utilizzando ingredienti e competenze locali”.

Igp: Indicazione geografica protetta

Sono 720 i prodotti alimentari a marchio Igp. In questo caso i prodotti sono “identificati con la regione specifica in cui vengono trasformati e preparati”, ma gli ingredienti di base utilizzati “non provengono necessariamente dalla regione di riferimento”.

Stg: Specialità tradizionali garantite

Meno conosciuta, alla sigla Stg appartengono 56 prodotti alimentari. In questo caso, i beni vengono “lavorati utilizzando ingredienti o tecniche tradizionali”, ma non c’è “una specifica area geografica” a cui ricondurli.

FONTI:

http://www.italiafruit.net/DettaglioNews/40565/in-evidenza/dop-e-igp-la-classifica-ue

http://classeuractiv.it/news/chi-guida-la-qualita-nel-settore-agroalimentare-ue-201707260853088719